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Come sono sopravvissuto a una prigione egiziana

E ho assistito a un tentato stupro a bordo di un furgone della polizia.

Randel (a sinistra) ed io tra un interrogatorio e l'altro. A quel punto credevamo ancora che la faccenda si sarebbe sistemata in fretta e ci comportavamo più come se fosse un'avventura che un incubo.

È un sollievo capire all'improvviso che non brucerai a morte nel retro di un furgone della polizia penitenziaria egiziana. Pochi minuti dopo, però, testimoniare a un tentativo di stupro ti riporta dritto alla realtà dei fatti, che-per me-consisteva nell'essere in arresto al Cairo nel corso degli scontri più sanguinosi della storia recente del Paese.

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Al nostro arrivo, il tipo che ci ha mostrato l'appartamento ci ha salutato con un "Benvenuti al Cairo," per poi aprirsi in quel tipo di sorriso sarcastico che ti aspetti da chi accoglie due stranieri nei giorni in cui l'esercito ha deciso di massacrare 600 dei propri cittadini.

Un poliziotto è portato in trionfo in piazza Tahrir un giorno prima del colpo di stato.

Nonostante gli eventi della giornata, il mio amico Randel voleva andare a piazza Tahrir. E così abbiamo fatto, riuscendo a raggiungerla senza un graffio. Ma il ritorno a casa non è stato altrettanto fortunato. Appena un attimo prima di toccare i nostri letti, la polizia ci ha fermati per aver violato il coprifuoco imposto poche ore prima. A ciò si è aggiunto il possesso di giubbotti antiproiettile, maschere anti-gas e caschi, coronato dal fatto che eravamo sprovvisti dei tesserini stampa apparentemente necessari per circolare senza essere arrestati.

Sulla strada verso il commissariato ho ricevuto la chiamata da qualcuno all'ambasciata tedesca che mi ha assicurato che sarebbero intervenuti la mattina successiva. E questo mi diceva che probabilmente non avremmo fatto ritorno al nostro appartamento prima della fine della notte. Successivamente i nostri telefono sono stati requisiti. Dopo essere riuscito a barattare acqua in bottiglia al posto di quella dal rubinetto abbiamo ricevuto le nostre razioni per le 20 ore successive: un pezzo minuscolo di formaggio con un po' di marmellata. Siamo rimasti svegli tutta la notte, occupati a fumare, ideare elaborati piani di fuga e ascoltare le urla che venivano dallo scantinato.

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Purtroppo la mattina successiva non c'era traccia del rappresentante dell'ambasciata tedesca. Compreso che non avremmo ricevuto l'assistenza promessa, Randel ha chiesto di andare in bagno; mi è stato detto di seguirlo. Subito, però, si è capito che non ci stavano accompagnando ai servizi, ma in direzione dello scantinato e delle urla che eravamo stati costretti a sentire tutta la notte.

Ci hanno fatto aspettare in un'anticamera, circondati da quattro porte che agivano da inefficace barriera contro l'odore nauseante di sudore, sporcizia ed escrementi. All'improvviso tre delle porte di sono aperte, rendendo per un attimo visibili le celle di 15 metri quadrati dietro di esse, ciascuna piena di innumerevoli prigionieri immersi nell'oscurità totale-nessuna delle celle aveva finestre.

I prigionieri venivano chiamati uno a uno e stipati nell'anticamera, molti con grandi difficoltà ad aprire gli occhi all'esposizione alla luce. Alcuni avevano lividi gonfi intorno agli occhi, mentre altri presentavano ferite aperte e purulente su piedi e gambe. La polizia ci ha aggressivamente ammanettato e spinto in ginocchio per poi fare lo stesso con le altre 30 persone che avevano raccolto. Dopo ci hanno urlato contro e picchiato a lungo, prima che le guardie ci riaccompagnassero di sopra. Nel risalire ho colto uno scorcio della quarta cella attraverso una piccola fessura nella porta; dietro c'era una donna che cullava un bambino tra le braccia.

