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La Versilia è ancora bloccata negli anni Sessanta

Nel 2014, la Versilia è uno degli esempi più lampanti della decadenza delle principali mete turistiche italiane. Siamo andati a vedere chi continua a tornarci, tra giovani-anziani e i russi padroni del trash.
Niccolò Carradori
Florence, IT

Sono le due di notte. Sto camminando per il centro di Forte dei Marmi in cerca di un anfratto che non sia fatto di cedro laccato dove potermi accomodare, trascinando per il braccio un amico sbronzo che fino a qualche minuto prima minacciava di accasciarsi sulla vetrina di un negozio monomarca. Ho passato la serata presidiando il Caffè Morin e l'Almarosa—due punti di ritrovo per fighetti in cui il costo per una coca e un cuba libre è 15 euro—e intervistando ragazzi con capelli troppo phonati e pantaloni color salmone nel tentativo di farmi un'idea precisa sui motivi che li spingono a passare l'estate in Versilia.

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Ho deciso di venire qui perché rappresenta uno dei più lampanti esempi della decadenza che sta colpendo molte delle più famose mete turistiche italiane. Posti che vivono di rendita da una vita—Riviera Romagnola, Costa Smeralda ecc ecc—ma che registrano ogni anno cali di affluenza sempre maggiori. La Versilia, ormai da tempo, sta attraversando un'involuzione direttamente proporzionale al boom del Salento.

E in un certo senso la Versilia è la nemesi del Salento: non soltanto perché da sempre non fa affidamento su un vero e proprio turismo di massa, ma perché l'offerta di intrattenimento si ripete per mitosi da 40 anni.

Nonostante da qualche parte si tenti di spacciarla per il buen retiro di un ipotetico gotha della politica italiana—quest'anno Renzi, la Boschi, e la Giannini hanno passato le vacanze qui—la verità è che il modello basato sulle presenze ragguardevoli e l'aura che questo posto si porta dietro dal boom economico probabilmente non funziona più.

Lungo una delle stradine che si intersecano attorno al minuscolo fortino del centro ci vengono incontro due ragazze sui diciotto in bicicletta; indossano degli abiti da sera antidiluviani, e portano dei cappelli ellittici di paglia con nastri svolazzanti. Vengono dall'Hotel Villa Roma Imperiale—lo stesso in cui ha alloggiato Renzi—dove si è tenuto il Ladies day, una parata ispirata alla nobiltà britannica in cui si sfoderano lignaggio e guardaroba eccentrico.

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Le guardo allontanarsi, e penso alle loro coetanee che stanno contraendo malattie veneree sulle spiagge di Pag.

Così mi fermo a riflettere sul fatto che probabilmente l'unico modo per salvare questo posto dalla prospettiva di vendere tutto ai russi è gettarsi in un revival ancora più profondo di quello che è sempre stato in atto: abbandonare il mito arrugginito degli anni Sessanta, e optare per un ritorno a convenzioni rococò e manierismi da Restaurazione.

Che poi in realtà negli anni Sessanta manco si poteva parlare di vero e proprio turismo, qui: all'epoca era un posto esclusivo frequentato da un'élite che ostentava non solo prestigio economico, ma sociale. L'esplosione cambriana del turismo è avvenuta negli anni Ottanta ed è proseguita per tutti i Novanta, quando un paio di generazioni della medio-alta borghesia sono venute a sperperare patrimoni in aperitivi, canticchiando i tormentoni di Giuni Russo e cercando l'osmosi che gli avrebbe fatto fare un ulteriore scatto di casta. Ed è esattamente questo il fenotipo che si sta estinguendo da queste parti: la crisi economica ha minato quella fascia intermedia che pagava smisuratamente pur di venire a fare i piccoli Gatsby e prendersi un pezzo striminzito di qualcosa che probabilmente non esisteva più già da tempo.

Nell'ecosistema della Versilia, il vuoto lasciato da questi arrampicatori sociali decaduti è stato preso, appunto, dai russi. Sono in minoranza rispetto alla progenie degli aficionados, ma rappresentano la spina dorsale del profitto turistico. Li riconosci subito, perché le donne girano in abiti di lamè e sandali intarsiati di gemme anche alle tre del pomeriggio, e gli uomini fissano tutti con uno sguardo che a tratti richiama questi cartelli di benvenuto.

