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Foto per gentile concessione di Dry 
Cibo

Come questo locale ha cambiato il volto delle pizzerie in Italia

Prima di Dry a Milano le pizzerie erano considerati dei luoghi per famiglia o per cene economiche. Il format milanese ha però fatto svoltare la categoria.
Roberta Abate
Milan, IT

Quando mi appresto a scrivere questo pezzo ho appena finito di vedere in streaming l'assegnazione delle nuove stelle da parte della Guida Michelin Italia. La cosa che più mi fa riflettere sulla "Guida delle Guide" è sempre la stessa: perché il locale di street food in Thailandia riceve il grande riconoscimento - una Stella -, e le pizzerie eleganti dal grandissimo prodotto e servizio in Italia no? Perché trattare diversamente locali che negli ultimi anni hanno portato un bel grado di innovazione nella cultura gastronomica italiana?

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Certo non è una domanda per cui perdo il sonno - e non credo neanche i pizzaioli coinvolti nella diatriba - però mi fa sempre pensare come un piatto così italiano e così duttile, che raggiunge spesso una grandissima qualità, non riesca per gli ispettori "di stampo francese" a meritare una visita. Se penso a chi va a Caserta per mangiare appositamente la pizza di Franco Pepe o di Francesco Martucci, o in provincia di Verona per quella di Simone Padoan, capisco che c'è qualcosa che la guida ha deciso di ignorare a causa di una legittima, o meno, cecità culturale.

E se questo lungo incipit non vi sembra c'entri assolutamente nulla con il titolo di questo pezzo, vi sbagliate (in parte). Il nesso è questo: il luogo di cui vi sto per parlare ha dimostrato che le pizzerie possono evolversi ed essere altro rispetto alla pizzeria sotto casa - che deve continuare ad esserci, per inciso - dove vai a mangiare di fretta spendendo poco.

"Negli ultimi anni hanno aperto molti locali simili a Dry, ma farne uno uguale è impossibile. Oltre al concept cocktail e pizza, è l'atmosfera che non è replicabile"

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Gli interni di Dry in via Solferino (Milano). Foto per gentile concessione di Dry Milano

Quando Dry apre nel 2013, a Milano non esisteva nulla così: il connubio cocktail di altissima qualità, design di interni e grande pizza era un miraggio in città, e in Italia. E, se devo dirla tutta, anche la buona pizza a Milano era ben oltre la linea dell'orizzonte: diciamo che se questa città è diventata una mecca per i pizzaioli, e i format innovativi dedicati alla pizza, lo dobbiamo in parte anche al gruppo di Dry, capitanato dal general manager Giovanni Biaggini.

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Quando torno a mangiare la loro pizza a un po' di anni di distanza dall'ultima volta è metà agosto: la sala di via Solferino (adesso c'è una seconda sede anche in zona Repubblica) è strapiena, ma tutto funziona abbastanza bene. Mi siedo e mangio cose ottime e digeribili: una pizza con fiori di zucca e pancetta, un'altra pizza con crema di basilico, una focaccia con vitello tonnato - loro cavallo di battaglia - e altri piccoli stuzzichini che mi saziano, ma non mi obbligano a slacciare il primo bottone dei jeans. I cocktail che accompagnano il tutto sono quelli della lista firmata da Federico Volpe.

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Lorenzo Sirabella. Foto dell'autrice

Qualche mese più tardi torno a parlare con il giovanissimo pizzaiolo di via Solferino: Lorenzo Sirabella, napoletano di 26 anni. A 20 anni faceva il PR, poi decide per passione di fare un corso di formazione di 4 mesi su pizza e panificazione. Dopo 6 anni, un tempo abbastanza breve per emergere nel mondo della pizza, eccolo pieno di premi come Pizzaiolo Emergente e riconoscimenti di guide blasonate.

La sua mano, per quanto giovanissima, non fa rimpiangere quella di Simone Lombardi - adesso a Crosta -, che ha avviato la pizza di Dry rendendola subito riconoscibile, ma soprattutto buona e digeribile.

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Foto dell'autrice.

