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Abbiamo seguito il colpo di stato egiziano

Da una parte all'altra del Cairo, dopo l'annuncio dell'esercito che ha destituito Morsi.

Foto di Justin Wilkes

Nessuno vuole una guerra, dicevano tuti. Ma appena tramontato il sole, e con i colpi che esplodevano periodicamente intorno a noi, sembrava che il Cairo ci fosse in mezzo. Dopo qualche drammatico giorno, milioni di manifestanti attendevano ansiosi, a piazza Tahrir e davanti al palazzo presidenziale, l’annuncio dal capo delle forze armate, il Generale Abd el Fattah el Sissi. Contavano i minuti che mancavano allo scadere dell’ultimatum di 48 ore lanciato lunedì dai militari. Qualche ora dopo, l'annuncio: “Morsi non è riuscito a soddisfare le richieste del popolo egiziano.”

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A Nasr City, la folla a sostegno di Morsi cercava rifugio dietro pile di motori di macchine nella piazza appena illuminata, nascondendosi dai cecchini sui palazzoni che torreggiavano poco avanti a noi. Solo qualche minuto prima, i leader della Fratellanza Musulmana avevano letto l'attesa dichiarazione arrivata dal consiglio militare. Da un palco allegramente illuminato da lampadine, avevano pronunciato le crude parole che tanto temevano i sostenitori del presidente: la costituzione era stata sospesa e il flirt di un anno con la democrazia rappresentativa era finito.

Letto il comunicato, uomini fatti e finiti sono caduti in ginocchio, piangendo o brandendo bastoni. Pochi minuti dopo, si sono sentiti i primi spari e i primi feriti sono stati portati via sanguinanti dalla piazza.

Un sostenitore di Morsi bacia una sua fotografia a un sit-in fuori dall’Università del Cairo.

Era strano, considerato quanto festiva era parsa l’atmosfera pochi istanti prima, nel cuore della Fratellanza Musulmana, una specie di Glastonbury per barbuti islamisti, il mondo bizzarro a due passi da piazza Tahrir. Uomini—e qualche donna, va detto—ballavano e cantavano tra le urla degli altoparlanti che inneggiavano al presidente e alla sharia. Bambine con l’hijab se ne andavano in giro, rapite dalle bancarelle di giocattoli cinesi e dai venditori di pannocchie, accrocchiati intorno ai loro bracieri. “Non siamo terroristi,” dice una donna piangendo di frustrazione, “dicono che lo siamo, questi ribelli, ma non è vero. Io non sono della Fratellanza; sono una persona normale, una musulmana. Ma siamo qui a sostegno della nostra democrazia, niente più.”

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Sostenitori di Morsi mostrano il Corano mentre chiamano al raduno nel luogo di scontri letali.

Dietro di lei, il braccio muscoloso della Fratellanza marciava e correva in falangi, armati di bastoni, verso le barricate in cui si trovavano faccia a faccia con l’esercito per la prima volta dall'inizio di questa crisi politica. I mezzi militari che l’esercito aveva portato davanti alle barricate se ne erano andati un’ora prima, quando giovani manifestanti ci erano saliti sopra, sventolando bandiere e implorando i soldati irritati con in mano le mitragliatrici di non distruggere il loro campo di protesta.

Ma era stata una vittoria breve. Soldati, alcuni in uniforme, altri no, si erano disposti sui tetti intorno a noi, le canne dei loro fucili illuminate dal sole al tramonto. “Credevamo che l’esercito fosse con noi, forse, fino a ieri (quando più di 20 manifestanti, soprattutto sostenitori del presidente, sono stati uccisi in scontri con ignoti). Anche ora, forse—speriamo—sono qui per proteggerci.” Ma i veicoli con le truppe erano diretti solo verso i sostenitori del governo. Alla manifestazione contro Morsi, poche centinaia di metri più giù, lungo la strada, il quadro era ben diverso.

Nasr City, un manifestante regge un cartello in cui si invitano i militari a intervenire.

Foto di Justin Wilkes

In un mare di bandiere dell’Egitto e polo, i sostenitori del movimento antigovernativo Tamarrod marciavano e guidavano in cerchi davanti al club d’ufficiali in cui Morsi era tenuto prigioniero dalle sue guardie del corpo. Soldati in abiti civili facevano da guardia alla folla, composta principalmente di medio-borghesi. Da sotto gli occhiali scuri e l'hijab colorato, una donna di mezza età reggeva a favore della macchina fotografica un cartello in cui condannava Obama per il "sostegno ai terroristi”: “Non sono egiziani, questi dei Fratelli Musulmana. Li portano, dalla Cecenia, dall’Afghanistan.”

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Entrambi gli schieramenti sostengono di rappresentare il vero Egitto. Nelle fila delle Fratellanza, tutti sostenevano di rappresentare la pietà pura del fellahin e la poverà urbana. “Vogliamo solo la democrazia—e la sharia, è chiaro. Ma nessun vero egiziano vuole vedere gente bere alcol in strada o fare finto sesso.” Dall’altro lato delle barricate, il movimento anti-Morsi era altrettanto convinto della sua egizianità.

Foto di Justin Wilkes

Abbiamo lasciato i sostenitori dei Fratelli quando la folla ci si è rivoltata contro, accusandoci di essere spie e minacciandoci coi loro bastoni. Spari di fucile sono scoppiati preoccupantemente vicini mentre correvamo verso la strada principale. Nei palazzi intorno a noi, intere famiglie sventolavano bandiere, emettendo urla di gioia per la caduta del presidente eletto e inneggiando alle compagnie di soldati nei veicoli blindati che separavano Nasr City dal resto del Cairo con rotoli di filo spinato. Vecchiette lanciavano manciate di caramelle per festeggiare: fuochi d’artificio e spari di fucile scoppiavano tutto intorno a noi.

Alcune delle persone con cui ho parlato, come un negoziante di 40 anni, Bahgat Ibrahim, si fidano ciecamente dei militari. “Con grandi leader come El Sissi non abbiamo nulla da temere,” dice. “Circonderanno la Fratellanza Musulmana in un attimo!!”

Altri si sono dimostrati in trepidazione.

Mariam Alaa, 25 anni, ad esempio: “Festeggerò la liberazione da Morsi, ma sono andata a Mohamed Mahmoud e ho visto come si comporta l’esercito. I militari sono quelli che hanno fatto test della verginità alla regazze. I militari sono quelli che hanno permesso il massacro di Maspero. Non abbiamo dimenticato, quindi ora festeggiamo, ma non mi voglio fidare. Se faranno anche solo una cosa sbagliata, continuerò a protestare.”

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Il suo amico Ibrahim Saleh, 25, aveva un posizione simile. “Abbiamo scoperto che in qualche modo l’inferno dei militari è meglio del paradiso della Fratellanza Musulmana. Ma l’Egitto non merita nessuna delle due—spero che, avendo Baradei a controllare questa situazione, avremo finalmente il governo che ci meritiamo.”

Foto di Justin Wilkes

Ormai a notte inoltrata, il centro del Cairo era un mare di veicoli strombazzanti e folle in giubilo, con elicotteri militari in volo. Un giudice indicato dai militari è ora il volto della legge marziale, e oggi si continuerà a festeggiare, mentre la Fratellanza se ne starà buona, leccandosi le ferite e pianificando una nuova via. Per loro, le cose non hanno funzionato. Domani l’Egitto si sveglierà nella stabilità portata dalle armi che tanto hanno voluto negli ultimi due anni.

Come si è arrivati qui:

Il conto alla rovescia della rivoluzione egiziana