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reportage

Ho imparato a fare la cocaina in Colombia

Il mio insegnante si chiama Pedro, e un tempo cucinava per Pablo Escobar.

Non dovrebbe stupire nessuno il fatto che la Colombia sia il più grande produttore di cocaina del mondo, soddisfacendo circa l'80 percento della richiesta dell’intero pianeta. Con un vero spirito imprenditoriale, piccoli laboratori di cocaina, o “cucine”, punteggiano la campagna generando una produzione che nel solo 2011 ha toccato le 345 tonnellate. Essendo un tipo con la mente rivolta al commercio  e che sa quali siano le trappole di una cultura rivolta al consumatore e l’importanza della produzione, ho deciso di passare una giornata come apprendista da un cuoco nel paesino colombiano di San Agustin.

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Sebbene San Agustin sia a soli 300 km dalla zona dell'Ecuador in cui mi trovavo, ci ho impiegato due giorni interi per arrivarci. Come normalmente succede in Sud America, il mio viaggio è stato allietato da confusione e contrattempi, incluse pioggia, colate di fango, tre ore di fila all’ufficio immigrazione, assenza di biglietti, strade di montagna non asfaltate, e vecchi pullman senza sospensioni che mi hanno quasi rotto l’osso sacro.

Arrivato a destinazione, però, tutti quegli inconvenienti mi sono sembrati delle sciocchezze: stavo per fare della cocaina artigianale.

Alcuni animali sulla proprietà di Pedro.

Il proprietario del laboratorio di cocaina si chiamava Pedro. Mi ha accolto caldamente su una porzione della sua proprietà un tempo impiegata per la lavorazione del caffè, e mi ha comunicato che il mio corso sarebbe durato due ore.

Dopo uno sguardo veloce al campo di caffè di Pedro, sono stato condotto alla sua pericolante casa, e alla sua cocina.

Un mucchio di foglie verdi era posizionato in un sacca di canapa sopra al tavolo. Erano così fresche da dare l'impressione che i campi da cui erano state colte dovessero essere molto vicini. Senza perdere tempo, Pedro mi ha messo un machete ben affilato in mano e mi ha detto di cominciare a tagliare.

Tra un colpo vigoroso e l'altro, Pedro mi ha rivelato la sua storia. Ha imparato a lavorare la coca in otto anni di servizio in una cucina un tempo visitata dallo stesso Pablo Escobar, durante una raccolta di 70 kg di cocaina pura, fresca fresca dalla catena di Pedro.

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Tritate a sufficienza le foglie, mi è stato detto che era tempo di aggiungere un legante. Se mi avesse chiesto quale fosse quest'agente avrei risposto un uovo, o qualcosa ugualmente innocuo. Mi sarei sbagliato. Pedro ha tirato fuori una sacca di cemento, lo ha sparso su tutte le  foglie che avevamo tritato così magnificamente e ha cominciato ad impastare a mano.

Il passo successivo è stata l’ammoniaca. Pedro sembrava particolarmente divertito quando mi ha piazzato la bacinella davanti alla faccia e ha aspettato che respirassi. Era come se qualcuno mi avesse rovesciato direttamente nel cervello una bottiglia gigante di sali ammoniacali.

Dopo che il cuore è ripartito, Pedro mi ha spiegato che ai buoni vecchi tempi facevano l’intero processo con l’acqua. Sfortunatamente il mercato della cocaina organica non è mai partito, perché le foglie dovevano stare a mollo nell’acqua per 15 giorni, con tempistiche decisamente troppo lunghe. I produttori hanno cercato un modo per accelerare il processo e hanno scoperto che la benzina era un buon sostituto, riducendo sostanzialmente i tempi di attesa. Con un gesto plateale, Pedro ha rovesciato un’intera bottiglia di super senza piombo nel mix.

Mentre aspettavamo che la benzina facesse la sua magia, abbiamo aggiunto un po’ di acido cloridrico e del bicarbonato di sodio. L’acido serve da estrattore, e porta in superficie il cloridrato di cocaina. Il bicarbonato di sodio fa aumentare il pH. Dopo un’altra breve pausa abbiamo spostato la federa decorata che Pedro aveva usato per coprire la bacinella e abbiamo scoperto che nel liquido puzzolente si erano magicamente create delle piccole pietre bianche.

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Le ha tirate su e dopo una sciacquata veloce le ha fatte cadere nella stagnola. Infine le ha messe davanti ad una lampadina da 60 watt per fare in modo che l’ultimo succo tossico evaporasse.

Per concludere, Pedro ha tirato fuori il suo coltellino svizzero e da vero esperto ha cominciato a tagliare e sminuzzare la sua creazione nel bianco perlaceo e puro dello stadio finale.

Dopo aver assistito all'intero processo, ho assunto l’austero portamento di un profumiere di Parigi e ho sniffato la mia creazione. E la striscia che si fa Bobcat Goldthwait in Blow riassume perfettamente il momento: “Non mi sento più la faccia… Cioè, la tocco ma non me la sento dentro…”

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