Come Internet e i social stanno cambiando il nostro rapporto con la morte
Foto di Jay Wellington. Grab di status presi da pagine ricordo su Facebook.

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Come Internet e i social stanno cambiando il nostro rapporto con la morte

Abbiamo parlato con il professore Giovanni Ziccardi di commemorazioni online, della crescente difficoltà a "separare" i morti dai vivi e di intelligenza artificiale.

Nella vita reale affrontiamo l'argomento "morte" solo quando siamo tenuti a farlo dagli eventi. Online, e sui social network in particolare, invece, il contatto è praticamente costante, involontario e quasi distratto. La facilità con cui possiamo imbatterci in messaggi di cordoglio e foto di vacanze è la stessa.

Qualche giorno fa mi è comparso nel newsfeed un post di un mio contatto Facebook che non conosco nella vita reale e con cui non ho mai parlato neanche virtualmente. Il messaggio era dedicato a una persona da poco defunta, che veniva taggata nel post. Senza neanche rendermene conto sono finita sul suo profilo, e ho iniziato a scorrere messaggi, foto e ricordi postati da altri utenti.

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Dopo qualche minuto ho realizzato che stavo leggendo post di cordoglio di persone a me sconosciute, diretti a un defunto altrettanto sconosciuto: insomma, ero immersa nella morte di qualcun altro e nella sofferenza di perfetti estranei. Era come se fossi entrata distrattamente in una chiesa e mi fossi seduta in prima fila durante un funerale, solo che ci ero finita scrollando a caso su Facebook.

Recentemente, il professore di informatica giuridica Giovanni Ziccardi—che abbiamo già intervistato su VICE per altri aspetti legati a cultura, diritto e Internet—ha dedicato al tema Il Libro Digitale dei Morti. Ed è a lui che mi sono rivolta per capire come Internet e i social abbiano cambiato il nostro rapporto con la morte.

"La morte è sempre stata tenuta separata dai 'luoghi' dove si svolge la vita quotidiana," mi spiega. "Ora, invece, è sempre più comune che ci appaia una fotografia, un nome, un aggiornamento che riguarda una persona cara defunta. Potremmo dire che la morte 'è in tasca', ossia è anche sui dispositivi che utilizziamo quotidianamente."

Per avere un'idea della quantità di morte con cui facciamo i conti giornalmente, basti pensare che nel 2013 su Facebook c'erano già circa 30 milioni di profili appartenenti a persone decedute. Il numero è destinato a crescere e, secondo alcuni studi, tra il 2065 e il 2095 gli account di utenti morti potrebbero superare quelli dei vivi.

Questo continuo "aver a che fare" con defunti ha inevitabilmente cambiato quello che è il nostro rapporto con la morte. Uno degli effetti più evidenti è il fenomeno del cordoglio collettivo online. "Oltre che pubblica e diffusa, la morte è diventata in un certo senso 'social', ossia raccoglie attorno a persone care morte commenti di amici e conoscenti, scambi di ricordi, post di video o di frasi. Una specie di 'rito collettivo' di commemorazione, che ha cambiato chiaramente il suo impatto sulla società ormai connessa," continua Ziccardi.

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La maggior parte di noi ha tra i contatti di Facebook un account appartenente a qualcuno che non c'è più. Solitamente queste bacheche iniziano a popolarsi di messaggi, canzoni e foto pubblicati da altre persone per i giorni, mesi e anni a venire. Molti di questi post si rivolgono al defunto come se gli stessero effettivamente parlando, mentre conversazioni reali si svolgono tra gli utenti che popolano la pagina, che alla fine si confortano a vicenda.

Seppur inedito nella forma, secondo il professore, il fenomeno non è totalmente nuovo: "Le persone, nei momenti di dolore e disperazione reagiscono come possono, con le forze che hanno, usando tutti gli strumenti che hanno a portata di mano per cercare di stare bene. È quindi normale che la tecnologia, che consente non solo di esibire ma anche di narrare e di condividere, sia sempre più utilizzata per cercare di trovare un giovamento in situazioni critiche."