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Dopo esser stati spinti fuori ci hanno sbattuti su un veicolo per il trasporto penitenziario, dove ho avuto una breve conversazione con un prigioniero siriano. Era lì da 20 giorni, non gli avevano dato cibo per i primi tre e non poteva contattare la famiglia per informarla. Era arrivato al Cairo con moglie e figlio per fuggire alla guerra che sta devastando il suo paese.

A un certo punto il furgone è rimasto incastrato nel traffico e sassi hanno iniziato a colpire le pareti di metallo. Poco dopo si è sentito rumore di spari. Ci siamo buttati sul pavimento della nostra prigione mobile, mentre l'uomo anziano al mio fianco piangeva e ripeteva la shahada, la testimonianza di fede. Nel mio caso la religione non è entrata in gioco: l'unica cosa che mi passava per la testa era che, se qualcuno fosse riuscito a colpire il furgone con una molotov, saremmo probabilmente bruciati vivi.

Nel tentativo di sfuggire alla folla, il nostro autista è andato contro le macchine parcheggiate per poi salire sul marciapiedi. Nel retro eravamo sbattuti da un lato all'altro mentre le manette iniziavano a conficcarsi nei polsi. Non ero sicuro di cosa stesse succedendo fuori, ma dopo un po' siamo tornati su una superficie piatta fino a superare il casino e dirigerci verso un altro commissariato.

Più tardi, l'ambasciata tedesca ci ha comunicato che era stato un gruppo di sostenitori dei Fratelli Musulmani ad attaccare il furgone. Erano arrivati da un obitorio lì vicino, dove i corpi di alcuni dei loro compagni-che avevano perso la vita durante lo sgombero dei sit-in-erano sistemati in file.

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Non siamo rimasti a lungo nel secondo commissariato. Randel ed io, insieme ad altri nove, siamo stati rapidamente caricati su un furgone. Prima di essere sbattuto sul retro ho lanciato un'occhiata al mezzo con cui eravamo arrivati lì: il parabrezza era completamente sfondato e ho visto il poliziotto tenersi una ferita aperta sul viso.

Un sostenitore dei Fratelli Musulmani viene attaccato dalla folla.

Dopo essere stati gettati uno sopra l'altro su un nuovo veicolo, ho notato che tra noi c'era anche una donna. Appena ci siamo mossi l'uomo seduto vicino a lei ha iniziato a palpeggiarla. Randel ed io, ammanettati, abbiamo protestato duramente, ma inutilmente. Il tempo passava, e l'uomo si faceva sempre più aggressivo. Le toccava gambe e seno, le teneva la faccia con forza, la spingeva contro la parete e infine ha provato a strapparle di dosso il velo, prima di iniziare a colpirla per la frustrazione.

L'uomo aveva attirato la mia attenzione già durante il nostro primo viaggio; aveva bende su braccia e gambe, ma non portava le manette ed era l'unica persona a cui era permesso parlare con i poliziotti senza essere redarguito. Un altro uomo seduto accanto alla donna ha provato ad allontanarlo, ma l'aggressore ha tirato fuori un piccolo coltello che teneva nascosto sotto la garza sulla sua gamba e gli si è scagliato contro, trafiggendogli la mano. Il sangue ha velocemente coperto il fondo del furgone intorno ai piedi della vittima.

Dopo un tempo apparentemente interminabile il veicolo si è fermato davanti a un tribunale e Randel e io siamo stati trascinati fuori. Ad aspettarci c'erano due nostri amici, che ci hanno immediatamente comunicato della presenza di funzionari tedeschi all'interno della struttura. Dopo diverse udienze, le nostre accuse sono state lasciate cadere. L'intervento dell'ambasciata tedesca è stato senz'altro cruciale per il nostro rilascio. Nessuno degli altri prigionieri era tedesco. Non ho idea di cosa gli sia successo.

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