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Deportato volontario

Il 19 settembre 1940, a Varsavia, il militare polacco Witold Pilecki si fece volontariamente arrestare dalla Gestapo e imprigionare ad Auschwitz, il tutto con l'obiettivo di organizzare dall'interno una rete di resistenza e inviare informazioni sulla...

Witold Pilecki prima del periodo di detenzione.

Il 19 settembre 1940, a Varsavia, il militare polacco Witold Pilecki si fece volontariamente arrestare dalla Gestapo e imprigionare ad Auschwitz, il tutto con l'obiettivo di organizzare dall'interno una rete di resistenza e inviare all'esterno informazioni sulla situazione nel campo.

Pilecki arrivò ad Auschwitz nella notte tra il 21 e il 22 settembre, in quello che lui descrive come "un altro pianeta," un inferno pieno di svastiche e di corpi in fin di vita dove sarebbe rimasto per più di mille giorni. La sua testimonianza è oggetto de Il volontario di Auschwitz, uscito in Italia lo scorso gennaio; in occasione della pubblicazione del volume anche in Francia ho contattato i traduttori: Urszula Hyzy, ex direttrice del bureau AFP di Varsavia, e Patrick Godfard, professore di storia.

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Witold Pilecki a Auschwitz. Foto via

VICE: Il New York Times definisce questo libro un documento storico di estrema importanza. Perché c'è voluto così tanto perché le testimonianze di Pilecki venissero tradotte? La versione inglese è arrivata nel 2012, quella francese [e quella italiana] nel 2014, 70 anni dopo l'accaduto.
Urszula Hyzy e Patrick Godfard: Pilecki era un personaggio scomodo per gli alleati, che per molto tempo hanno negato di essere a conoscenza di ciò che avveniva nei campi di concentramento. Era una figura scomoda anche per i comunisti, che furono responsabili della sua morte nel 1948. Nella Polonia comunista era proibito parlare di Pilecki e ai figli fu negato l'accesso all'istruzione superiore.

Il manoscritto è rimasto a lungo negli archivi del Centro di studi sulla resistenza polacca di Londra (Studium Polski Podziemnej, The Polish Underground Movement Study Trust – PUMST) prima di essere scoperto dall'ex deportato e storico Józef Garliński, che negli anni Settanta ha scritto Fighting Auschwitz: the Resistance movement in the concentration camp. C'è voluta la fine della Guerra Fredda perché queste testimonianze potessero iniziare a circolare in Polonia. Per quanto riguarda la Francia, ci siamo interessati e abbiamo proposto la traduzione non appena siamo venuti a conoscenza del testo.

Com'è stata la vita di questo soldato prima di Auschwitz?
Pilecki aveva una quarantina d'anni quando si è fatto arrestare usando il nome di Tomasz Serafiński. Era un soldato agguerrito: da giovane aveva partecipato alla guerra sovietico-polacca del 1919-1920; a settembre del 1939, all'inizio della Seconda Guerra Mondiale, ha combattuto contro i tedeschi sotto il comando del maggiore Jan Włodarkiewicz. Con quest'ultimo a partire da novembre del 1939 ha creato un movimento di resistenza che ha preso rapidamente piede in tutto il Paese. Nell'estate del 1940 sono iniziate le prime retate: i tedeschi compivano arresti indiscriminati e deportavano le persone nel campo di Auschwitz. L'obiettivo dei tedeschi era seminare terrore e procurarsi una mano d'opera servile. Il maggiore Włodarkiewicz e Pilecki hanno deciso di scoprire di più su questo campo, in cui erano già stati internati due membri della loro organizzazione. Volevano organizzare la resistenza, e Pilecki si è offerto volontario.

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Witold Pilecki insieme alla compagna Maria. Foto via

E cosa ha fatto una volta imprigionato?
Ha iniziato fin da subito a gettare le basi per la "cospirazione". Nell'autunno del 1940 ha creato la sua prima cellula, una piccola rete di cinque prigionieri che non si conoscevano tra loro, così da limitare le perdite in caso la notizia fosse arrivata alla Gestapo.

L'obiettivo immediato era il miglioramento delle condizioni di vita dei membri della cellula; nella pratica, si trattava di procurarsi un lavoro "al chiuso" per evitare le dure condizioni climatiche, essere agli ordini di un Kapo non troppo crudele e avere accesso alle cure dell'ospedale attraverso l'introduzione nel campo di medicinali e vaccini. Pilecki riuscì a raggiungere questi obiettivi infiltrandosi tra gli amministratori chiave del campo—non dimentichiamoci che le SS affidavano a determinati prigionieri funzioni di comando sugli altri deportati.

Come faceva a comunicare con l'esterno?
I primi rapporti sono usciti dal campo grazie ai prigionieri liberati. Da lì in poi ci si è affidati ai tentativi di fuga di altri deportati. Alcune evasioni sono state particolarmente spettacolari: un esempio è quella del 20 giugno 1942, quando quattro deportati vestiti e armati come ufficiali delle SS sono usciti dal campo passando per il cancello principale, a bordo dell'auto del comandante. In altri casi le informazioni venivano trasmesse attraverso i civili. Venivano inoltrate al quartier generale clandestino di Varsavia, che a sua volta le passava tramite la Svezia al governo polacco in esilio a Londra. Quest'ultimo, a sua volta, informava gli inglesi.

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A un certo punto nel campo riuscirono anche a mettere insieme una radio, che funzionò per gran parte del 1942. Era nascosta in un luogo da cui le SS preferivano tenersi a distanza: l'ospedale. Comunicavano raramente e cambiando di volta in volta giorno e ora per non rischiare di essere scoperti.