Sostanzialmente, per Ziccardi si tratta della necessità di condivisione: un po' perché rende in qualche modo meno pesante il dolore (esattamente come restare insieme dopo un funerale) e un po' perché "ormai si condividono tutti gli elementi della vita quotidiana, positivi o negativi che siano." Il risultato è una sorta di "ricordo perpetuo."

Chiaramente, il fatto che i morti vengano commemorati in un ambiente come Facebook porta con sé qualche aspetto straniante. A volte capita che in alcune bacheche messaggi di ricordo per amici e parenti scomparsi vengano pubblicati tra una foto in discoteca e un meme ironico—o comunque finiscano nel calderone del newsfeed insieme a contenuti non proprio in linea con l'esternazione del dolore.

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Secondo Ziccardi questo dipende dalla natura stessa di Facebook e dei social, e non è detto che abbia solo effetti negativi: "Comporta che l'idea della morte sia, a volte, diluita. Che non sia 'presa sul serio', che venga incorporata in mille altri impulsi meno formali. Ciò però ha contribuito a renderla anche più 'normale', più simile a tutte le altre notizie che circolano in quell'ambiente."

Un altro effetto del diverso rapporto con la morte riguarda il fatto che, molto più che nella vita reale, sui social ci si sente in diritto di partecipare al lutto di qualcun altro, anche sconosciuto. I post su Facebook che comunicano una perdita, del resto, solitamente raccolgono decine e decine di like. "La ragione è sempre questa estrema 'socializzazione' di tutte le nostre attività sulle piattaforme. Come mettiamo un like a una foto di un bambino di un'amica che non conosciamo, così siamo portati ad apprezzare e a partecipare a eventi che toccano amicizie che, per noi, sono solo virtuali ma che in realtà creano dei legami reali," mi dice Ziccardi. Una telefonata di condoglianze, per lo meno per quanto mi riguarda, richiede diverso tempo di valutazione sull'opportunità o meno di farla. Un like, anche se di sincera solidarietà, è in effetti semplice, rapido e non impegnativo.

Questa partecipazione "veloce" e quasi automatica si verifica a maggior ragione quando la morte riguarda un personaggio famoso. Giovedì sera, pochi minuti dopo la diffusione della notizia del suicidio di Chester Bennington, Facebook ha iniziato a riempirsi di post di cordoglio o incredulità e video dei Linkin Park. Con il passare delle ore a questi si sono aggiunti ricordi nostalgici di adolescenti dei primi anni Duemila, nonché messaggi di segno opposto ("I Linkin Park non mi sono mai piaciuti").

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In queste situazioni "si innesca un fenomeno in cui chi ha qualcosa da dire, di banale o anche un ricordo vero, lo condivide e crea una catena, un'enorme veglia funebre, che veicola amore (e, a volte, anche odio) in una maniera nuova," spiega Ziccardi.

Anche qui, il meccanismo del cordoglio collettivo non è completamente inedito: "si pensi ai funerali in diretta delle star o dei politici che fin dagli anni Cinquanta sono stati trasmessi. Ma è enormemente amplificato dai social. È meno banale di come a volte viene presentato," aggiunge il professore.

Uno dei momenti in cui a livello globale questo fenomeno si è reso più evidente è stato probabilmente a gennaio del 2016, dopo la notizia della morte di David Bowie. Nel Year in Review 2016 Facebook ha calcolato che in quell'occasione oltre 45 milioni di persone nel mondo hanno usato il social network per commemorare il cantante. I post spaziavano tra queste categorie: canzoni di Bowie; "quella volta che sono andato al concerto di Bowie"; "quando ho comprato il primo album di Bowie"; "cosa ha significato Bowie per la mia vita."

Secondo Ziccardi spesso sembra che "la vera ragione di vita di questi commenti sia quella di esserci sui social media. Sono molti, in particolare, i tweet o gli status che non riguardano il defunto che dovrebbe essere commemorato ma che riguardano l'utente: sono più focalizzati, in definitiva, su chi ricorda, e non sulla persona che si afferma di voler ricordare." Tuttavia, questi post non sono altro che "la prova che le persone anche in rete e sui social, fanno quello che hanno sempre fatto nella loro vita, usano i migliori mezzi disponibili a portata di mano per esprimersi, per condividere ciò che sentono e le loro sensazioni."

