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Attualità

Cinque semplici mosse per rendere la TV italiana meno schifosa

Nonostante sia ancora il mezzo di intrattenimento preferito in questo paese, la televisione italiana è legata a un immaginario ormai vecchio: questi sono tutti i temi, i format e le cose che devono cambiare per rendere migliore la TV italiana.

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Facebook.

Ci piace guardare la tv. Internet ha scalfito questo dato di fatto molto meno di quanto si penserebbe, visto che rimane comunque un mezzo di informazione e intrattenimento per un grasso 80 percento di noi. Per questo è abbastanza importante seguire le evoluzioni della tv italiana, che ultimamente sta vivendo uno dei suoi primi veri cambiamenti strutturali da un sacco di anni a questa parte. Come il passaggio dal paleozoico al mesozoico, però molto più lento e sanguinoso. Uno dei segnali più significativi, anche se non ancora molto visibile, è quello delle nomine fatte alle direzioni Rai, che per la prima volta hanno portato degli "esterni" nei posti dirigenziali apicali (per capire bene la portata storica dell'evento è importante ricordare che in Rai la parola "esterni" è vissuta con l'agio e il favore con cui io penso alla Guardia di Finanza o all'Isis). Questi esterni sono per lo più persone con reale esperienza televisiva e gravitanti intorno a Milano. Gente con una evidente conoscenza tecnica del mezzo, gente competente, gente che non sa dire "sticazzi" nel senso giusto. È per questo che alcuni cominciano a sospettare che ci sia la possibilità di un reale cambiamento. I 100 autori, ad esempio, che sono la più importante associazione di professionisti di cinema e tv, hanno inviato una lettera a Campo dall'Orto supplicandolo di lasciarci vedere, a questo punto, qualcosa di decente in tv. Ma più in generale c'è un evidente interesse attorno all'argomento, e anche solo il fatto che il canone sia stato inserito in bolletta giustifica questa improvvisa attitudine collettiva a sentirsi direttori di palinsesto. La tv italiana per come la conosciamo oggi, soprattutto quella pubblica, è equamente suddivisa in pesanti mancanze sia in termini di informazione che di intrattenimento da una parte e prodotti indegni di un paese industrializzato dell'Occidente dall'altra. Per fortuna ci sono delle—rare—eccezioni persino all'interno della stessa Rai, ma non bastano a sostenere da sole l'intero ecosistema televisivo nazionale.

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Capita anche che qualcuno provi ad addossare al pubblico la responsabilità di una tv statica e sempre uguale a se stessa, come se le persone fossero tutte una sorta di indistinto branco coprofago. In realtà è ovviamente la qualità dell'offerta a determinare la risposta del pubblico, come dimostrano casi di successo come Boris o Gomorra o qualsiasi altra cosa con cui Sky sia riuscita a guadagnare. Abbiamo quindi raccolto un po' di elementi da aggiungere o di cui privare la nostra televisione. Ovviamente si tratta di piccolezze. Giusto qualche sfumatura, ecco: ABBIAMO DAVVERO BISOGNO CHE LA TV CI "INSEGNI" QUALCOSA? Esistono un sacco di modi per tentare di decodificare una realtà, per quanto complessa, e le serie tv sono uno di questi. Guardando House of Cards o The Newsroom o The Wire o persino un evidente mezzo di propaganda come Homeland si ha l'impressione di assistere a un ritratto abbastanza preciso e sofisticato di alcune fette di realtà, spesso non immediatamente accessibili nella vita dello spettatore medio.

Il racconto di solito prova a porsi in maniera problematica e a sollevare delle domande in chi guarda, diventando così strumento di dibattito collettivo ed elevando effettivamente la propria funzione dall'intrattenimento a un'entità definibile come cultura. Nel caso questa fosse vissuta da qualcuno come un'ambizione secondaria, invito tutti a immaginare i miliardi di petroldollari che hanno incassato serie trasmesse in tutto il mondo. Proviamo ora a spostarci di qualche migliaia di chilometri: Giovanni Paolo II.
Enrico Mattei, l'uomo che guardava al futuro.
De Gasperi, l'uomo della speranza.
Don Bosco.
Salvo D'Acquisto.
Volare, la grande storia di Domenico Modugno.

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Una cosa che sfugge a chi promuove questo tipo di racconto della realtà in Italia è che non sono le fiction—neanche quelle fighe—a insegnare i valori alle persone e far sì che si comportino da bravi cittadini. Per quello ci sono le leggi contro l'omicidio e le tasse. Il compito di una fiction mainstream e universale per come viene intesa da un canale con l'impatto di pubblico che ha la Rai, è intrattenere con un prodotto di alta qualità artistica non morale.

