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Sono stato uno dei giovani "schiavi" italiani in Australia

Ultimamente si è parlato molto dei "giovani schiavi" italiani in Australia, sfruttati e in alcuni casi truffati o ricattati. Ma la mia esperienza in giro per le farm australiane è stata molto diversa.

Filippo in una farm australiana.

Ultimamente si è creata una sorta di attenzione morbosa nei confronti degli italiani che decidono di andare a lavorare all'estero, in particolare dei giovani: è sempre più facile, infatti, leggere quel genere di articoli in cui le condizioni di vita di chi decide di spostarsi o fare un'esperienza in un altro paese sono una specie di rivisitazione in chiave giornalistica di Oliver Twist.

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La maggior parte di questi articoli riguarda le mete principali a cui i giovani fanno riferimento quando decidono di andarsene: ovvero Londra, Berlino, e l'Australia. Nelle ultime settimane, in particolare, si è parlato molto di un'inchiesta che denuncia le pessime condizioni di vita in cui versano le migliaia di lavoratori che hanno deciso di provare il Working Holiday Visa in Australia e trovano impiego nelle fattorie, nelle piantagioni e negli allevamenti delle zone rurali.

Negli articoli usciti di rimando sulla stampa italiana si può leggere di "giovani schiavi italiani" e "Odissea in un'azienda agricola che produce cipolle", lasciando intendere che chi parte deve automaticamente mettere in preventivo sfruttamenti, abusi e ricatti sessuali.

Ora: non mi ero mai trovato nella situazione in cui una mia esperienza diretta venisse così scarnificata, ma devo dire che fa un effetto strano. Perché io sono proprio uno di quei migliaia di giovani, provenienti da tutto il mondo, che negli ultimi anni hanno riempito le farm australiane facendo l'applicazione per il Working Holiday Visa.

E nonostante anche io abbia passato ore sotto il sole a raccogliere qualsiasi tipo di ortaggio o di frutta e mi sia trovato di fronte a persone che cercavano di approfittarsi della mia situazione, non mi è sembrato di trovarmi su quella specie di Amistad descritta da molti. I casi di sfruttamento evidenziati dall'inchiesta esistono certamente, ma non riguardano la totalità dei lavoratori.

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Dopo essermi laureato e aver speso un po' di tempo fra tirocini, lavori saltuari, e dando una mano ai miei genitori nell'azienda di famiglia, verso la fine del 2012 era scaduto il contratto a termine che avevo con un'agenzia di viaggi dove lavoravo da un po'. Sapevo da tempo che quell'esperienza sarebbe finita, e quindi da circa un anno mi stavo organizzando e stavo mettendo via i soldi per realizzare un progetto che avevo in mente da tempo—provare un'esperienza all'estero.

Un amico era tornato a casa dopo aver passato un anno in Australia, e avendo ottenuto l'autorizzazione per rinnovare l'applicazione anche per il secondo visto si stava preparando a ripartire. Ne aveva parlato sempre con tono entusiasta, e mi aveva convinto che si trattasse della giusta opportunità. Quindi a febbraio del 2013—dopo aver riempito le richieste sul sito del governo australiano, aver pagato il visto e aver ottenuto i permessi necessari—siamo partiti per Sydney.

Arrivati a Sydney ci siamo sistemati in un ostello e abbiamo passato la prima settimana cercando contatti, in giro per le varie agenzie, e lasciando curriculum porta a porta nelle aziende.

Innanzitutto va smentita subito una cosa: ottenendo il visto non si è obbligati a dover lavorare nelle farm delle zone rurali. Nel caso degli europei, quantomeno, chi sceglie di lavorare nelle piantagioni o negli allevamenti lo fa di propria iniziativa, perché totalizzare un certo numero di ore in determinati campi lavorativi delle zone australiane in via di sviluppo è l'unico modo per ottenere l'autorizzazione per rinnovare il visto dopo un anno. Ma d'altra parte è per incentivare l'arrivo di manodopera in certe zone che il governo australiano ha concepito questa iniziativa, e nello scegliere questa strada c'è tutta una serie di benefici fiscali.

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I primi giorni comunque sono stati abbastanza spiazzanti. Al di là dell'accento—tanto degli australiani quanto degli altri lavoratori stranieri—a cui è necessario fare l'orecchio, lo stile di vita delle persone è totalmente diverso.

