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I grillini si stanno sparando alle spalle tra loro

Dopo le ultime espulsioni e appena un anno di attività parlamentare del Movimento 5 Stelle, il collante identitario rappresentato dal leader Beppe Grillo sembra iniziare a sgretolarsi.
Leonardo Bianchi
Rome, IT

Giugno 2013, manifestazione a sostegno di Beppe Grillo. Tutte le foto di Federico Tribbioli.

Nel giugno del 2013 Paolo Becchi, presunto ideologo del Movimento 5 Stelle (già rinnegato più volte da Grillo) nonché autore di una dissertazione sulle fistole anali, disse a proposito delle “epurazioni” grilline: “Io sono contrario alle espulsioni, che vadano via loro. Meglio così, sono scorie. Il Movimento si rafforza.” A qualche mese di distanza da quella dichiarazione, pare che le “scorie” siano ormai diventate parecchie e che l’aria all’interno del M5S si sia fatta irrespirabile.

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Ma ripercorriamo l’ultima settimana. Il 19 febbraio 2014, poco dopo la consultazione tra Beppe Grillo e Matteo Renzi, quattro senatori del M5S (Lorenzo Battista, Fabrizio Bocchino, Francesco Campanella e Luis Alberto Orellana) osano esprimere in una nota congiunta delle “perplessità” sulle modalità dell’incontro tra i due leader, definendolo “un’occasione perduta.” Orellana approfondisce poi la sua posizione in un’intervista all’Espresso, affermando che “un po’ di spazio per un confronto sarebbe stato giusto e sarebbe uscito fuori il vero Grillo, che sa fare di meglio.”

Il giorno dopo viene pubblicato un breve post di scomunica sul blog di Grillo, intitolato significativamente “Fuoco amico (?)” e firmato da un certo “antonio noziglia” di Genova. È l’inizio della fine. Circola la notizia che il Meetup di Pavia, città nel quale Orellana è stato eletto, abbia sfiduciato formalmente il senatore perché ha continuato a rilasciare dichiarazioni “non condivise dalla base, frutto del suo pensiero personale ed espresse ai mass media in qualità di senatore.” In pratica, a Orellana si addebita una gravissima condotta: quello di aver esercitato l’art. 67 della Costituzione, che Grillo (o chi per lui) vede come fumo negli occhi perché permette all’eletto di “fare il cazzo che gli pare.” La mozione di sfiducia viene comunque smentita dagli attivisti del Meetup di Pavia, che anzi rinnovano “pubblicamente” a Orellana “stima e fiducia.”

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Aprile 2013, manifestazione M5S a Roma.

Il 25 febbraio l’assemblea parlamentare del M5S si riunisce per discutere l’espulsione dei quattro senatori, che poi dovrà essere ratificata con il voto degli attivisti/militanti sul sito di Grillo. Il 26 mattina salta l’ultimo tentativo di mediazione tra i parlamentari grillini, e da quel momento in poi la riunione discende nel caos più totale: qualche senatore scoppia a piangere, altri difendono gli espulsi e una senatrice arriva addirittura a gridare: “Sono degli stronzi, peggio dei fascisti. Meglio che me ne vado prima che li prendo a borsettate.”

I quattro senatori caricano un video su YouTube in un cui cercano di spiegare le loro ragioni, ma nel frattempo i Fedelissimi di Grillo hanno già cominciato il randellamento dei reprobi. Il deputato Alessandro Di Battista scrive sulla sua pagina Facebook: “Io ho visto in queste 4 persone, sistematicamente, da mesi, e in modo organizzato la logica del dolo, la malafede, il sabotaggio di tutte le grandissime battaglie che abbiamo portato avanti come gruppo. […] Siamo in guerra, una guerra democratica, fatta di informazione, partecipazione, amore per la politica. Ma di guerra si tratta. Io non posso lasciare la 'trincea' sapendo che mentre sferro un 'attacco' […] qualcuno mi sparerà, scientemente e volutamente alle spalle.”

La questione del “fuoco amico” viene evocata anche da Roberto Fico—lo stesso deputato che considera Beppe Grillo un patrimonio mondiale dell'umanità”—che dichiara davanti alle telecamere: “Quando siamo in guerra non possiamo prendere le frecce alle spalle. Dobbiamo tutelare il Movimento.” La retorica bellica viene ripresa da Luigi Di Maio (“Abbiamo bisogno di compagni, non mercenari”) e raggiunge l’apoteosi con l’immaginifico status di Manlio Di Stefano: “Noi siamo in guerra contro il sistema, un sistema che vogliamo combattere fino in fondo e per farlo fatichiamo sette camicie. Abbiamo bisogno di essere come la testuggine spartana, ognuno di noi deve sentirsi protetto dal compagno al suo fianco.”

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La testuggine spartana a Cinque Stelle. Via Facebook.

Mentre si vota sul blog di Grillo (che ha già ordinato la Cacciata Dal Tempio con un video spixellato), in rete cominciano a circolare screenshot di conversazioni private che sarebbero avvenute tra i “dissidenti” e altri attivisti. Queste conversazioni sono ritenute la pistola fumante che testimonia—come denuncia il deputato Riccardo Nuti su Facebook—uno sgangherato complotto “anti-m5s e anti-grillo per creare un nuovo movimento” e intascarsi tutto lo stipendio da parlamentare.

Le prove del tradimento, spiegate bene in CARATTERI BEN VISIBILI e in CARATTERI ROSSI (dove serve).

Poco dopo le sette di sera arriva il responso della Rete. La Caduta Dal Paradiso è ufficialmente comunicata dagli account di Beppe Grillo.