C'è sempre questo malinteso. Non mi è mai capitato di dovermi nutrire di cibo già masticato da altre persone, ma immagino che la sensazione non sia dissimile dall'assistere a una fiction Rai sugli anni di piombo—cosa che invece mi è capitata. Inoltre i modi di raccontare la contemporaneità non si esauriscono a: telegiornale—fiction—Enrico Ghezzi. È il caso delle storie vere, girate senza essere appesantite necessariamente con dei giudizi. I più avanguardisti li chiamano "documentari".

Sono la prima vera mancanza del mondo televisivo italiano e si scontrano con il continuo luogo comune della mancanza di pubblico, mentre nello stesso momento sono fra le produzioni BBC più seguite, premiate e conosciute nel mondo. Verrebbe da pensare che gli inglesi potrebbero essere persone migliori e più interessate di noi al mondo e alla vita, poi per fortuna ti ricordi di Ed Sheeran e in generale delle loro dentature, e capisci che non può essere così. O CHE SI DEBBANO "SVECCHIARE" DETERMINATI FORMAT/PERSONAGGI? Non credo di ricordare un singolo caso di successo di operazioni tipo queste. A dire la verità non riesco a immaginare nello specifico a chi mai possano davvero essere rivolte. Nessuno sano di mente può essere convinto che sia possibile "ringiovanire" Sanremo o Il Rischiatutto.

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La ragione è semplice: quella generazione di giovani è più o meno quasi tutta morta. Il linguaggio di questo tipo di trasmissioni è abbastanza incomprensibile al ventenne medio e questo va bene, è sano. Storpiare il senso e la struttura di trasmissioni o personaggi storici ottiene come unico risultato di non piacere neanche al pubblico di riferimento perché—ecco un altro segretissimo segreto—ai giovani piacciono le cose nuove e gli altri giovani.

Attualmente la televisione italiana ripiega su un'idea di gioventù totalmente scollata dalla realtà, in cui c'è un perenne oscillare fra "adolescente basso, ribelle, ma in fondo buono e affezionato alla sua famiglia allargata e alla sua nuova madre Elena Sofia Ricci" a "trentenne un po' bambinone ma simpatico che finge di avere vent'anni." Nel mezzo, il nulla. Nel mezzo Bruno Vespa. Non c'è invece alcun tipo di rappresentazione credibile per i giovani (veri) italiani che sostanzialmente la tv assorbe in due forme: giovani youtuber e giovani autori.
Entrambe la figure in genere vengono di peso sollevate dal fango dell'internet, da mano paterna e caritatevole, usa a offrire opportunità di lavoro in cambio di quello che generalmente percepisce come "potenziale" ma che non saprebbe molto bene definire se non come "ha un sacco di follower!" È bello che ci sia disponibilità e ricettività verso nuovi talenti, un po' meno bello—e un po' semplice anche—pensare di inserirli negli stessi identici meccanismi di creazione/produzione che portano avanti da secoli e secoli, pensando di renderli cosi efficaci.

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Un ragionamento che mi piace immaginare così: "Idea! Ma quanto ci starà bene Willwoosh in questa fiction non scritta né pensata da giovani che non ha nessuna altra attrattiva per i giovani se non la faccia del povero Willwoosh? Ci starà da Dio! Che idea pazzesca ecco qualche milione di euro per realizzarla! Ah stavolta sì che vi abbiamo intercettato, giovani! C'è Willwoosh. Che cazzo volete. Sti giovani."

Assorbire davvero dei talenti giovani significherebbe non solo notarli, ma metterli nelle condizioni di sperimentare con forme e linguaggio, lasciare che trovino da soli la via di comunicazione, senza irrigidirli in schemi che non gli appartengono o confinarli nell'"angolo internet" che ha ormai ogni trasmissione che si rispetti.

A PROPOSITO, INTERNET E INFORMAZIONE È vero che molti programmi italiani si sono dotati di reparti digital volenterosi e funzionali, qualcuno con una comunicazione davvero efficace, e questo è un buon segnale di attenzione. Ma il punto, secondo me, non è tanto imporsi di mandare Sanremo in trending topic a furia di battute, ma tentare di creare un coinvolgimento effettivo con i format che lo consentono.

