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Sono un musulmano praticante e questo è ciò che penso dell'ISIS

Non sono qui per darvi delle lezioni e neanche per presentarvi una verità assoluta. Quello che segue è solo il mio personalissimo pensiero, il pensiero di un convertito, in Francia, all'indomani degli attentati di Parigi.

Un militante porta la bandiera dello Stato Islamico. Foto via Wikimedia Commons.

Ho 28 anni e sono musulmano praticante da poco più di dieci. Mia madre è atea, e anche mio padre, cresciuto in una famiglia italiana cattolica, è ateo. Non sono qui per darvi delle lezioni e neanche per presentarvi una verità assoluta. Quello che segue è solo il mio personalissimo pensiero, il pensiero di un convertito all'islam, in Francia, all'indomani di quegli attentati che hanno colpito Parigi presumibilmente "nel nome di Allah" la sera del 13 novembre 2015.

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Per prima cosa penso di dover tornare indietro, a quando mi sono convertito all'islam. A quando avevo l'età di pormi delle domande sul senso della vita, sulla creazione, sul "esiste davvero qualcosa lassù" che ha afflitto intere generazioni. Mi sono documentato. Avevo bisogno di risposte. Ho esaminato tutte le ipotesi possibili. Ho immaginato una creazione senza Dio, che io stesso ero il Dio di un universo creato dal nulla, ho anche immaginato che tutto fosse un'illusione. Ho chiesto ai miei amici in cosa credevano loro. Buddisti, musulmani, cattolici, agnostici o atei. Non so spiegare perché l'islam mi apparve una scelta così ovvia.

Da allora so che la fede di un uomo è fatta di alti e bassi, e lo stesso vale per la pratica della religione. Da quando ho abbracciato l'Islam ho vissuto periodi intensamente religiosi in cui ogni minuto di ritardo alla chiamata alla preghiera mi faceva impazzire, ma anche altri periodi, più difficili, in cui mi lasciavo tormentare dai dubbi, praticavo meno di frequente e la fede vacillava. L'uomo è fatto così, ed è sua responsabilità non farsi travolgere dall'inerzia e dalla miscredenza—ovvero la mancanza di fede religiosa. Dire che una persona è miscredente non ha dunque nulla di negativo, si tratta solamente di una distinzione tra colui che crede (credente) e colui che non crede.

Per me la pratica è una condizione sine qua non all'esistenza e alla persistenza della mia fede. Così, ho anche bisogno di sentire che appartengo a questa religione attraverso il mio stile di vita. Se mangio halal (ed è solo un esempio tra tanti) non è per infastidire le persone che mi invitano a cena. Consumare un prodotto haram, ovvero illecito, è in contraddizione con la mia pratica e di conseguenza con la mia fede. Non voglio essere un modello o un esempio da seguire, però. Mi sforzo di praticare al meglio la mia religione, ma resto un peccatore. Se da un lato prego cinque volte al giorno, vado in moschea regolarmente e distolgo lo sguardo quando mi imbatto nel sedere di una donna, d'altra parte passo metà del mio tempo ad ascoltare rapper che parlano di sesso e droga, leggo Donald Goines che parla anche lui di droga e di sesso, e ammiro i personaggi di Tony Soprano e di Omar Little di The Wire. Insomma, sono ben lontano dall'essere un esempio, e non sono nemmeno un portavoce né un rappresentante dell'islam in Francia.

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Soldati egiziani tenuti prigionieri dell'ISIS

_. Foto via Flickr_

Il fatto è che oggi, qualche giorno dopo i tragici avvenimenti che hanno portato alla morte di 129 persone, ho l'impressione che la mia fede sia diventata un peso. Mi sento stretto in una morsa. Da un lato, l'opinione pubblica occidentale mi considera corresponsabile di un terribile dramma, e mi chiede di dissociarmene pubblicamente—come se chiedessimo a ogni corso di dissociarsi dal Fronte di Liberazione Nazionale Corso o a ogni norvegese di dissociarsi da Anders Breivik. Mi chiedono di condannare, e di giustificarmi ogni volta che vorrei mettere piede in una moschea. La mia barba spaventa tutti. Ho paura che i naziskin, coloro che si definiscono "patrioti", se la prendano con quelli della mia stessa religione, con mia moglie o con i miei figli. Dall'altro lato, tanta, tantissima gente sembra dimenticarsi di una cosa molto importante: lo Stato Islamico mi considera un nemico.

Anzi, io per loro sono un musulmano che vive tra "abominio e perversione", sono un musulmano che rifiuta di giurare fedeltà all'autoproclamato califfo Abu Bakr al-Baghdadi, e si rifiuta di andare a combattere accanto ai suoi "fratelli". Lo Stato Islamico ha una visione manicheista del mondo. Ci sono i buoni da un lato e i cattivi dall'altro. Per loro non dovrei vivere accanto ad atei, agnostici, sciiti e protestanti. Non sono né un teologo né uno specialista in religione e tantomeno un imam, ma quello che ho sempre saputo della mia religione è che porta un messaggio universale di tolleranza. Ci esorta a vivere gli uni con gli altri, e ci incoraggia a percorrere la giusta via. Se voglio diffondere la parola di Dio, l'ospitalità e la carità valgono più che un fucile carico. "E se qualche associatore ti chiede asilo, concediglielo affinché possa ascoltare la Parola di Allah, e poi rimandalo in sicurezzare," recita il versetto sei della nona sura del Corano.

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Quindi, che sia chiaro: il caso dello Stato Islamico [d'ora in poi Daesh] è particolare.

