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Zinédine Zidane, seconda parte

Dai calciatori, chissà perché, ci si aspetta molto. Da Zidane ci si aspettava ancora di più.

La delusione della Francia di fronte alla capocciata di Zidane a Materazzi (ne ho parlato nella prima parte) dipendeva dalle grandi speranze riposte in Zizou, o semplicemente ZZ, il campione carismatico, l'algerino, il francese, ma parlandone un po' in giro ho notato che è difficile, anche oggi, a distanza di tempo, trovare qualcuno col giusto distacco.

Dai calciatori, chissà perché, ci si aspetta molto. È come se il peso di un sistema che quasi tutti giudicano ingiusto (gente pagata molto per tirare calci a un pallone, perché il resto della gente spende molto "intorno a" quelli che tirano calci a un pallone, perché tutti vorrebbero essere pagati molto per tirare calci a un pallone), ricada poi sulle spalle di quei calciatori che, in fondo, sono pagati per tirare calci a un pallone. Il tifoso benpensante si aspetta che i calciatori assumano quel ruolo sociale di cui lui stesso non li ritiene all'altezza, solo perché è incapace di accettare le cifre scandalose che guadagnano, perché la trova una cosa immorale.

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La mia teoria è che il gesto di Zidane debba essere valutato come un qualsiasi altro gesto tecnico. Del gesto tecnico ha l'unicità: è abbastanza violento ma non così violento, capace di mandare al tappeto un avversario sopra il metro e novanta in modo pulito ed elegante.  Zidane, inoltre, era il più grande giocatore di calcio vivente (il più forte degli ultimi vent'anni insieme al Ronaldo di Barcellona e dei primi anni all'Inter), in una finale di Coppa di Mondo che al tempo stesso era la sua partita di addio. Non giocava con la propria nazionale dal 2004 ed era tornato apposta per quello, per concludere la sua carriera così.

Non discuto la nobiltà del gesto (anche se siamo lontani dalla pura rosicata di Totti vs Balotelli o dal teppismo di Joey Barton vs tutto il Manchester City) ma la tragedia di un simile anti-climax è indiscutibile.

E qui devo compiere una piccola digressione. La portata storica di quel gesto, che non si trattasse di un fallo di reazione qualsiasi, per me è stato evidente da subito. Ero a Parigi durante il mondiale del 2006 e ho visto la finale in una brasserie in cui andavo sempre a pranzo, di proprietà di una famiglia berbera (ciabatte da piscina coi calzini, un flipper spento, magliette dell'Olympique Marsiglia). In mio "onore" (forse perché erano sicuri di vincere) avevano messo una bandierina dell'Italia di plastica, piccola, dietro al televisore, vicino a una uguale della Francia (quella dell'Algeria, gigante e di tela, occupava metà dello specchio dietro al bancone). Mi ero dato appuntamento con un amico francese (nato in Tunisia) che durante tutto l'arco del torneo non aveva smesso un solo secondo di dire che, comunque fosse andata a finire, Zidane era ancora troppo forte per ritirarsi. Prima della finale disse: "Vedrai che stasera vinciamo noi e Zidane continua almeno per un anno". Dopo l'espulsione, prima ancora dei rigori, il mio amico ha iniziato a piangere. Ripeteva: "Non così, non te ne puoi andare così Zizou".

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Ma per rendere bene l'idea di quanto quel finale fosse inaccettabile, per un francese che ami Zidane e per chiunque ami il calcio abbastanza a fondo, devo ricorrere a un altro documentario.

In Zidane destin d'exception si vede ZZ prepararsi alla fine della propria carriera, ripercorrendone le tappe (Cannes, Bordeaux, Torino, Madrid) e i gol più belli (Zidane non ha segnato molto, quasi mai in doppia in cifra nella stagione, ma ha segnato gol incredibili proprio nelle partite più importanti della sua carriera).