Comunque sia, una volta ambientatomi, sono riuscito quasi subito a trovare il primo lavoro: come magazziniere in una ditta italiana di Import/Export che si occupava di generi alimentari. Come lavoro non era male, ma la paga—16 dollari australiani l'ora [ 11 euro circa]—era abbastanza bassa per gli standard locali. Inoltre non lavoravo ogni giorno, ma dovevo aspettare che il capo, la sera prima o la mattina stessa, mi chiamasse per confermarmi che aveva bisogno di me.

Ed ecco un'altra cosa da tenere presente: se decidete di partire per l'Australia, aspettatevi di cambiare spesso lavoro. Non esistono impieghi sicuri, anche nelle farm più grandi, e dovrete sempre controllare quali opportunità ci sono, perché da un momento all'altro il vostro responsabile vi potrebbe comunicare che non ha più bisogno di voi. È una cosa che da fuori potrebbe sembrare difficile da mandare giù, ma a cui ci si abitua molto presto.

Sono rimasto nell'azienda di import a Sydney per circa due settimane e mezzo, dopodiché ho conosciuto un ragazzo napoletano che, come me, voleva provare a spostarsi a nord per trovare lavoro nelle farm, e ho deciso di seguirlo. Avendo già ottenuto il secondo visto, l'amico con cui ero arrivato aveva altre esigenze e ci siamo divisi.

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Anche questo è un altro aspetto dell'esperienza: che partiate con qualcuno o meno vi capiterà di conoscere un sacco di gente negli ostelli sparsi per l'Australia, ma il fatto che bene o male siate tutti lì per lavorare, e che le offerte cambino continuamente e si sia costretti a spostarsi anche a distanze siderali, fa sì che dopo poco bisogna automaticamente prendere strade diverse.

Lasciata Sydney, io e il ragazzo napoletano arriviamo a Bundaberg per scoprire che la città è stata alluvionata, e che le farm dove era possibile trovare lavoro sono chiuse.

Abbiamo preso un ostello a Brisbane, e per tre giorni abbiamo cercato un po' di gente che potesse darci una mano. Alla fine, però, siamo riusciti a trovare lavoro grazie a un working hostel: un ostello in cui paghi non solo per il pernottamento, ma per trovare lavoro. Ce ne sono di diversi tipi, e in generale sono un'ottima base per iniziare, perché anche se alcuni sono un po' cari, sono posti seri. Dove i padroni hanno interesse a trovarti lavoro il più rapidamente possibile e permetterti di pagare l'affitto.

La prima farm in cui ho lavorato coltivava limoni. Venivi pagato a cottimo, in base a quanti bin—dei cassoni alti un metro e mezzo e larghi circa due—riuscivi a riempire. Non mi era mai capitato di fare un lavoro così duro, e alla fine non guadagnavi neanche tanto: perché ti pagavano 250 dollari [177 euro circa] a bin, ma essendo bassa stagione non c'erano tanti limoni da raccogliere, e se pioveva o c'era molta umidità non potevamo lavorare. Però era un inizio

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Dopo due o tre settimane di limoni mi ha contattato un'amica della mia città, anche lei in Australia. Mi ha detto che dove era lei, a Cairns, cercavano ragazzi in una farm gigantesca in cui pagavano bene e a ore. Quindi, dopo aver salutato anche il ragazzo napoletano, ho deciso di spostarmi nuovamente. Arrivato lì, però, mi sono dovuto scontrare di nuovo con il fatto che la prospettiva di lavorare era sfumata: essendo bassa stagione, infatti, avevano già assunto tutto il personale necessario.

Mi sono trasferito nell'appartamento in cui viveva questa amica, e per due settimane ho fatto avanti e indietro per le farm per vedere se assumevano. Ma niente. Quando ti capitano periodi prolungati senza lavoro, devi arrangiarti con i soldi che sei riuscito a mettere da parte. La sera magari non esci, e al supermercato cerchi di comprare le cose più nutrienti e lo stretto necessario.

Dopo qualche giorno un contractor è riuscito a trovarmi un posto da potatore in una vigna a Mareeba, una città poco distante. In sostanza era un lavoro che bisognava svolgere in coppia: uno potava le piante, e l'altro le legava a dei cavi per prepararle alla vendemmia. Eravamo circa trenta persone: a parte io e due ragazze mie coinquiline, il resto erano tutti ragazzi cinesi o taiwanesi.