E soprattutto, è un po' inutile caricare l'internet di obiettivi che non può raggiungere: il cambiamento della televisione deve partire dai parametri con cui è pensata la televisione stessa, non dal suo portale internet con i contenuti extra. Da quando Sky e poi Netflix sono piovuti nelle nostre vite, sia Rai che Mediaset hanno dovuto forzatamente confrontarsi con esperienze diverse di fruizione, con un concetto di palinsesto totalmente smembrato e soggettivo, ma anche con prodotti indiscutibilmente creati e gestiti meglio sotto tutti gli aspetti. Questo ha stimolato una sana competizione. Peccato che finora gli unici risultati degni di nota siano l'entusiasmo con cui la Rai aveva sospeso Non Uccidere perché non ha risposto immediatamente in termini di pubblico come si aspettavano.

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Sempre rimanendo in tema politico, la completa mancanza della politica internazionale dei nostri schermi non ci aiuta a uscire da questo buffo isolato mondo cattolico che siamo costruiti negli anni. Anche perché l'unico effetto è il tenerci fuori dai dibattiti collettivi più urgenti non solo in tema di diritti ma anche in tema di politica economica, immigrazione, guerre, scambi commerciali e tutta una serie di cose che a naso sembrerebbero mediamente più importanti più della novecentesima opinione di Formigoni sull'utero in affitto. COSA DOVREMMO FARE CON LA SATIRA? Ho sempre pensato che non amiamo particolarmente la satira. Per tradizione preferiamo una comicità meno feroce e di parola, fatta di gag e faccette. Per cui non stupisce particolarmente che la sparizione del bersaglio comico più facile mai esistito, cioè Berlusconi, sia corrisposta anche allo smosciamento totale di qualsiasi tipo di satira politica un po' aggressiva. Da noi difficilmente un programma come The Daily Show di Jon Stewart o un personaggio come Charlie Brooker sarebbero potuti arrivare alla rilevanza nel discorso pubblico che occupano in USA e Regno Unito. Jon Stewart, ad esempio, ha trasformato un segmento quotidiano di approfondimento satirico delle news (quello che da noi è Striscia la Notizia, per intenderci) nel più feroce osservatorio mai esistito sulle manipolazioni dei media da parte del potere, portando il programma a diventare una vera voce politica del paese. Brooker in Inghilterra ha tenuto per anni segmenti a tema televisivo o politico semplicemente sbraitando dal suo divano, cambiando la percezione popolare di quello che dovrebbe essere oggi un "intellettuale".

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Qui c'è un buco. E il problema più grande non è che le imitazioni innocue di Crozza, tutte parrucche, accenti e faccette non bastano a riempirlo. Il problema più grande è che questo buco viene comodamente riempito da blob informi composti di demagogia, comicità triviale e Mediaset. Format come Striscia la Notizia o Le Iene possono essere "pericolosi" perché hanno un pubblico così ampio da arrivare a modificare la stessa percezione comune del termine "satira". È una comicità che manca di analisi ma in compenso puzza di catechesi da appestare le stanze. Soprattutto risponde ad altri canoni che non sono quelli dell'intrattenimento e della critica culturale, ma quelli del soddisfare delle pulsioni molto immediate e universali di "giustizia popolare" e di rivincita. Non sembra essere concesso nessun tipo di satira analitica, portata alla riflessione sulla contemporaneità. Per noi c'è Lucianina. INFINE So che suonerà particolarmente sconvolgente, ma le idee belle non necessariamente sono costose. Una cosa che invece in genere sono necessariamente è: pericolose. Non perché debbano per forza parlare di spontaneismo armato, ma perché sono nuove e a volte sono anche poco comprensibili immediatamente a un pubblico ampio o peggio ancora agli investitori pubblicitari. Il coraggio editoriale invece è gratis ed è l'unico elemento fondamentale per innovare. Certo i modelli vincenti delle televisioni straniere, certo un ricambio generazionale, certo un'attenzione diversa a internet e certo una ricerca più oculata delle risorse artistiche in tutte le loro forme, ma il punto fondamentale rimane, per usare un'espressione tecnica, non cagarsi sotto. Sia dei prodotti alti che tutti rimpiangono della Rai del passato sia nella sperimentazione. Di base il senso di una televisione pubblica dovrebbe essere riequilibrare la propria presenza sul mercato proteggendo e producendo opere di valore culturale adeguato. Il che non vuol dire che anche le baracconate—ovviamente necessarie in tv—non si possano gestire con una forma mentis più moderna.

Diciamo una sensibilità per il nuovo e la contemporaneità che abbia ormai metabolizzato le grandi ferite sociali come il divorzio e gli uomini con i capelli lunghi e sia più o meno pronta a ottenebrarci di nuovo come tutti in fondo desideriamo.

Alla fine non chiediamo tanto, no?

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