Nel documentario si vedono molte cose interessanti. Si vede Zidane (15'50") parlare al telefono con Chirac in viva-voce per farlo sentire al fratello (quando io per parlare con il padre della mia ragazza mi alzo e faccio su e giù in corridoio tra il bagno e la cucina con le dita della mano destra premute contro l'orecchio sinistro). Si vede Abidal dire che lui, che col destro non ci fa mai niente, quando gioca con Zizou - che pretende dagli altri quello che pretende da sé stesso - si sforza di usarlo per piacergli (25'20"). Si vede Dugarry dire che Zinedine ha un modo di giocare che sembra, non è così ma sembra, che stia prendendo in giro i propri avversari, e Viera ammettere che subire un sombrero, anche a quel livello, fa male all'orgoglio (e Zidane dice: "Ma io questo posso capirlo"). Si vede Zizou che si annoia nella vita normale (31'15") e rimpiange di aver dato l'addio alla nazionale nel 2004 (dice: "Sì, avevo tre o quattro giorni liberi, mi potevo riposare, ma dopo che lo hai fatto una volta…" - e la cosa bella è che annunciando il proprio ritiro prima del Mondiale ha fatto un errore praticamente dello stesso tipo). Si vede il decenne figlio Enzo (che adesso, a diciassette anni, gioca con nel Real Madrid col cognome della madre, Fernandez, per evitare confronti - e chissà con quale nazionale sceglierà di giocare da grande, ammesso che diventi abbastanza bravo) cercare di imitare la splendida volée con cui il padre ha vinto la sua prima e unica Champions League (41'45"); li vediamo giocare nel campetto di casa col nonno e il fratello più piccolo, li vediamo farsi i falli in famiglia e giocare alla lotta. Si vedono i fratelli Zidane (45'20") fare gli sbruffoni su un'ipotetica partita di tennis e Zinedine, Pallone d'Oro nel 1998, che non prende in mano una racchetta da dieci anni, dire al fratello che creandosi delle false speranze al momento della sconfitta piangerà ancora di più. Si vede un Nasri bambino nel 1999 (47'41") mettere sotto l'incrocio una palla sgonfia e dire che non vuole essere paragonato a Zidane perché non sarà mai come lui (adesso è sotto processo da parte della Federazione e sull'ultimo numero di So Foot c'è un articolo su quanto facilmente, da dolce e povero bambino prodigio, sia diventato un insopportabile bullo da spogliatoio).

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Dopo aver visto tutto questo diventa difficile accettare la realtà per come è. Così il regista, prima ci mostra la testata a Materazzi, poi riavvolge il nastro della carriera di Zidane scegliendo un finale più giusto per il suo documentario agiografico: l'ultima partita di Zizou al Bernabeu, le lacrime della famiglia Zidane al completo, tutto lo stadio in piedi con il poster del suo numero 5 in mano.

Ma c'è una ragione per cui questo finale non rende onore a Zidane. All'inizio di quello stesso documentario (4'37") ZZ annuncia il suo ritiro in conferenza stampa, dicendo che non ha scelto per caso di finire con un Mondiale, ma che lo ha fatto perché vuole avere fino alla fine il massimo delle motivazioni. Quindi ha rinunciato consapevolmente agli abbracci e al giro di campo tra gli applausi, alle vecchie glorie che gli passano la palla per farlo segnare, preferendo i calci della competizione più dura di tutte. Zidane è stato padrone del proprio destino al punto da poter rimandare il proprio ritiro, una partita alla volta, fino al 9 luglio. Se a un certo punto sostiene che "Dio è il più grande degli sceneggiatori", sembra più verosimile quando invece dice: "Niente succede per caso". Sminuire la portata di quel gesto significa amputare, e non di poco, la capacità di quell'uomo, come forse di ogni uomo, di aver scelto da solo il proprio finale. Un cosa tanto grave quanto quella di costringerlo, dopo, alla pantomima delle spiegazioni.

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Così torniamo all'inizio. Considerare quella capocciata un gesto puramente tecnico aiuta sopratutto ad uscire dalla strada senza uscita della ricerca di senso. Zidane che si arrampica sullo specchio dell'offesa detta al momento sbagliato, o particolarmente grave (l'onore delle donne della famiglia), i suoi sostenitori che disquisiscono sulle responsabilità del provocatore e quelle del provocato. Credo di non aver sottolineato abbastanza la fine del documentario di cui ho parlato nella scorsa rubrica: Rendez vous le 9 juillet. Zidane si trovava a commentare la testata davanti a quelli che, probabilmente, dovevano essere gli stessi giornalisti che lo hanno seguito per tutto il Mondiale. In ogni caso, era molto a suo agio. Talmente a suo agio che ha dato forse l'unica spiegazione sincera dell'accaduto. "E quindi vedo questo spilungone che mi parla in quel modo e si crede il re del mondo…". E basta. Che altro c'è da dire?

