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Italia

Sono stato controllato mentre cercavo di documentare l'ultima operazione di polizia in Stazione Centrale

Ieri in stazione a Milano c'è stato un altro raid "anti-degrado": ho cercato di scattare qualche foto, ma ho finito per farmi chiedere i documenti più volte dalla polizia.
Foto di Luigi Mastrodonato

Sono passate poco più di tre settimane da quando la Stazione Centrale di Milano, e piazza Duca d'Aosta in particolare, sono state il palcoscenico di un'operazione "anti-degrado" a base di elicotteri, cavalli e oltre 500 poliziotti, conclusasi con decine di identificazioni, 12 espulsi, e nessun arresto o denuncia.

23 giorni dopo, a meno di una settimana dal corteo #20maggiosenzamuri a cui hanno partecipato 100mila persone—sindaco Sala incluso—c'è stata una seconda operazione. Appena ieri, e questa volta senza cavalli o elicotteri.

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È da poco passata l'una e trenta e sto andando a prendere il treno, infatti, quando vengo investito da un'orda di migranti in fuga.

Mi guardo in giro e non ci metto molto a capire quello che sta succedendo. Decine di camionette della polizia sopraggiungono nella piazza da varie angolazioni, mentre gruppetti di 10-15 poliziotti avanzano a piedi con caschi in testa e scudi spiegati: un'altra retata.

Mentre alcuni dei migranti corrono nelle vie laterali, molti altri rimangono seduti e attendono che la polizia si avvicini. L'approccio delle forze dell'ordine è sostanzialmente tranquillo, nella piazza rimbomba una sola richiesta. "Favorisca i documenti".

C'è chi tira fuori dalla tasche le carte che ha, chi non comprende le richieste dei poliziotti. C'è anche un ragazzo che reagisce in modo aggressivo alle domande della polizia, e spintona un agente prima di essere immediatamente placcato e immobilizzato a terra.

Poi ci sono io. Mi guardo in giro e penso di essere l'unico giornalista presente—quanto meno nei primi minuti della retata: nessuno che faccia video né foto. Mi avvicino a un gruppo di una ventina di poliziotti che stanno interrogando dei migranti seduti per terra e faccio partire un video per documentare quanto stia succedendo.

"Favorisca i documenti."

Stavolta però ce l'hanno con me. Blocco il video—che non riuscirò più a recuperare—tiro fuori la carta d'identità e la porgo al poliziotto, che dopo un consulto veloce me la ridà indietro e mi lascia andare.

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A quel punto mi riavvicino al gruppetto e scatto qualche foto. Un altro poliziotto si gira e mi chiede di smetterla di scattare e di andarmene, mentre nemmeno un minuto dopo un suo collega si avvicina per chiedermi, di nuovo, di favorire i documenti.

"Dite tutti di essere freelance." Sbrigato il secondo controllo mi muovo nuovamente verso il gruppetto, questa volta senza nemmeno tirare fuori il cellulare. La mia presenza, però, ormai sembra dare definitivamente fastidio: dopo neanche due minuti mi viene chiesto un'altra volta di fornire i documenti. "Da dove vieni," mi domandano—non nel senso della città, ma della testata giornalistica.

Superato l'ennesimo check mi guardo in giro e decido di allontanarmi per raggiungere un gruppo di poliziotti—magari meno ostile—che si trova un centinaio di metri più in là. Faccio qualche altro passo quando sento qualcuno chiamare da dietro: è un ragazzo in jeans e polo, mi fa segno di aspettarlo e mentre si avvicina tira fuori il distintivo.

"Favorisca i documenti."

A questo punto ci troviamo abbastanza lontani dai punti "caldi" della retata. Non posso sentire le conversazioni dei poliziotti con i migranti, né scattare foto o girare video perché i vari capannelli sono troppo distanti: in poche parole, non riesco a seguire la scena da vicino, e non posso fare altro che restare lì—a meno che non decida di rinunciare ai miei documenti.

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Il poliziotto in borghese prende la mia carta d'identità e inizia a fare una serie di telefonate. Segue dettatura di codici, nome, data di nascita, luogo di residenza. Quando mi avvicino troppo mi dice che devo "rispettare la distanza" e mettermi "lì", indicando un muretto a una decina di metri da lui.

Foto dell'autore

Passano circa dieci minuti, durante i quali mi guardo in giro: la piazza è un mosaico di decine di camionette blu e figure in divisa. Non riesco a contare i poliziotti: i gruppi sparsi per l'area sono troppi, ma approssimativamente intorno al centinaio—a cui si aggiungono i militari dell'Operazione Strade Sicure, sempre fissi in zona Stazione. Tra gli scudi e i caschi ogni tanto poi emerge la testa di qualche migrante.

Il poliziotto con la mia carta d'identità è al telefono, poi appende e si riavvicina a me. "Tutto ok, puoi andare." Faccio per prendere la carta d'identità, quando mi fa segno di fermarmi e di aspettare. Prende il cellulare e scatta due foto fronte retro del mio documento.

"Mi stai schedando?" gli chiedo. "No no, è giusto per capire chi sei." Dieci minuti di telefonate con la mia carta d'identità in mano non devono essere bastati.

Gli faccio notare che sa benissimo chi sono, ha chiamato la centrale più volte per scoprirlo e gli chiedo di cancellare le mie foto dal telefono—d'altronde l'ha detto lui che "è tutto a posto." Ma nulla, non ne vuole sapere, le vuole tenere.

È in quel momento che realizzo che la retata è iniziata da più di trenta minuti, e io tra "favorisca i documenti," richieste di andarmene e reclami di "aspettare lì sul muretto," me la sono persa e sono stato tenuto alla larga. Quello che mi rimane sono tre foto, oltre che l'onore di ritrovarmi sul cellulare del poliziotto in borghese.

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Intanto su internet inizia a rimbalzare la notizia dell'operazione. Un lancio Ansa spiega che "è in corso alla stazione Centrale di Milano un nuovo controllo da parte della polizia. Sono almeno una decina le persone che saranno accompagnate in Questura per essere identificate e uno straniero potrebbe essere arrestato per resistenza a pubblico ufficiale perché è scappato alla vista degli agenti."

Chi non si vede nella piazza è Matteo Salvini, vero showman della retata del 2 maggio con la sua diretta Facebook. A rappresentare la Lega Nord ci pensa questa volta Maroni, presidente della Regione Lombardia, che è tra i primi a twittare sulla cosa:

Bene, avanti così !!!
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NUOVI CONTROLLI DELLA POLIZIA IN STAZIONE CENTRALE A MILANO (ANSA) - È in… — Roberto Maroni (@RobertoMaroni_)May 25, 2017

In serata, Repubblica Milano parlerà di una ventina di identificati e di controlli che hanno interessato anche "una quindicina di persone che si apprestavano a protestare contro la retata."

La situazione intanto è calma e io decido di andarmene. Ho passato il tempo a fornire i miei documenti, a dare spiegazioni alle forze dell'ordine, e ho perso il treno. In quei trenta minuti, però, ho anche vissuto la retata da una prospettiva diversa: non quella solita del giornalista, ma quella del controllato.

Se scattare tre foto con un telefono vuol dire andare incontro a quattro richieste di documenti in un quarto d'ora e un controllo di dieci minuti corredato da una specie di schedatura, documentare certe situazioni—anche in maniera quasi fortuita—non ti sembrerà più la cosa più naturale e immediata da fare.

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