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A differenza degli italiani che ho intervistato, i russi sono apertamente coscienti del motivo per il quale attirano la mia attenzione. Ma sono inamovibili nel rifiutare sia domande che foto. Hanno la diffidenza risoluta e motivata di chi possiede un livello di benessere economico che si potrebbe definire immortale. Nonostante l'affluenza di denaro però, non riscuotono molta simpatia da queste parti.

La giustificazione più diffusa è che sono maleducati e rozzi, ma osservandoli attentamente mi sono sembrati molto meno molesti dei turisti americani che frequentano Firenze d'estate. E a Firenze sono in pochi quelli che si lamentano degli americani, non solo perché portano soldi, ma soprattutto perché se ne vanno in giro a bocca aperta con la faccia di chi ha la sindrome di Stendhal.

Il motivo di tanto astio, secondo me, è che i russi a Forte dei Marmi si comportano come se fossero i padroni, e c'è una ragione precisa: lo sono. Due terzi delle abitazioni appartengono a loro. Ma se ne stanno svaccati sui divanetti dei pochi locali in cui gravitano, con l'aria impassibile di chi non è assolutamente coinvolto da quello che lo circonda, anche se se lo è comprato.

La maggioranza dei ragazzi italiani che ho incontrato, invece, passa l'estate qui fin dall'infanzia. Frequentano da generazioni lo stesso stabilimento balneare a conduzione familiare—in cui il costo stagionale per una tenda è in media fra i 3000 e i 5000 euro. Passano le giornate in spiaggia con gli amici di una vita, e la sera vanno negli stessi identici locali—come la Capannina di Franceschi o il Seven Apple—in cui avrebbero potuto andare 30 anni fa. In alternativa ci sono il Twiga di Briatore, l'Ostras Beach, e il Beach Club, che ha aperto da pochi anni. Niente feste in spiaggia, perché la porzione libera è praticamente inesistente.

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"Continuo a venire qua perché è caratteristico. Conosci tutti, c'è un clima familiare. Fondamentalmente le cose da fare sono sempre le stesse, e ovviamente se dovessi passare tutta l'estate in Versilia mi sparerei. Quest'anno per esempio sono stata a Mykonos e a Panarea," mi dice una ragazza fuori dal Caffè Morin. "Però in inverno questo posto mi manca."

Moltissimi di quelli con cui ho parlato l'hanno messa sulla nostalgia, che sembra essere la vera, e costosissima, attrattiva.

Se il calo sia dovuto al fatto che la maggior parte delle persone non può semplicemente più permettersi di venire qua, oppure che qualcuno abbia cominciato a capire che il clima familiare, la nostalgia, e zero intrattenimento non li puoi pagare una media di 453 euro a notte, non è dato saperlo.

Resta il fatto che persino chi la frequenta da una vita organizza le vacanze serie da un'altra parte, e viene qui per una sorta di ritiro estivo. In sostanza, lascia basiti il fatto che perfino l'idea di turismo di Briatore sia più pragmatica di quella della Versilia.

In realtà, nonostante il sostrato culturale basato sull'esclusività sia sempre stato imperante, alla fine degli anni Novanta e per buona parte dei Duemila da queste parti era possibile trovare anche altro rispetto ai posti fighetti con selezione all'ingresso. A Marina di Pietrasanta per molto tempo c'è stato un locale che pur cambiando nome quasi ogni anno—prima Dive, poi Goodfellas, poi TK—proponeva serate con musica hardcore, e spesso potevi vedere arrivare pullman pieni di gabber bergamaschi e bresciani.

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La Canniccia, che era il baluardo tamarro della Versilia, ha chiuso qualche anno fa. Una delle poche serate che attira una clientela leggermente più variegata è quella hip hop al Seven, il martedì. La direzione non mi ha dato il permesso di entrare, ma stando fuori dal locale noto che non c'è poi molta gente. "Rispetto agli altri anni praticamente non viene nessuno. Il piazzale era pieno, ci mettevi una vita a entrare," mi dice Marco, un ragazzo di Pisa.

"Comunque sia resta una delle poche serate in cui non ti serve la camicia."

Niente camicia.

L'alternativa alla discoteca, invece, è segregata nella darsena di Viareggio. Che viene frequentata soprattutto dalla gente del posto, e da quelli che schifano tutto l'apparato socio-emotivo della Versilia. Lungo la darsena ci sono un sacco di pub e posti con musica dal vivo. Come il Corsaro Rosso.