"Ho lavorato 4 anni da Enzo Coccia a Napoli, facevamo tanti eventi, e uno di questi era a Milano, proprio al Dry di via Vittorio Veneto con Simone Lombardi. Non avevo mai visto locali del genere in Italia, rimasi sconvolto la prima volta che ho mangiato qui. A Milano c'era sempre stata una pizza biscottata, molto croccante, non digeribile. Questa era un'altra cosa" mi racconta Lorenzo.

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"Quando le strade di Simone e Dry si dividono, dopo qualche mese anche io sono di nuovo libero. Mi fecero una proposta per venire qui. ll prodotto che veniva servito da Dry era quello che più si avvicinava al mio: attenzione all'impasto e ingredienti, forno a legna. L'impasto ovviamente qui non è 100% pizza napoletana. C'è una piccola percentuale di biga, che regala profumo e morbidezza, cosa che non si usa nella classica napoletana. Per il resto ha molte delle caratteristiche della napoletana: impasto idratato al 60% e 50/60 secondi in forno a legna."

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Dettaglio del cornicione della pizza di Dry.

Quando entri da Dry in Solferino ci sono diverse cose che catturano la tua attenzione: il bel bancone, immediatamente, e il vociare di un locale molto affollato, dove hai l'impressione che le persone si fermino volentieri ben oltre la fine della loro pizza. Alcuni direbbero che la clientela è "pettinata" e non si sbaglierebbero di tanto: siamo sempre a due passi da Corso Garibaldi e quando vedi il locale da fuori puoi sentirti anche leggermente intimorito, se non sapessi che lì dentro si serve un'ottima pizza.

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Foto per gentile concessione di Dry

Quando chiedo a Lorenzo cosa pensa dell'apporto di Dry alla moda delle pizzerie che propongono cocktail e pizza in Italia mi risponde: "Negli ultimi anni hanno aperto molti locali simili a Dry, ma farne uno uguale è impossibile. Oltre al concept cocktail e pizza, è l'atmosfera che non è replicabile".

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Focaccia con vitello tonnato e cocktail. Foto dell'autrice.

Una cosa che Dry ha sicuramente introdotto a Milano è la varietà dei topping sulla pizza: la scuola veneta di Simone Padoan de I Tigli, ci era arrivata prima, ma nella città meneghina in pochi si lanciavano in quello che poi erroneamente si è trasformata nella deriva della pizza gourmet, e che tutti sono più d'accordo nel chiamare "contemporanea".

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Questo comporta più lavoro, ovviamente: saper lavorare l'impasto - cosa peraltro più difficile da perfezionare perché piena di variabili - non basta più. Il pizzaiolo deve saper anche cucinare e avere sempre idee nuove per gli accostamenti. Chiedo a Lorenzo quali sono le pizze che vanno di più a Dry. "In estate è andata molto la piennolo giallo del Vesuvio con della pancetta affumicata, pepe nero, Grana Padano e un olio al basilico, fatto da noi. Un'altra, invece, invernale è quella con la Cassoeula (in copertina), con cipolla rossa Milano, riduzione vino rosso, verza saltata in padella con aglio olio e peperoncino, salsiccia Luganega, fiordilatte e Grana Padano." Lorenzo mi dice anche che nella sede di Vittorio Veneto - e solo lì per ragioni di spazi - si servono anche le montanarine per l'aperitivo, dalle 18 alle 19 (tre montanarine farcite con un cocktail a 10 euro).

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Pizza Fiori di Zucca e Lardo. Una delle pizze estive di Dry. Foto dell'autrice.

Lorenzo specifica che il menu cambia ogni anno, e che alcuni dei condimenti delle pizze vengono studiati anche con lo chef Andrea Berton - 1 Stella Michelin - a bordo del progetto Dry fin dall'inizio. "Ci sediamo a tavolino, assaggiamo la pizza insieme e se c'è da bilanciarla o va bene così". E aggiunge: "I nostri clienti sono molto esigenti, ma ci sta, una pizza qui costa anche 14-16 euro. Un cocktail 12 euro, facile che si spendano 30/35 euro. Dry ha dei prezzi diversi da quelli di altri locali." Io penso fra me e me che ormai tutte le pizzerie di Milano non scendono sotto i 9 euro per una margherita, e non c'è sempre qualità nell'impasto, ma quello è un altro articolo. "È giusto che pretendano un prodotto nei limiti della perfezione. Una pizza prima di andare al tavolo viene controllata un sacco di volte: magari si è cotta poco al centro perché c'è troppa mozzarella oppure si è bruciata."