29.883 hanno votato per ratificare la delibera di espulsione. 13.485 hanno votato contro. Grazie a tutti coloro che hanno partecipato

— Beppe Grillo (@beppe_grillo) February 26, 2014

Le modalità di espulsione dei quattro senatori (con tanto di leak di chat private) ricordano per certi versi quelle della prima “epurazione” nella storia del M5S, che aveva coinvolto il consigliere comunale di Ferrara Valentino Tavolazzi. Pochi giorni prima dell’espulsione (avvenuta il 5 marzo 2012), sul blog di Grillo era apparso un post (“Il M5S è morto, viva il M5S”) in cui si riportavano critiche piuttosto pesanti all’operato dell’ex comico e di Gianroberto Casaleggio. Nelle conversazioni si parlava esplicitamente della tendenza a “sbranarsi a vicenda” originata “dal caos, anche culturale, che ci circonda” e della “mancanza di organizzazione” che “sta facendo implodere il Movimento 5 stelle.”

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Il caso Tavolazzi è stato solo il primo di una lunga serie che ha accompagnato l’ascesa del M5S sulla scena politica nazionale. Dopo di lui sono stati sbattuti fuori i consiglieri comunali Federica Salsi (rea di aver partecipato a una trasmissione televisiva senza il placet del Capo) e Giovanni Favia (per il famoso fuorionda a Piazza Pulita). Nell’aprile del 2013 il senatore Marino Mastrangeli viene espulso per essere andato da Barbara D’Urso. Nel giugno dello stesso anno si verifica la prima vera “scissione” all’interno del M5S. All’inizio del mese due deputati tarantini, Vincenza Labriola e Alessandro Furnari, passano al gruppo misto per divergenze di vedute sulla gestione del caso Ilva.

Il 19 giugno la senatrice Adele Gambaro, che aveva espresso delle critiche ai modi comunicativi di Grillo, viene espulsa. Due giorni dopo la cacciata della Gambaro, la senatrice Paola De Pin rassegna le sue dimissioni dal M5S esprimendo “dissenso rispetto alla reazione del Movimento e alla gogna mediatica.” Il 24 giugno il deputato Adriano Zaccagnini passa al gruppo misto dicendo che all’interno del M5S c’è un “clima irrespirabile” a causa della “guerra intestina senza senso.” Il 28 giugno lascia anche la senatrice Fabiola Antinori, paragonando l’impostazione del Movimento a quella di un “sistema feudale di fedeltà che respinge o espelle chi dissente, chi non si allinea.”

Foto di Federico Tribbioli.

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La cacciata del 26 febbraio dei quattro senatori, almeno a quanto si legge in giro, evidenzia un disagio e una spaccatura interna molto più profonda di quello che si pensava. Subito dopo la ratifica, infatti, altri cinque senatori del M5S hanno rassegnato le proprie dimissioni: si tratta di Maria Mussini, Monica Casaletto, Maurizio Romani, Alessandra Bencini e Laura Bignami. Alla Camera, invece, i deputati Ivan Catalano e Alessio Tacconi sono passati al gruppo misto; altri deputati sarebbero in procinto di lasciare. Persino il sindaco di Parma, Federico Pizzarotti, ha espresso molti dubbi su quanto accaduto questo mercoledì: “Non ho capito che cosa è stato commesso, e se ciò che è stato commesso riguarda la violazione precisa del vostro regolamento.”

I quotidiani si sono già lanciati in ogni tipo di speculazione su possibili nuovi gruppi, nuove alleanze, nuove geometrie politiche che possono (o meno) dare nuova linfa vitale al Governo Renzi. Ma Grillo, nel suo videomessaggio, ha fatto intendere di fregarsene altamente di scissioni, ipotesi e beghe parlamentari: “Siamo un po’ meno, ma più coesi.”

In effetti, il messaggio lanciato con l’espulsione dei quattro senatori non potrebbe essere più chiaro: i “disfattisti” devono andare fuori dai coglioni una volta per tutte, perché la guerra tra Ggente e Kasta non ammette tentennamenti ed è riservata solo ai Cittadiniportavoce più determinati, implacabili e fedeli.

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In fondo, l’aveva detto lo stesso Grillo nel libro Il Grillo canta sempre al tramonto: “Io le battaglie le faccio, vado avanti, ce la metto tutta, per questo non accetto che si formino correnti dentro il Movimento. O dentro o fuori.” O con me, o contro di me.

E qui arriviamo al punto. Uno dei capisaldi della retorica grillina è sempre stato il mantra: “Beppe non è il leader, è solo il megafono.” Beppe non è il Capo, ma è l’indiscusso punto di riferimento del multiforme popolo che si riconosce nel M5S. Gli avvenimenti recenti, tuttavia, dimostrano che dopo appena un anno di attività parlamentare il collante identitario rappresentato dal leader sembra iniziare a sgretolarsi. L’interrogativo chiave che emerge dai tumulti parlamentari del M5S è questo: la figura di Beppe Grillo (e di converso quella di Gianroberto Casaleggio) è diventata fortemente divisiva anche all’interno del suo Movimento?

Finora, al netto di testuggini spartane, paranoia, trincee e pallottole alle spalle, solo una cosa è certa: il dissenso nel M5S esiste, è sempre più tangibile ed è un fattore con cui i vertici dovranno seriamente misurarsi per evitare che la “Rivoluzione a Cinque Stelle” si trasformi in un'altra insulsa rissa di condominio della politica italiana.

Segui Leonardo su Twitter: @captblicero

Nel frattempo, altrove:

I sensi di colpa del Partito Democratico