Ma per farmi, e potervi dare, un'idea precisa del tipo di serata che uno dovrebbe aspettarsi venendo qua, visto che dal Twiga mi hanno fatto sapere che i responsabili non avevano mostrato interesse verso il mio reportage— e che comunque rappresenta quel tipo di locale in cui si sciabolano bottiglie da millemila euro come ne esistono un po' dappertutto—decido di andare alla serata del mercoledì in Capannina. La serata di Jerry Calà.

La Capannina di Franceschi è il locale più longevo d'Italia. Ha aperto nel 1929. Da sempre l'immaginario di questo posto ruota attorno alle frequentazioni socialmente rassicuranti. Il name dropping è infinito: ci venivano gli Agnelli, i Falk, i Moratti (che continuano a venirci). Ci sono stati Montale, Ungaretti e Primo Levi. C'è stato persino Kennedy. È un simbolo del boom economico degli anni Cinquanta e Sessanta: sul palco si esibivano Edith Piaf e Paul Anka, e più tardi anche Ray Charles.

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Ora ci bazzicano Sallusti e la Santanché, insieme a tronisti rottamati, ex calciatori e quel genere di tizi che valicano la membrana della notorietà solo perché frequentano tutti i suddetti, nonostante siano quelli che se la tirano di più.

Comunque sia è forse l'unico locale in Versilia che non ha subito il contraccolpo della crisi e del calo del turismo. C'è sempre la fila per entrare, e da 18 anni Jerry Calà fa il tutto esaurito ogni mercoledì.

Mi metto d'accordo con l'ufficio stampa e mi concedono anche due minuti con Calà.

Appena arriviamo ci viene incontro il fotografo che lavora per la Capannina, Fabrizio, che avevo sentito al telefono il pomeriggio. Ci prende sotto la sua ala protettrice e ci guida attraverso un tunnel di pubbliche relazioni senza fine. Ogni due minuti mi posiziona fisicamente davanti a qualcuno e me lo presenta, basito dal fatto che io non sappia nulla di costui e che non sia in grado dissimulare in alcun modo.

Al bancone del bar mi presenta un ragazzo abbronzato,"lui è Gianni, il PR più importante della Versilia." Gianni è leggermente imbarazzato, ma per staccarmi un attimo da quel bombardamento di aneddoti e persone lo prendo da parte, e mi faccio un po' spiegare come è andata questa stagione.

"Un po' di calo in Versilia effettivamente c'è stato, ma noi come locale non abbiamo sbagliato praticamente niente. Attiriamo un tipo di clientela affezionata e fidelizzata. Del resto la Capannina è la Capannina: 85 anni di storia che parlano da soli. Ogni anno si aggiunge una nuova generazione di clienti che cerca esattamente quello i nostri ospiti hanno sempre trovato: tradizione. La Capannina non chiuderà mai, male che vada diventerà un museo!"

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"E poi è un posto sempre ben frequentato. Il mondo del jet set d'estate si ritrova qui, ad esempio prima ero al telefono con Nek." Resto un attimo assorto per focalizzare bene le implicazioni di Nek sulla nomenclatura della Versilia.

Poi Fabrizio mi preleva e mi porta nel privè, che si trova al piano terra, in una veranda che affaccia sulla strada, completamente esposto alla vista dei passanti. Mentre camminiamo cerco di riconfigurare la mia percezione della parola privè. Vicino a un pianola, su un divanetto, è seduto un uomo sorridente, con la fronte che riflette la luce come se l'avessero levigata con lo Smac. È Stefano Busà, il musicista che da anni si occupa del pianobar. Come tutti i membri dello staff è estremamente accogliente e gentile. Ci mostra dei braccialetti di gomma, "sopra ci ho fatto scrivere il mio motto, e li distribuisco ai clienti." C'è scritto Al pianobar da Busà. "Vanno tutti fuori di testa quando sostituisco il verso di una canzone con il mio motto. Come ad esempio in '50 Special' dei Lunapop." Sembra che ne vada molto fiero, e ce ne regala alcuni.