All'inizio di quello stesso documentario (13'10") Zizou riflette sul rigore tirato contro l'Italia. Fino a quel momento, lungo tutto l'arco della sua carriera, ha sempre tirato i rigori allo stesso modo: a sinistra, incastrando la palla nella parte laterale della rete, vicino al palo. Zizou ammette di averci pensato nel brevissimo lasso di tempo tra l'inizio della rincorsa e il tiro ("dieci secondi", dice lui, frazioni di secondo, in realtà). Né Nadal né Noah, intervistati, riescono a immaginare cosa possa essergli passato per la testa in quel momento e Dugarry dice: "Cos'è che ti permette di realizzare le cose grandi? Non pensare alle conseguenze."

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Non vorrei buttare lì una citazione dal saggio "di sport" più bello che abbia mai letto, ma la verità su questo particolare mistero del talento sportivo la dice David Foster Wallace nel saggio Come Tracy Austin mi ha spezzato il cuore. "La risposta vera, multivelata, alla domanda di cosa passa per la testa di un grande giocatore mentre se sta al centro dei rumori ostili della folla e prepara il tiro libero che deciderà l'esito della partita, potrebbe essere benissimo: Niente di niente". Per DFW questo mutismo degli atleti di fronte al proprio dono potrebbe non essere soltanto "il prezzo di quel dono", ma "l'essenza" stessa che ne rende possibile l'incarnazione nei singoli gesti tecnici.

Ecco, la mia teoria è che a rendere la testata di Zidane un gesto tecnico sia la grandezza del mistero che si cela dietro di esso, il perché, cioè, Zizou abbia scelto di colpire proprio Materazzi, e colpirlo al petto, e con una testata, e nel secondo tempo supplementare di una finale di Coppa del Mondo, e durante la sua partita di addio. Non è solo una reazione istintiva (sarebbe semplicemente assurda) ma un gesto tanto prezioso quanto inspiegabile di cui, sul piano umano e non solo, ne sta ancora pagando le conseguenze.

Il pezzo potrebbe anche finire qui. Ma siccome sono un grande ammiratore dei momenti di solitudine dei calciatori, dei silenzi in cui la distanza incolmabile tra noi e loro si fa quasi materia (a differenza di quanto accade nei documentari in cui si cambia il finale della storia) quelli che seguono sono altri due play by play realizzati guardando il video di Zidane.

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Sarebbe molto bello se ci fossero delle immagini di Zidane che guarda i suoi compagni perdere la Coppa del Mondo ai rigori, solo, su un televisorino negli spogliatoi, come ha raccontato di aver fatto nel 2006. In alternativa vi mostrerò un momento equivalente.

Il documentario è quello girato per il mondiale del 1998: Les yeux dans les Bleus. Sappiamo tutti come finirà: Zidane segnerà una doppietta in finale contro il Brasile di Ronaldo e Rivaldo e vincerà il Pallone d'Oro. Ma durante una delle prime partite contro l'Arabia Saudita, Zizou calpesta un avversario a terra che gli ha fatto un'entrataccia (cartellino rosso e due giornate di squalifica) e rientra tutto solo negli spogliatoi (42'15"). Si leva la maglia spalle alla camera e la getta a terra dietro di sé. Con una specie di cerotto rettangolare sulla schiena cammina verso la doccia e dà una pacca sul muro convesso, accarezza la curva del cemento. Si slaccia i pantaloncini, raccoglie una borraccia da terra e si tira l'elastico. Guarda in camera, ma di traverso, si stropiccia gli occhi e si siede sulla panca di legno. Beve un sorso dalla borraccia e mentre sta per slacciarsi lo scarpino sinistro, col piede sul ginocchio opposto, entra qualcuno a dirgli che Henry ha appena segnato: Zidane a testa bassa sospira: "Aiaiaiai".