Pilecki è stato uno dei primi a parlare delle camere a gas di Birkenau. Offre dati precisi sui forni crematori. Aveva ottenuto le informazioni da alcuni commando che vi lavoravano. Nel frattempo la sua rete si era estesa. Pilecki affronta anche il massacro di rom e sinti. "Erano stati liquidati alla maniera di Auschwitz," ovvero con lo Zyklon B. Nei suoi rapporti fa riferimento anche alla prima occasione in cui fu impiegato il gas, a settembre del 1941, contro centinaia di deportati sovietici.

Witold Pilecki con la famiglia, nel 1933. Foto via

Come hanno reagito i governi a queste sue rivelazioni?
Purtroppo, proprio come è successo a Karski [altro membro della resistenza polacca], non gli hanno creduto: gli ufficiali britannici destinatari dei suoi rapporti non credevano all'esistenza delle camere a gas. Perché mai i tedeschi avrebbero dovuto fare ricorso a tali mezzi, quando ogni giorno facevano fare la fame agli ebrei e li uccidevano con ben altre armi? E i milioni di vittime menzionati da Pilecki, non erano forse un'esagerazione del governo polacco in esilio per ottenere maggiore sostegno da parte degli anglosassoni?

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Tornando a Pilecki, il suo sistema di lotta si è evoluto col tempo?
La sua missione non consisteva semplicemente nel creare una rete e informare, ma anche nell'organizzare la lotta. La lotta ha assunto forme diverse. All'inizio era una lotta costante per smascherare le trappole dei tedeschi, salvare il maggior numero di vite e cercare di sbarazzarsi di tutte le SS più pericolose, così come degli informatori.

I tedeschi avevano creato un'apposita cassetta delle lettere per gli informatori, e ogni volta che si concretizzava qualche denuncia di un certo peso il detenuto responsabile della soffiata veniva ricompensato. Questa cassetta si riempiva con una certa frequenza. Pilecki e i suoi la aprivano ed esaminavano attentamente le lettere, distruggendo le più pericolose e sostituendole con lettere contro le persone da fermare.

Uccidere le SS era più complicato, perché non dovevano passare per omicidi. In un laboratorio dell'ospedale l'organizzazione aveva iniziato ad allevare delle pulci portatrici di tifo con le quali contagiavano gli ufficiali. Diversi sono morti proprio in questo modo.

Pilecki mise anche a punto un piano in previsione di una rivolta nel campo: c'erano quattro battaglioni e ogni blocco costituiva una sezione. Alla fine del 1942 Pilecki era convinto che la sua rete, che allora poteva contare su più di mille deportati, avrebbe potuto assumere il controllo del campo. Ma era anche convinto che un'evasione collettiva sarebbe stata possibile solo con l'aiuto della rete armata esterna e dei paracadutisti alleati. Doveva essere un'azione congiunta. Aspettava l'ordine dai suoi superiori a Varsavia, ma da parte loro non c'erano segnali. Non sapeva che gli alleati non avevano la minima intenzione di condurre una qualche operazione su Auschwitz. E non sapeva nemmeno che i leader della resistenza polacca a Varsavia la ritenevano una mossa suicida, data la forte presenza nazista nella regione.

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Il campo Auschwitz. Foto via

Come ha organizzato l'evasione?
Ha deciso di evadere perché credeva che avrebbe avuto più possibilità di difendere la causa accanto alle autorità clandestine. In più, la sua condizione era sempre più precaria: le SS erano al corrente dell'esistenza di una rete di resistenza, avevano arrestato alcuni dei membri, e temendo una rivolta avevano deciso di deportare un gran numero di polacchi in altri campi.

È evaso nella notte tra il 26 e il 27 aprile 1943, insieme ai due prigionieri Jan Redzej et Edward Ciesielski. Erano riusciti a farsi inserire nel turno di notte in panetteria, che era collocata fuori dal campo. A sorvegliarli c'erano due SS. Sotto le uniformi a righe Pilecki e Ciesielski avevano abiti civili. Avevano preso anche del tabacco, in modo da poterselo buttare alle spalle durante la fuga e depistare i cani.

Approfittando di un momento di distrazione delle due guardie aprirono la porta e corsero fuori. Una delle SS tirò fuori la pistola, ma non riuscì a prenderli. Poco prima di fuggire avevano tagliato il filo del telefono. Corsero finché non videro la Vistola. Sulla riva c'erano delle imbarcazioni, riuscirono a liberarne una e proseguirono per un po' con quella. Passarono anche per i boschi, indossando degli elmetti trovati in panetteria per nascondere le teste rasate. Furono accolti e nutriti da un agricoltore, che li ospitò per una notte. Il primo maggio furono intercettati da alcuni tedeschi, e Pilecki venne colpito a un braccio. Infine il due maggio arrivarono a destinazione, a casa dei suoceri di un prigioniero di Auschwitz.

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Pilecki ha scritto, "Raccontare ciò che proviamo permetterà di comprendere meglio cosa è successo." Pensate che in parte sia proprio per questo approccio che la sua storia è rimasta a lungo ignorata? Qualcuno ha sollevato dubbi sull'autenticità dei suoi scritti?
Non ci sono dubbi sull'autenticità dei rapporti, e le conferme arrivano da altre fonti e dal lavoro degli storici del museo di Auschwitz. Qua e là, e nella nostra traduzione è stato inserito in nota, ci sono piccole imprecisioni su alcuni fatti, ad esempio sulle date.

Il tono dei rapporti si discosta molto da quello amministrativo, militare. Pilecki era convinto che per far capire veramente la sua storia era necessario mettere in primo piano i suoi sentimenti, ovviamente conservando una certa oggettività. È anche per questo che il libro è così efficace e duro.

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