Passavi otto o dieci ore sotto il sole, a una temperatura di 40 gradi, e alla fine della giornata eri sempre pieno di scottature. Venivi pagato un dollaro a vigna, da dividere in due, quindi il guadagno dipendeva interamente da quanto eri veloce nel potare e legare. Alla fine delle due settimane in cui sono rimasto ero riuscito a prenderci la mano, e in una sola giornata potevo completare anche 200 piante. Erano 100 dollari al giorno, quindi, che in un certo senso sono pochi per il culo che ti fai, ma che se riesci ad avere una buona continuità ti permettono di vivere decentemente.

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Una volta sistemata l'intera vigna, però, ci siamo trovati di nuovo senza lavoro.

Così, con le due ragazze, abbiamo noleggiato una macchina e girato quasi tutte le farm di zona: ananas, mango, caffè, banane. Quelle che assumono di più, generalmente, sono le cattle farm, ma nessuno vuole lavoraci perché ogni mattina devi alzarti alle tre, e uno dei compiti previsti è infilare il braccio nel culo delle mucche. Alla fine, visto che stavo praticamente finendo tutti i soldi, ho quasi pregato in ginocchio una tizia perché mi desse un lavoro.

Allora lei mi ha detto che per 13 dollari l'ora avrebbe potuto farmi zappare le erbacce intorno alle coltivazioni di origano. A nero.

Credo che sia stato il giorno più brutto di tutta l'esperienza: faceva un caldo infernale, il sole mi batteva a picco sulla nuca, e per finire una sola fila ci ho messo quattro ore. A fine giornata la donna mi ha detto che il lavoro era stato fatto bene, ma che se non fossi stato in grado di accelerare i tempi non avrebbe potuto tenermi. "Prova a tornare domani, ma se non vai più veloce devo mandarti via." Sconsolato, sono tornato a casa.

Quella sera stessa, però, l'amica che mi aveva chiamato a Cairns mi ha comunicato che la farm gigante per cui ero venuto aveva ricominciato ad assumere. Quindi la mattina dopo ho mandato a fare in culo l'origano e mi sono presentato fuori dallo shed della farm. Il responsabile del capannone mi ha riconosciuto, dopo tutte le mattine in cui mi ero presentato per trovare lavoro, e mi ha chiesto di lasciargli il numero.

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Dopo pochi giorni mi ha chiamato per iniziare.

La farm si occupava di coltivazioni multiple: caffè, avocado, ma soprattutto banane. È in assoluto il miglior impiego che ho trovato: la paga era di 20 dollari l'ora, ma si poteva arrivare anche a 25 se eri disposto ad occuparti di determinate mansioni.

Ho conosciuto molti ragazzi nella farm, e quando non lavoravamo la sera scendevamo in città e andavamo a ballare. In realtà, però, va precisato che quando decidi di lavorare per le farm la vita che fai è piuttosto isolata. La maggior parte del tempo lo passi con i tuoi coinquilini, a bere o chiacchierare, perché comunque sei perlopiù in zone distanti dai centri in cui c'è qualcosa da fare.

In generale, comunque, è stato il periodo migliore che ho passato in Australia.

Dopo due mesi e una settimana di lavoro, però, una sera, la manager della farm è arrivata allo shed e ha radunato un sacco di ragazzi, fra cui io. "Purtroppo da domani non dovete più venire. Non abbiamo più bisogno di voi, mi dispiace."

Ci sono rimasto piuttosto male lì per lì, ma visto che in quei due mesi ero riuscito a mettere da parte più di 4000 dollari [2800 euro circa], ho deciso di approfittarne per prendermi una settimana di vacanza. Sono tornato a Sydney per trovare l'amico con cui ero partito, e che nel frattempo aveva trovato lavoro in una ditta di costruzioni, e poi mi sono spostato a Melbourne. Molti ragazzi lo fanno: col lavoro giusto, guadagni abbastanza per poter prenderti delle pause e viaggiare.

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Tornato a Cairns, l'unico lavoro che ho trovato consisteva nel trasportare i bunch di banane—che pesano all'incirca 50 kg l'uno—dallo shed ai camion. È in assoluto il lavoro più duro. Gli altri colleghi erano tutti enormi. Il primo giorno me la sono cavata abbastanza bene: ho fatto cadere un solo bunch, e alla fine della giornata il capo si è complimentato perché non mi ero lamentato e avevo tenuto un buon ritmo.

Il giorno dopo, però, quando mi sono svegliato avevo gli arti di legno: ero pieno di dolori muscolari, e facevo fatica a muovermi. Mi sono presentato fuori dallo shed, ma ho fatto schifo, e alla fine della giornata il capo mi ha detto che gli dispiaceva, ma che se il giorno dopo fosse di nuovo andata così avrebbe dovuto mandarmi a casa. Il terzo giorno sono tornato, ma avevo mal di schiena e mi hanno detto di andarmene.