"Vedi, il mio è uno spettacolo intergenerazionale. A volte vorrei un po' variare, ma i pezzi che vanno per la maggiore sono i classici. Quando vedi arrivare dei sedicenni che ti chiedono 'Bugiardo' della Caselli capisci che la formula funziona così com'è. La novità di quest'anno è stata 'Fiori rosa fiori di pesco', vedi tu! Sono i figli dei figli di vecchi clienti affezionati, e cercano la Versilia classica, così come gliel'hanno raccontata."

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"Ed è proprio questo che distingue la Versilia da qualsiasi altra località per turisti facoltosi, qua i rapporti sono rodati e genuini. Si sentono tutti a loro agio."

Mi verrebbe da obbiettare che i rapporti sono genuini perché la selezione sociale che annulla i gradi di separazione è già stata fatta qualche fascia di reddito addietro, al momento di prenotare la vacanza, ma mi limito a ringraziarlo e lo lascio ripassare la scaletta.

Il locale comincia a riempirsi. Mi metto seduto su una cassapanca da cui si vede tutta la pista. La cosa che colpisce più di tutte è la massiccia presenza di over 60.

Alcune ragazze entrano accompagnate dai genitori, come Marina Suma in Sapore di Mare.

È una miscellanea demografica strana da osservare, e perdo un sacco di tempo immaginandomi le conversazioni fra genitori—con argomenti incrociati che coinvolgono pomate drenanti, guaine contenitive ed estetiste—mentre attorno i figli tentano di ballare tormentoni di sei estati fa, e divertirsi. Un agglomerato di nevrosi borghesi su cui Jonathan Franzen potrebbe basare altri cinque romanzi.

Un sacco di ragazzi sono pettinati esattamente come i loro padri, che ballano sgraziatamente con gli addomi gonfi stretti in camicie stretch. Quando parte un vecchio pezzo dei Black Eyed Peas uno di loro caccia un semi urlo, e improvvisa quella che sembra una crisi convulsiva.

"Ma dove mi hai portato? È un safari del disagio," mi dice la fotografa.

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Finalmente riappare Fabrizio, che ci accompagna nei camerini in attesa di Calà. Comincio a essere nervoso. Quando arriva ha la faccia stanca e un po' infastidita. Ci infiliamo tutti nell'ufficio del direttore, e lui si siede alla scrivania. Tento di strappargli una foto un po' meno impostata ma lui non la prende bene, "ho 60 anni, non faccio più le faccette!"

La prendo larga, cercando di incartargli alla meglio una domanda di cui so già la risposta, ma non mi lascia nemmeno finire. "Ma perché mi fate tutti le stesse domande?!…Non è cambiato un cazzo! I ragazzi sono sempre uguali, e vogliono quello che hanno sempre voluto. Al mio spettacolo non si viene solo per divertirsi: è un momento di aggregazione. Si cantano insieme le vecchie canzoni e intanto è possibile dialogare. Trovano qualcosa che non riescono ad avere su Facebook o andando a sfondarsi di musica elettronica."

Quando lo incalzo sul fatto che i suoi core business, Cortina e Forte dei Marmi, stanno perdendo pezzi non si scompone. "Della crisi e del maltempo qua ce ne freghiamo. Se piove alla Capannina si fanno una pippa, il locale è sempre pieno. Cortina invece è stata ammazzata, e probabilmente lo stesso succederà al resto della Versilia. Il punto è che in Italia non puoi più fare niente. Il turismo viene strangolato dal sospetto: limitazioni sui soldi agli stranieri, controlli fiscali asfissianti. Vige la mentalità secondo cui se hai i soldi sei un ladro. Ma poco importa. Può morire Cortina, può morire Forte dei Marmi, ma Jerry Calà e la Capannina non muoiono mai!" Ci tiene però a chiarire che non è a favore dell'evasione fiscale, e che quello che ha da dire sulla questione lo ha fatto nel film Io non pago , di cui ha scritto il soggetto .

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Quando ci congediamo Fabrizio ci chiede di non tornare dalla parte del privè, perché alcuni clienti iniziano a essere stufi della nostra presenza.

Così mentre inizia lo spettacolo ci spostiamo dall'altro lato del locale, in una piccola zona all'aperto dove passano pessima musica deep house. Qui incontro Moreno (un nome di fantasia), che è di Milano e viene in Versilia da quando è nato. Mi chiede di non essere fotografato, "non sono qui con la mia fidanzata ufficiale," mi dice mentre mi strizza l'occhio. Moreno è un piccolo Dogui con la camicia di lino e il ciuffo che spenzola.

