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stili di gioco

Perché la Lazio deve vincere lo scudetto

Anche se preferirei lo vincesse la Roma.

Disclaimer: Ormai la mia lazialità è diventata oggetto di scherno tra gli amici con cui vedo le partite della Roma. In effetti è una cosa un po' spaventosa, che io provo ad esorcizzare scherzandoci su. Quando la Roma gioca il posticipo io arrivo e dico: "Oh, avete visto la Lazio?" Loro mi trattano da laziale latente, dicono che in fondo l'hanno sempre saputo ("Ecco perché ce l'hai col Capitano"), che è colpa di mio padre (laziale). Prendo la Lazio a Fifa (ma impedisco al mio avversario di scegliere la Roma, non sono ancora pronto) e mentre la Roma gioca dico cose come: "Balzaretti non mi piace. Vuoi mettere Lulic?". "Ma uno scambio alla pari De Rossi-Hernanes? Dite che Petkovic non ci sta?".
Quando provo a chiedere, seriamente, se hanno visto la Lazio giocare, loro rispondono: "Non guardo la Lazio." Oppure: "Il derby dura tutto l'anno." Dicono che non ho rigore, e forse è vero. Discorsi di questo tipo mi trovano impreparato. Da quando è stato annunciato Petkovic, il mio giornalaio ha iniziato a fare una nuova battuta al giorno. La sua preferita era: "Ai laziali sta venendo l'angina-Petkovic" (invece dell'angina-pectoris). A me non faceva ridere. La Lazio perdeva le amichevoli estive contro il Galatasaray, il Getafe, 0-3 contro il Torino (mentre la Roma le vinceva tutte) e io non provavo assolutamente nulla. Non penso di essere migliore di nessuno, anzi: credo di perdermi qualcosa, almeno stando a quello che ha detto Alessandro Piperno sul numero 98 di So Foot: "Preferisco che Lazio e Roma perdano entrambe piuttosto che vincere, perché così almeno la Roma ha perso. La sconfitta dell'avversario ha più gusto della vittoria della propria squadra."

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E adesso dico una cosa da romanista. Almeno in parte. Forse tutto questo può dipendere dal fatto che, nel suo recente passato,  la Lazio non è stata un avversario degno di questo nome. Ai tempi di Spalletti, quando il mio gusto adulto si è formato, era solo una squadra di medio bassa classifica che giocava male, e compensava le mancanze tecniche e tattiche con l'aggressività irritante. Ho scheggiato un incisivo per quanto ho stretto forte i denti quando Tonetto ha spedito il suo rigore alle stelle contro l'Arsenal: la Lazio non ha mai meritato tanto. Oggi che la Roma ha ridimensionato le sue ambizioni (almeno per il momento) e la Lazio gioca bene, per me è troppo tardi. Anzi, forse c'è un po' di invidia. Non così tanto, però, da rientrare nella categoria del self-hating tifoso. Io mi voglio bene e spero che Zeman trovi la chiave. Al tempo stesso, la Lazio di Petkovic mi sembra un piccolo miracolo calcistico che potrebbe, magari un giorno, somigliare a quello dell'Atletico di Simeone o al Malaga di Pellegrini e vale la pena che ne parli apertamente. Mi piacerebbe poter dire una cosa tipo perché Roma lo merita, ma in realtà so che una cosa del genere non piace né ai romanisti, né ai laziali-semmai con questo posso guadagnarmi un paio di coltellate alla coscia, le così dette puncicate. Se tutto questo mi rende meno romanista di altri, a me sta bene. Francamente trovo infantile anche solo parlare di "fede".

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E dire che quando andavo al liceo avevo la maglia di Zago, in onore del magico momento dello sputo a Simeone, proprio per sentirmi io più tifoso degli altri.