A questo punto è ricominciata la tiritera della ricerca di lavoro. Dopo un po', però, grazie a Gumtree—un sito di annunci molto utilizzato da chi cerca lavoro in Australia—sono riuscito a mettermi in contatto con una contractor Gatton che affittava case e che mi aveva assicurato di potermi trovare un lavoro pagato a ore nel giro di una settimana. Quindi ho prenotato l'aereo, le ho versato due settimane di caparra sull'affitto, e sono arrivato a Gatton. In tutto ho speso sui 300 dollari.

La contractor era una donna pakistana, proprietaria di vari appartamenti in cui stipava giovani stranieri in cerca di lavoro. Mi ha sistemato in uno di questi, ma appena entrato, uno dei ragazzi che la occupava mi ha subito fatto capire che non ero finito nel posto giusto.

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"Dovresti andartene ora, visto che sei in tempo e puoi permetterti di farlo. Questo posto è una fregatura: se va bene lavori una volta ogni due settimane, sempre a cottimo, pagato male, e in posti di merda. Noi stiamo finendo tutti i soldi, e ormai non possiamo permetterci nemmeno di spostarci da un'altra parte."

Aveva ragione. La contractor si era rimangiata tutto quello che mi aveva detto non appena avevo messo piede nel suo appartamento. Lavori pagati a ore non ce n'erano, e se volevi avere l'opportunità di guadagnare qualcosa, ogni giorno dovevi presentarti in cortile alle cinque di mattina e sperare che i tizi che passavano sui furgoncini ti caricassero per portarti alle farm di cipolle. Ero capitato, quindi, nella tipica fregatura di cui parlano gli articoli usciti in questo periodo.

La soluzione per scampare a situazioni del genere è una sola, e molto semplice: evitare i contractor. Come ho detto, se non si hanno contatti e non si è particolarmente spigliati nel procurarsi un lavoro da soli, la scelta migliore è affidarsi ad un working hostel. Si spende di più inizialmente, ma dopo poco tempo hai la possibilità di trovare buoni lavori con continuità.

È stato allora che Simone, l'amico con cui ero arrivato dall'Italia, mi ha detto che avevano un posto libero nei cantieri. Sono stato addosso alla contractor perché mi rendesse almeno la seconda settimana di caparra, e sono tornato a Sydney.

Anche in questo caso, come negli altri, ogni sera dovevi aspettare che il capo ti chiamasse per il giorno dopo. Ma in cinque settimane sono rimasto a casa solo quattro giorni, e la paga era molto buona.

A questo punto erano passati già nove mesi da quando ero arrivato in Australia, e avevo un aereo prenotato per tornare. In realtà avrei potuto posticipare il rientro: mi mancavano solo poche ore di lavoro per ottenere il rinnovo del visto, e avevo ottenuto un buon posto. Ma nel frattempo i miei genitori avevano bisogno che tornassi per occuparmi dell'azienda di famiglia, e cominciavo ad avere nostalgia della mia ragazza.

Prima di tornare a casa, però, ho passato tre settimane in giro per la Thailandia, grazie ai soldi che ero riuscito a guadagnare durante i nove mesi in cui avevo raccolto limoni, tagliato viti, zappato erbacce e trasportato bunch di banane da 50 chili sulla schiena. Quasi tutti i ragazzi che arrivano in Australia per il Working Holiday chiudono l'esperienza facendosi un giro del sud est asiatico.

Fondamentalmente quasi tutti vivono questa esperienza come un intermezzo più o meno lungo fra lo studio e il lavoro. Molti provano a farsi sponsorizzare da un'azienda per ottenere il visto definitivo, ma per farlo devi avere tre anni di buste paga dimostrabili nel tuo paese, una qualifica per il lavoro per cui vieni sponsorizzato, e soprattutto devi trovare chi paghi i 5000 dollari dello sponsor. Quindi non ci riesce quasi nessuno.

Tutto sommato, però, è un'esperienza che rifarei subito. Sì, mi sono fatto il culo, sì, sono stato anche sfruttato, a volte, e ho fatto lavori che in Italia non avrei mai preso in considerazione: ma nessuno mi ha obbligato a farlo, sono sempre stato trattato con rispetto dai datori di lavoro, e alla fine ho guadagnato abbastanza da potermi permettere una vacanza di quasi un mese in Thailandia. L'origano, però, col cazzo che lo rifarei.