"La Capannina non è solo un locale, è un luogo dell'anima," dice. "Vieni qua, bevi qualcosa, stai con gli amici. Sei sicuro che la gente che frequenta questo posto è super selezionata. Certo forse può sembrare un po' noioso, ma è non tanto il divertimento che trovi in Versilia, è l'atmosfera."

Ci passa davanti una ragazza bellissima con un vestito nero attillato. Con i tacchi è alta quanto me (1,84). A dire la verità la percentuale di belle ragazze fa impressione. Moreno mi mette una mano sulla spalla e si avvicina, "ecco forse il tasto dolente è questo: si scopa poco. Le stesse ragazze che a Ibiza e Mykonos si fanno inchiavardare come portoni qua mantengono un profilo morigerato. Se non vuoi rimanere a secco devi portarti qualcosa di trombabile da casa." Scoppia di nuovo a ridere.

Rientriamo nella sala principale e saliamo al piano superiore per fotografare Jerry dall'alto. "Ho 63 anni, ma non mollo! E sono sempre un figo della Madonna… come Aiazzone: provare per credere!" Attacca "Voglio una vita spericolata". Tutti cantano, e non c'è spazio per muoversi nemmeno sulle scale.

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La battuta su Aiazzone gliel'ho sentita fare nel video di uno spettacolo precedente, così come quella dei chilogrammi compiuti da Smaila e l'intermezzo in cui fa il countdown e invita tutti ad unirsi a un LIBIDINE collettivo.

Sono le 3, e decidiamo di andarcene sulle note di "Abbronzatissima", anche se in realtà veniamo accompagnati all'uscita perché Fabrizio ci ha visto avvicinarci al privè e si è arrabbiato. Poco male.

Vengo via con il sospetto che, nonostante la fiducia di Calà, serate come questa abbiano i giorni contati.

I russi, probabilmente, Jerry Calà non sanno nemmeno che esista. Frequentano esclusivamente posti che si sono adeguati alla loro presenza e che garantiscono discrezione, come il Cocoa o il Twiga (che pronunciano Zwiga), e soprattutto ignorano gli storici bagni con le cabine intonse risalenti al giurassico.

Ovviamente c'è chi lo sa, e ha provato a rimediare. Salvatore Madonna, affiancato da Ludmilla Radchenko, ha realizzato un video per il bon ton da presentare ai clienti dell'Hotel Byron. Nel video si fanno riferimenti all'etichetta da tenere a tavola, alle moderazione nel vestiario, e richieste di maggior rispetto per i subalterni. Il suo, però, non mi è sembrato solo il tentativo di migliorare il comportamento degli ospiti del suo albergo, ma un modo per cercare di ristabilire una sorta di ordine fra chi un tempo era il padrone e chi l'ospite. Così l'ho contattato per saperne di più.

Mi ha invitato alla presentazione della mostra della Radchenko, proprio all'Hotel Byron, per parlarmi un po' dell'idea che ha avuto e della situazione in cui gravita la Versilia.

"Il punto è cercare di introdurre i russi a quell'understatement elegante che ha fatto la storia della Versilia. Gli abiti kitsch e sgargianti e il lusso ostentato si sposano male con noi. Certo il turismo sta cambiando, e non si può vivere solo nel passato, ma credo che una base di tradizione vada tenuta. Il valore aggiunto di questo posto era proprio questo. Se ci leghiamo troppo ad un solo tipo di clientela, adeguandoci in toto, rischiamo di morire sul serio nel caso in cui quest'ultima venga meno."

Probabilmente però è troppo tardi, e non ci sono realmente alternative ai soldi dei russi. Nonostante la selezione sociale, e malgrado i costi esorbitanti, le persone che continuano a venire da queste parti mi sembrano il tipo di clientela meno esigente che sia possibile immaginare. Pagano un prezzo altissimo a fronte di un'offerta polverosa e limitata. È una categoria che per forza di cose è destinata a ridursi.

La verità è che nel 2014, anche se qualcuno vuole far passare la Versilia come la "nuova Atene estiva" della politica italiana, il confronto con altri posti fa acqua da tutte le parti.

Citando Calà in Sapore di Mare, "la festa è finita, gli amici se ne vanno."