Nel film artistico Zidane, un portrait du 21e siècle, (ispirato al film del 1970 di Hellmuth Costard su George Best: Football as never before), realizzato puntando 17 telecamere su Zizou durante una partita di campionato del Real Madrid contro il Villareal, ci vengono mostrati i momenti che di solito restano fuori dalle inquadrature televisive. La camera è così stretta sul numero 5 che è impossibile capire cosa stia succedendo attorno a lui. Le situazioni importanti della partita nascono inaspettate, come se fossero uscite direttamente dalla testa di Zidane. Al tempo stesso, nonostante la camera provi a infilarsi nella pupilla di Zizou resta un mistero quello che stia succedendo dentro quella stessa testa.

Dopo due minuti Zidane colpisce la palla di tacco e il pubblico sussulta. Zidane si gratta la testa, la pancia, si asciuga il sudore con il palmo della mano e con l'interno del gomito. Indossa una canottiera, sotto la camiseta. Sputa. Fa un triangolo con Beckham. Corre in avanti girando guardando dietro di sé. Chiama la palla indicando il punto sulla sua corsa in cui  vuole ricevere il passaggio. La stoppa con grazia, facendo oscillare la gambe come le braccia di un compasso. Zidane è su un altro pianeta, completamente assente, ed è esattamente questa la qualità della sua concentrazione. Sembra voler battere una punizione, chiama la distanza, ma poi si allontana dal punto di battuta senza dire niente. Respira, guarda i riflettori e la musica dei Mogwai fa pensare che quello sia un momento mistico. Saltella, applaude, si mette le mani sui fianchi. Zidane è meno in forma che durante il Mondiale 2006, che però è posteriore. Si tira su i calzettoni, si soffia il naso nella mano. Rigore per il Villareal: Zidane cammina fino all'arbitro, sembra volergli dire qualcosa ma poi non dice niente.

Solo quando torna all'altezza del dischetto di metà campo, dopo che il Virreal ha segnato il rigore, dice che non c'era fallo. Camminando, Zidane punta il piede di dietro, trascinandolo per una frazione di secondo sul terreno, grattando l'erba del Bernabeu. Zidane dice solo: "Ey, ey" oppure "Va, va, vale". Più passa il tempo più i suoi muscoli si sciolgono e meno sembra avere il controllo del suo corpo. Gli si arrossano le guance. Riceve una palla, non si capisce che è dentro l'area di rigore, fa un doppio-passo, se l'allunga e con un cross scavalca il portiere facendo segnare Ronaldo di testa a porta vuota (no, la palla non sarebbe entrata da sola). Roberto Carlos lo indica felice, lui non ha la benché minima reazione. Dopo il gol sembra diventare nervoso. La sola volta in cui sembra dire qualcosa di significativo noi non lo sentiamo. Scuote la testa. Roberto Carlos gli dice qualcosa e i lui ride. Torna serio, prova a recuperare palla ma non ci riesce, ci ripensa e ricomincia a ridere. Si gira per cercare Roberto Carlos con lo sguardo, non sappiamo se continua a ridere da solo o se Roberto Carlos ride con lui. Chiama palla, è di nuovo sott'acqua, ventimila leghe sotto al mare.

Un attimo dopo Raul, a trenta metri di distanza, accenna a una reazione con un avversario. Non sappiamo cosa è successo ma Zizou scatta, si mette in mezzo e si mescola con la folla di giocatori accorsi per la rissa. I pixel di cui è composto il suo corpo si fondono con quelli del resto dell'umanità rappresentata sul quel campo da calcio. Zidane prova a impedire che l'arbitro estragga il cartellino rosso.  Zidane esce dal campo ed esegue gli stessi gesti della finale di Berlino: si srotola la fascetta dal polso, trascina i piedi, cammina a testa bassa verso l'uscita. Il pubblico si alza in piedi per salutarlo. La magia è tutta qui. Una partita di calcio dura il tempo perfetto per cui le cose che possono accaderci dentro siano un concentrato di quelle che possono accadere nell'arco di un'intera vita. A volte, basta anche meno di un'ora e mezza.

Segui Daniele su Twitter: @DManusia