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Vlado Petkovic

Lo scetticismo con cui Roma ha accolto Petkovic era tutto sommato naturale. Bosniaco, con passaporto croato e un passato da calciatore e allenatore prevalentemente in Svizzera (Bellinzona e Young Boys), con una breve parentesi in Turchia al Samsunspor (11 sconfitte, otto pareggi, tre vittorie) prima di salvare dalla retrocessione il Sion con una sola vittoria nella partita che più contava delle quattro allenate (l'andata dei play-out). Poi è arrivata, inaspettata, l'offerta di Lotito. Soprannominato il "Dottore" per l'amore del dettaglio, inizialmente sembrava che Petkovic volesse come secondo il suo vecchio allenatore, finito custode della scuola di commercio di Bellinzona, Arno Rossini. Il titolo tipo dei giornali romani di quei giorni era Petkovic si porta dietro un bidello, e alla fine non se ne fece niente. In compenso Petkovic (si è speculato anche sul suo precedente impiego alla Caritas di Locarno, risalente al periodo in cui allenava nella serie B svizzera) è riuscito a far accettare il suo tattico: Jesse Fioranelli, cresciuto in un college di Lugano e figlio di quel procuratore Vinicio Fioranelli a capo della cordata che nel 2009 provò ad acquistare la Roma e finì con un'accusa di aggiotaggio-ma che, va detto, collaborò anche con Cragnotti.
Dopo aver preso in giro per un anno il proggetto della Roma e l'allenatore asturiano ribattezzato (con quell'umorismo di cui nessuno sentirebbe la mancanza se non ci fosse) Gigi Enrico, con il suo iPad, il suo tattico e il suo motivatore, ecco che i laziali si ritrovavano con un allenatore inesperto fissato con la tecnologia e un match-analyst legato in qualche modo alla Roma. Inoltre, Petkovic era dichiaratamente un amante del gioco offensivo.
Tra avversari ci si studia anche andando nei forum per tifosi, e uno dei dettagli più divertenti su cui certi tifosi laziali sbattevano la testa era il gossip secondo il quale Petkovic sarebbe andato ad abitare proprio nella casa che fu di Luis Enrique (non so poi come è finita, non sono un frequentatore così assiduo dei forum laziali).
La dirigenza meno credibile della serie A, un presidente che i propri tifosi chiamano Lotirchio o anche Loporco, un direttore sportivo albanese che si è reso ridicolo provando a portare a Roma il giapponese Honda, con un'offerta inferiore alla metà dello stipendio del CSKA di Mosca, solo perché infortunato, che per ogni scelta azzeccata ne ha sbagliata un'altra: Klose/Cissé. Una dirigenza, comunque, consigliata bene sul mercato svizzero da cui ha pescato prima Lichsteiner poi Lulic, a mio avviso uno dei quattro o cinque migliori laterali sinistri d'Europa, aveva messo sotto contratto uno sconosciuto cinquantenne il cui maggior successo era stato quello di perdere il campionato all'ultima giornata quando allenava lo Young Boys. Proprio nel momento in cui a Roma tornava Zeman, per giunta, con tutto il suo valore simbolico. Come detto, le amichevoli estive hanno contribuito alla disperazione della tifoseria biancoceleste e se secondo alcuni Reja era stato il comandante senza paura capace di guidare una nave malandata a un quarto posto insperato, con Petkovic era l'inizio della fine. Il mio giornalaio parlava già di serie B. E invece. (Ma adesso mi chiedo: se la Roma avesse mantenuto/manterrà le promesse esaltanti di quest'estate, un tifoso della Lazio avrebbe scritto/scriverà un pezzo in suo onore?)

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Quella di Petkovic (nonostante Lotito, dice il vero laziale che è in me) è la Lazio migliore dai tempi di Eriksson, cui forse si ispira (proprio tramite Jesse Fioranelli, magari). Non solo, ma Petkovic è per la Lazio quello che i tifosi della Roma avrebbero voluto fosse stato Zeman. La sfiducia nelle sue possibilità di trasformare la Lazio da sistema passivo in offensivo era il riflesso della più grande sfiducia nelle possibilità di trasformazione della Lazio tout-court. In sostanza, Reja aveva fatto il massimo. Petkovic è riuscito proprio in quello in cui né Luis Enrique né Zeman (per ora) sono riusciti: pianificare un periodo di transizione che comprendesse quanto di buono messo in piedi da chi lo aveva preceduto (il castello di carte difensivo di Reja) cambiando sì, ma in maniera graduale. Se a Zeman i propri tifosi rimproverano l'ortodossia del modulo (la ricerca ossessiva del giocatore perfetto in quel ruolo specifico, l'11 iniziale come formula alchemica) e la schizofrenia con cui vengono applicati i principi del suo gioco (difesa alta senza pressing = suicidio), per il momento Petkovic ha rinunciato al suo modulo preferito, il 3-4-3, per un 4-1-4-1 fatto di sovrapposizioni, tagli e inserimenti. Non si tratta solo di una scelta prudente, ma della consapevolezza che nel calcio moderno il modulo viene dopo concetti come fluidità, armonia e interscambiabilità tra giocatori.