Non sono uno specialista in geopolitica 2.0 né un seguace delle teorie complottiste che si sono propagandate su Twitter e YouTube, ma ho difficoltà a distinguere il vero dal falso nella propaganda del Daesh. Eppure penso che la religione sia effettivamente al centro della loro ideologia: mi rifiuto di dire che loro non sono musulmani. Per certi aspetti, la loro condotta è coerente coi precetti della religione: l'applicazione della sharia implica programmi di aiuto sociale, alloggi gratuiti, alimenti garantiti per tutti. E secondo un articolo dell'Atlantic, tutti questi punti sarebbero rispettati nei territori da loro occupati.

Allo stesso tempo, Daesh non si fa alcun problema a perpetrare massacri, immolare prigionieri—e anche peggio. È un po' come se un serial killer si sentisse libero di commettere i suoi crimini solo perché il weekend fa volontariato.

Un graffito di al-Baghdadi, autoproclamatosi califfo dello Stato Islamico. Foto via Flickr.

In tempi di guerra non si può rimanere indifferenti di fronte alle vittime innocenti. Ma nell'islam esistono regole ben precise. La tortura, la mutilazione o la condanna a morte di un prigioniero sono vietate. Nel Corano si incoraggia a trattare bene un prigioniero di guerra fino alla sua liberazione. La sura 76 recita: "[i giusti] nutrono il povero, l'orfano e il prigioniero; [e interiormente affermano:] 'È solo per il volto di Allah, che vi nutriamo; non ci aspettiamo da voi né ricompensa, né gratitudine'."

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Anche uccidere donne, bambini o uomini che si rifiutano di combattere è vietato. Non è un'ipotesi o interpretazione traballante di un versetto preso a caso, ma un'affermazione sostenuta da numerose prove all'interno del Corano. "Chiunque uccida un uomo, sarà come se avesse ucciso l'umanità intera": questo è l'esempio più lampante di quello che predica il Corano. Ma ora come ora, con la Francia che stando alle dichiarazioni di Daesh è il suo più grande nemico, cosa dovremmo dire di "Non vi spinga all'iniquità l'odio per un certo popolo. Siate equi: l'equità è consona alla devozione. Temete Allah. Allah è ben informato su quello che fate" (sura 5, versetto 8)? O ancora, a proposito degli attentati di questo venerdì, "Combattete per la causa di Allah contro coloro che vi combattono, ma senza eccessi, ché Allah non ama coloro che eccedono" (sura 2, versetto 190).

L'altra cosa che non capisco sono i kamikaze. Morire da combattente per una causa che consideri giusta è coraggioso. Portare con sé alla morte degli innocenti, non lo è. Morire da combattente portando con se alla morte degli innocenti con un giubbotto esplosivo non ha alcun senso. Il suicidio è uno dei peccati peggiori, secondo l'Islam. Non c'è dubbio. Diventare martiri suicidandosi è privo di senso.

Un graffito che rappresenta il simbolo dello Stato Islamico. Foto via Flickr.

Quello che mi fa davvero paura del Daesh è il totalitarismo, un totalitarismo che in termini di determinazione e dominio delle coscienze supera il nazismo. "Story tells us that story tells us nothing." Ho sempre pensato che dopo aver sconfitto il nazismo, l'umanità non sarebbe ricaduta negli stessi errori. Ma so anche—come musulmano—che niente è più forte della fede di un altro musulmano. Se questo pensa che la sua fede si esprima attraverso il terrore, la distruzione e il caos, non c'è niente lo possa fermare; non ha paura di morire, di essere catturato ed è convinto nel più profondo della sua anima di agire nel modo giusto.

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L'umanità si trova di fronte a un cancro che non può essere sconfitto con qualche bomba. E le centinaia di milioni di musulmani che vivono pacificamente in tutto il mondo non hanno alcun potere né alcuna soluzione per uscire da questa crisi. Lo Stato Islamico considera tutti i musulmani che non sono nei loro ranghi come dei nemici. Pure gli alti dignitari di al-Qaeda sono stati scomunicati dal Daesh! Come tutti, non ho idea delle dimensioni che potrà raggiungere questa guerra. Ho il presentimento che durerà e che ci dovremo abituare a convivere con gli attentati, in Francia e nel resto del mondo occidentale. Ci saranno migliaia di vittime sia da un lato che dall'altro.

Sono consapevole del fatto che la mia religione sarà denigrata. Le guerre di religione sono durate secoli, e i crociati hanno massacrato migliaia di persone senza convincere nessuno della bellezza del messaggio di Gesù. Una parte dello Stato Islamico mi rimprovererà fortemente la mia visione della religione. Esattamente come io rimprovero la loro. La seconda sura del Corano dice: "Dopo di ciò i vostri cuori si sono induriti ancora una volta, ed essi sono come pietre o ancora più duri. Vi sono, infatti, pietre da cui scaturiscono i ruscelli, che si spaccano perché l'acqua fuoriesca, e altre che franano per il timore di Allah. E Allah non è incurante di quello che fate" (versetto 74).

So che Dio non è indifferente alle nostre azioni e mi auguro che i cuori induriti dei militanti del Daesh si aprano alla sua vera grandezza. Che si aprano al messaggio d'amore, di pace e di fraternità. Questo creatore che io chiamo Allah, gli ebrei lo chiamano Yahvé, altri Geova. Per alcuni sarà semplicemente la Natura mentre per il fisico sarà la singolarità iniziale. L'islam mi guida, mi rassicura, mi esalta come individuo, mi permette di aprire il mio cuore e il mio spirito al prossimo. Allo straniero, al cristiano, all'ebreo, al buddista, all'ateo, all'ignoto, all'uomo e alla donna. Alla scienza, alla filosofia e alla matematica.

Per grazia di Dio sono musulmano. Dio è grande, e mi auguro che possa farvi sentire l'amore. La speranza esiste, ne sono sicuro.

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