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Gli impasti della focaccia di Dry. Foto dell'autrice.,

Una delle cose per cui il locale è famoso da oltre sei anni è la focaccia, con crudo o vitello tonnato, che viene servita piccolina o in dimensioni più sostenute a seconda della fame. "Le focacce con vitello tonnato e crudo sono ormai un segno distintivo di Dry: sono le uniche che non ho mai voluto toccare in menu. Rimarranno sempre, fanno parte dell'identità del locale." Identità che davvero molti hanno cercato di emulare, in città e altrove in Italia. Con più o meno successo. Di certo Dry ha lanciato una tendenza ormai status quo: le pizzerie possono essere locali molto molto eleganti.

Quello che non va bene è vedere menu pompati nel prezzo, quando non ce n'è motivo: diverse pizzerie millantano prodotti incredibili nella descrizione della pizza in menu, ma l'effetto finale è maldestro: "Se spendi 13 euro al kg per una mozzarella, ma poi tagli con l'affettatrice perché così fai prima, hai buttato 13 euro di mozzarella. I prodotti vanno anche saputi trattare, e molti posti non lo fanno." Quando dico che Dry ha mutato le regole del gioco nel mondo pizza lo dico a ragion veduta anche per il servizio e l'offerta cocktail. Dry rimane uno dei posti migliori dove bere a Milano, fin dall'inizio e con tutti i cambi di bar manager intercorsi. Lorenzo mi spiega che sì, ci sono degli abbinamenti che lui studia con il bar, ma che poi c'è un'attenzione particolare anche nel proporre il giusto cocktail in base alle preferenze di ogni singolo cliente. Io quando vado ricevo due cocktail in base ai miei gusti senza dover dire quasi nulla: uno a base vodka, cranberry e champagne, l'altro base gin, insalata e marmellata di lampone. "Sia io che Federico giriamo per i tavoli per capire e suggerire in base ai gusti di ognuno".

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Durante la nostra chiacchierata Lorenzo mi porta in cucina, al forno, per mostrarmi come lavora l'impasto e per farmi fare anche due scatti alle sue pizze. Lì c'è Isaac, giovanissimo di 23 anni che avevo conosciuto anche la sera della mia cena ad agosto.

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Lorenzo e Isaac al forno con due belle pizze appena sfornate per me. Foto dell'autrice.

"Isaac ha 23 anni è qui da quattro anni, e in quattro anni ha fatto di tutto. È partito da lavapiatti e adesso è pizzaiolo." In genere, mi spiega Lorenzo, si incomincia da aiuto pizzaiolo, passando da fornaio, poi secondo pizzaiolo e solo dopo primo pizzaiolo. Isaac è al forno, ma nella pizzeria di Dry si gira sempre, quindi è capace di ricoprire un bel po' di ruoli. Insomma qui Isaac è cresciuto, anche grazie alla politica del gruppo che cerca di dare un mano ai ragazzi in diversi modi: "Li aiutano a trovare l'alloggio, se sono fuori Milano, e continuano a formarci sotto vari aspetti professionali. Ogni mese circa facciamo qualcosa di diverso per imparare qualcosa in più". Dice Lorenzo.

Finiamo la nostra chiacchierata, mangio metà della marinara, e metà di quella con i fiori di zucca che Lorenzo fa per le fotografie (poi cenerò anche, ma anche quella è un'altro articolo). Esco ancora una volta con la sicurezza che se non avesse aperto Dry, alcune cose nel mondo della pizza in Italia, oggi, sarebbero diverse. Forse ci sarebbero meno locali patinati fuffa, forse alcuni prezzi sarebbero più bassi, non lo so, ma ci sarebbe con tutta probabilità anche una concezione della pizza simile a quella che hanno i vertici della Guida Michelin adesso, che insomma non rispecchia affatto la realtà.

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