La Lazio è diventata la squadra più armonica in un campionato in cui fino a poco tempo fa la squadra più armonica era la Juve (come giustamente dice Sacchi intervistato da Francesco Pacifico nell'ultimo numero di IL) e questo basterebbe per giustificare il titolo del mio pezzo. In un campionato dominato dal ritorno al 3-5-2 (Jonathan Wilson si interessava al declino di questo modulo nella sua bibbia tattica La Piramide rovesciata) e da centrocampi prevalentemente reattivi (di reazione, non costruttivi cioè), tutto pressing e poco possesso (per via anche dell'impoverimento economico e tecnico della serie A), la Lazio di Petkovic si muove come una membrana il cui scopo è filtrare le offensive avversarie occupando bene lo spazio, pressando in modo organizzato e scivolando sapientemente da destra a sinistra.
Quando gli avversari spostano il pallone sulle fasce la cerniera difensiva laziale si apre scalando dalla parte del pallone, con Ledesma che si allinea al fianco del centrale. Il terzino forza il passaggio al centro e la Lazio si riposiziona come prima. Gli 11 di partenza sono gli stessi di Reja o quasi, ma vengono utilizzati in maniera diversa. L'aggressività primitiva delle passate stagioni, quella "rabbia calcistica" secondo molti fondamentale, tipica anche e sopratutto della Lazio di Delio Rossi, è stata sostituita da un'attenzione agli spazi e alla lettura delle situazioni di gioco. Mauri e Candreva sulle fasce svolgono ruoli diversi: il primo sulla sinistra si accentra, affiancando Klose o infilandosi nel buco alle sue spalle (solitamente in seguito a una sponda), mentre Candreva (anche Gonzalez può giocare da esterno) punta spesso palla al piede il terzino avversario, lungolinea o accentrandosi per andare al tiro o al cross (dall'altra parte ci pensa Lulic, sulla carta terzino, ma che in realtà si fa tutta la fascia). Hernanes, più basso, più nel vivo del gioco, garantisce qualità nel palleggio con cui la Lazio per ora si limita ad uscire dal pressing una volta recuperata palla, per verticalizzare subito. Correndo sempre di fronte alla porta, inoltre, e muovendosi tra le linee, il brasiliano minaccia direttamente i difensori centrali avversari (come in occasione del primo gol contro il Milan).

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Il compromesso di Petkovic, per il momento, è una squadra spezzata in due nella maggior parte dei casi (come dice anche lui nel video sopra: portare quattro o cinque giocatori in attacco significa lasciarne altrettanti a difendere). La partita più esemplare in questo senso è lo 0-0 contro il Tottenham di Villas Boas (impegnato da parte sua con una transizione altrettanto difficile).
Fuori casa contro una squadra che vuole tenere palla più degli avversari (anche se non così tanto come il Chelsea dello scorso anno), la Lazio ha giocato una partita difensiva ineccepibile, una di quelle che in cui Mourinho direbbe che non è necessario avere la palla tra i piedi. La Lazio ha controllato il Tottenham senza dominarlo per tutto il primo tempo, qualcosa di più ha sofferto nel secondo ma, nonostante il mio giornalaio si soffermi sui due gol annullati al Tottenham (un fuorigioco dubbio e un fallo in attacco su calcio d'angolo, a cui al limite si può aggiungere qualche pericolo sui calci piazzati e un paio di azioni confuse di Lennon), le occasioni migliori le ha avute proprio lei. All'undicesimo Klose, forse per paura dell'intervento di Lloris in uscita, non mette il piede su uno splendido cross di Lulic. L'azione poi che ha portato alla traversa colpita da Gonzalez al quarantunesimo è esemplare. Hernanes riconquista palla vicino al dischetto di centrocampo dopo un paio di rimpalli seguiti al rinvio del portiere avversario. La mette a terra e scarica su Onazi, partendo subito senza palla in verticale. Onazi di prima la dà a Ledesma che controlla e gira immediatamente, quasi alla cieca, su Lulic che sale e crossa dalla trequarti. Al momento del cross stanno entrando in area già Klose e Mauri, con Hernanes e Gonzalez a rimorchio, come si suol dire. Un difensore respinge male sul limite dell'area e Gonzalez calcia al volo. L'assist, d'accordo, è fortuito, ma al momento del tiro nell'area del Tottenham ci sono quattro giocatori della Lazio.