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Ovviamente, a cambiare non è solo il rapporto con la morte degli altri, ma anche con la nostra. Le principali implicazioni riguardano il desiderio di non essere dimenticati. Un tempo si arrivava a chiedersi chi sarebbe venuto al nostro funerale; adesso la domanda potrebbe essere: "Qualcuno mi scriverà in bacheca quando sarò morta?" Se è perfettamente umano sperare di essere ricordati dalle persone care, una questione diversa si pone quando la platea e il luogo di coloro che dovrebbero mantenere la memoria diventano in qualche modo pubblici e permanenti. "L'idea di immortalità, di essere ricordati, è molto appealing per tanti. Va a toccare la vanità, la presunta (e percepita) importanza nella propria comunità o nella società," spiega Ziccardi.

Dall'altro lato, invece, ci potrebbe essere anche chi conserva il desiderio contrario, cioè di non voler essere presenti online dopo la morte. Questo aspetto, secondo il professore, "è sempre più complesso, almeno da un punto di vista tecnico. Il dato, quando diventa digitale, non si ferma più, e il rischio che si ripresenti, anche a distanza di anni, è reale. Ci sono però modi per renderlo meno visibile, meno evidente nei motori di ricerca, o più difficile da recuperare."

Per questa ragione assume sempre più rilevanza il concetto di eredità digitale, ossia tutte le tracce che in vita lasciamo online: dai contenuti delle caselle di Gmail al blog abbandonato nel 2008 a, sì, quell'imbarazzante album di foto del viaggio di maturità. "È innegabile che oggi, nel corso degli anni, ci creiamo anche un patrimonio digitale, una eredità che ha un valore non solo emozionale ma anche economico. Occorrerà analizzare per bene le ultime volontà del soggetto online, ossia le sue decisioni prese nello stesso ambiente che frequenta, ad esempio la piattaforma, e le modalità per farle rispettare," precisa Ziccardi.

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Parlando di cosa ne sarà dei propri alter ego online dopo la morte, ad esempio, Facebook consente di nominare mentre si è in vita un "contatto erede" che gestirà il profilo una volta che questo sia stato trasformato, dietro richiesta di amici e parenti, in una pagina commemorativa—quelle con la dicitura in alto "in ricordo di." La creazione di questo tipo di account ha anche il senso di "separare" in qualche modo i morti dai vivi all'interno della piattaforma, considerato che almeno nel digitale i defunti continuano a stare in mezzo a noi.

Nella puntata Be Right Back della serie Black Mirror, la protagonista Martha si affida a un'app che attraverso l'intelligenza artificiale simula la personalità di Ash, il compagno da poco defunto, utilizzando i dati raccolti da social network, mail, foto, video, geolocalizzazione o messaggi. Questo le consente in un primo momento di chattare e parlare al telefono con una sua simulazione, poi di farsi recapitare a casa una sorta di clone. Ovviamente finisce malissimo.

Per quanto sembri un'ipotesi futuristica e lontana dalla realtà, esistono alcuni progetti che hanno preso in considerazione la possibilità di riprodurre la personalità di chi non c'è più e in qualche modo "vincere la morte." Uno di questi è "Luka," un bot sperimentale creato da una ragazza russa dopo la morte del suo migliore amico, pensato per rispondere ai messaggi imitandone le caratteristiche—e ispirato proprio da Be Right Back.

Secondo Ziccardi, però, questi software potrebbero alterare il percorso di elaborazione stessa del dolore. Tutto sta nella capacità di discernimento di chi soffre il lutto—che però, proprio per la sua particolare condizione psicologica, può essere un soggetto decisamente debole. Il punto è che nella vita reale con il tempo il legame si allenta: i cimiteri, ad esempio, a una certa ora chiudono per tutti, anche per i più devoti che ci vanno ogni giorno.

Se invece chi è defunto è non solo reperibile 24 ore su 24 ma per di più risponde, dialoga come se fosse ancora in vita, "il rischio che in molti prospettano è, ovviamente, sia quello di una dipendenza, sia quello di un non superamento del distacco, sino ad arrivare a confondere ciò che è vita da ciò che è morte".

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