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Anche la Juve ottiene situazioni di questo tipo. Ma in modo diverso. La Juventus parte dalla superiorità numerica difensiva. Tre difensori, più due centrocampisti muscolari al centro e due giocatori estremamente dinamici ed esplosivi sulle fasce, fanno della struttura a imbuto della Juve un sistema difensivo quasi ingiocabile, che permette un baricentro alto e gli inserimenti frequenti di Marchisio o Vidal. Un sistema di tutto rispetto insomma, in cui è difficile fare breccia. Ma è anche un sistema ripetitivo. La fonte del gioco è sempre Pirlo e la noia assoluta di Juve-Napoli è dovuta alla specularità del centrocampo napoletano, con Hamsik nel vertice alto a gravitare proprio dalle parti di Pirlo (mentre Behrami e Inler contrastavano uno contro uno Marchisio e Vidal). Se la Lazio è uno schema libero e ordinato, semplice e persino delicato, basato sull'imprevidibilità dei propri giocatori, la Juventus è un meccanismo di pistoni coordinati, basato sulla quantità e non sulla qualità degli attacchi.

Praticamente tutti i parametri statistici che indicano la qualità del gioco sono migliorati rispetto allo scorso anno, terminato dalla Lazio col record di colpi di testa in area avversaria (89, dati Opta). Il numero di cross a partita-non necessariamente un dato negativo, sopratutto quando porta a gol come quello di Klose contro il Milan-resta più o meno invariato (24 quest'anno, 26 quello passato, dati Whoscored), ma la Lazio tiene più palla (il possesso è salito dal 49 percento medio a partita al 51,5), tira di più in porta (14.6 tiri a partita, 13.2 la passata stagione) e i suoi giocatori dribblano di più (11.1 dribbling a partita rispetto agli 8.5 del 2011-12). E la Lazio può solo continuare a migliorare. Ad esempio, non fa più possesso palla degli anni passati, è rapida nelle verticalizzazione e diretta negli attacchi, ma quando ha palla, la gestisce in maniera migliore, con meno lanci dalla difesa e un fraseggio più pulito. Quando la sintonia tra i singoli e i reparti (Sacchi direbbe "sinergia") arriverà a un livello in cui la Lazio sarà in grado di recuperare nella metà campo avversaria, allora statene certi, il possesso palla salirà ulteriormente e sarà possibile vedere anche trame di passaggi più complesse.

Se la Lazio riuscisse ad alzare la difesa, e se magari aggiungesse un po' di qualità in mezzo (e se Klose riuscirà ad essere continuo), potrà sul serio mettere in difficoltà la Juventus, e il titolo di questo pezzo, per il momento soltanto provocatorio, rivelarsi profetico. In attesa della vera sfida scudetto, appunto Lazio-Juve, sarà interessante vedere gli uomini di Petkovic all'opera contro l'ibrido di Montella. Credo di poter dire che la Fiorentina non ha ancora una vera fisionomia di gioco (se ce l'ha è nel dare palla a Cuadrado sperando che salti l'avversario e crossi, o a Jovetic da qualche parte intorno al limite dell'area). A mio avviso Montella deve scegliere tra un gioco di cross e profondità sulle fasce (non per niente domenica contro il Chievo giocava Toni) e il possesso palla al centro con Pizzarro e Borja Valero (affiancati magari da un altro giocatore tecnico, ma Montella quando è andato in difficoltà col Chievo ha tolto Romulo e inserito il classico centrocampista italiano medio: Migliaccio). Per il momento alcuni dettagli da cui traspare l'ambizione di Montella di avere un sistema dominante, come Facundo Roncaglia che sale spesso sulla linea del centrocampo lasciando dietro due soli difensori, potrebbero rivelarsi fatali contro una squadra come la Lazio, più matura e verticale, a suo agio nel lasciare il possesso in mano agli avversari. Sulla carta non ci sono dubbi o quasi, ma magari mi sbaglio e tra un mese questo pezzo non avrà più valore se non come mio coming out. Se però la Lazio di Petkovic dovesse continuare a crescere e vincesse sul serio qualcosa, be', non riuscirei proprio ad essere triste. Se poi lo vince la Roma, meglio.

Segui Daniele su Twitter: @DManusia