FYI.

This story is over 5 years old.

News

Siamo andati alla manifestazione nazionale di rom e sinti a Bologna

Questo sabato, anche per rispondere a quella che viene percepita come un'ondata discriminatoria, a Bologna si è svolta la manifestazione nazionale di rom e sinti. Siamo andati a vedere chi ha partecipato e perché.

Foto di Fabrizio Di Nucci.

Negli ultimi tempi, quello dei rom—tra le ruspe di Salvini e i servizi inventati di alcune trasmissioni televisive—è stato uno dei temi più discussi. Questo sabato, anche per rispondere a quella che viene percepita come un'ondata discriminatoria, a Bologna si è svolta la manifestazione nazionale di rom e sinti.

Questi ultimi sono una delle etnie che compongono la popolazione romanì, ed è dall'Associazione Nazionale dei Sinti che il 16 aprile era stata convocata la manifestazione. Luogo e data non sono stati casuali. Bologna è la città in cui si insediò la prima comunità sinti in Italia, e ad oggi l'Emilia Romagna è la regione in cui il 95,9 percento di questa comunità ha la cittadinanza italiana. Il 16 maggio, invece, rappresenta l'anniversario dell'eccidio nazista nel campo di Birkenau, dove un gruppo di rom e sinti furono sterminati dopo essersi ribellati ai propri carcerieri.

Pubblicità

Come c'era da aspettarsi, visti i toni degli ultimi tempi, le reazioni della politica non si sono fatte attendere. Mentre Forza Italia e la Lega Nord chiedevano di bloccare la manifestazione, Fratelli d'Italia organizzava un contropresidio "a difesa dei tanti italiani che in questi ultimi anni sono stati i veri discriminati dalle amministrazioni." Intanto, sui profili Facebook di vari esponenti della destra bolognese, i commenti evidenziavano l'usuale moderazione che contraddistingue le discussioni sull'argomento.

Sono arrivata in via Gobetti poco prima delle 11.00, orario fissato per l'inizio del corteo. Oltre ai poliziotti e agli immancabili curiosi, sul posto ci sono a occhio e croce circa 200 persone: l'impressione è che si tratti più di un ritrovo di centri sociali che di una manifestazione di rom e sinti.

Sotto il cielo che minaccia di scaricare litri di acqua, a riportarmi al motivo della manifestazione e ritmare il corteo che inizia a sfilare c'è un'orchestra di trombe e flauti che suona musiche tradizionali.

La prima persona con cui parlo, che indossa un giubbetto fluorescente, è un volontario dell'associazione Sinti Italiani. Il motivo per cui ha scelto di partecipare è che "in Italia c'è troppo razzismo: sbaglia uno, puniscono tutti. Vanno messi in carcere." Il dato evidente che salta all'occhio, e che è sostanzialmente confermato dal volontario, è la scarsa partecipazione rispetto alle aspettative. "Ci aspettavamo un migliaio, due migliaia di persone. Abbiamo avvisato tutti i sinti, ma non arrivano."

Pubblicità

Mentre le persone sfilano lentamente con cartelloni che citano articoli della Costituzione e diversi slogan, comincio a raccogliere qualche opinione dai manifestanti.

La maggior parte sembra non essere rom o sinti, come conferma un membro dell'associazione Manifesto in Rete. Anche lui fa riferimento al numero dei partecipanti, e questa volta la questione si sposta sui motivi della scarsa partecipazione degli italiani.

"Io sinceramente non mi aspettavo più persone. È una una battaglia difficile, è difficile per la gente comprendere il motivo per cui si debba scendere in piazza. Oggi siamo in una società che è ammutolita da una cultura conformista, non riesce a rendersi conto dell'importanza di difendere anche argomenti come questi."

La discussione si sposta inevitabilmente sui motivi dell'ostilità nei confronti di sinti e rom. "Il cambiamento deve partire necessariamente dalla classe dirigente," mi dice. "Non c'è la possibilità di cambiare realmente il modo di pensare se non cambia la cultura della classe dirigente e dei media."

Il discorso della strumentalizzazione politica del tema e delle colpe della politica emerge parlando con diversi italiani non rom o sinti presenti in segno di solidarietà, e il nome di Salvini—come ovvio—uscirà ripetutamente nel corso delle discussioni.

Provo a capire se tra i cittadini solidali c'è chi ha avuto esperienza diretta con la comunità di rom e sinti, e trovo una ragazza a cui chiedo di raccontarmela. "Per un breve periodo mi sono occupata di ragazzini e di scuola. Ho conosciuto persone integrate, qualsiasi cosa voglia dire," racconta. "Quelle che non erano integrate erano persone estremamente povere, analfabete e che per questo motivo vivevano in una condizione di miseria totale. Erano seguiti dagli assistenti sociali, che non se ne occupavano. La prima volta che ci sono entrata in contatto avevo circa venti anni, in quel caso erano dei rom che vivevano in roulotte in otto, padre madre e cinque figli. Vedendoli ho capito perché si creano situazioni del genere."

Pubblicità

Il corteo continua a sfilare verso piazza dell'Unità, la folla si fa mano a mano più multiforme, mentre la banda mischia musiche tradizionali a "Che sarà".

Vado alla ricerca di rom e sinti per raccogliere le loro impressioni sulla manifestazione e il loro punto di vista. A braccetto con una signora con la bandiera della CGIL ce n'è una della comunità sinti. Al mio commento che sia la prima persona sinti che trovo, mi risponde: "La comunità sinti è molto demotivata e c'è un po' di paura a aderire a questi eventi pubblici, per le istigazioni, per quello che si vede passare su Facebook e per tutto il resto."

Anche con lei provo a indagare sulle motivazioni del malumore pubblico nei confronti della sua comunità. "È un malessere del popolo che fuoriesce in questo senso. Purtroppo sappiamo benissimo le difficoltà che incontrano oggi tutti quelli che sono rimasti a casa senza lavoro, è una guerra tra poveri."

Quando le chiedo se si consideri integrata nella società italiana, risponde: "Io ero una sedentaria, sono diventata sinti perché ne ho sposato uno. Personalmente non ho avuto alcun tipo di problema. Nella vita reale però c'è razzismo. È un odio che ha origini molto lontane. Si parla d'integrazione ma verso un mondo che hanno creato loro. I fondamenti del mondo al quale vogliono che ci integriamo—una casa, un posto fisso—sono creati a loro piacere. Non accettano un altro modo di vita."

Pubblicità

A questa risposta non può che seguire una discussione su uno dei temi più controversi quando si parla delle comunità nomadi: i campi rom, che nell' immaginario collettivo sono gli unici posti dove loro stessi vogliono vivere.

Provo a testare la validità di questo stereotipo continuando a parlare con la signora: "I campi rom sono da eliminare. Emarginazione vera e propria. Alternative ai campi rom però non ce ne sono, perché a chi ha provato a crearsi degli spazi suoi, adattandoli al suo stile di vita, non è stato permesso. Quindi è questo, è una libertà limitata. O vai lì, o vai lì."

La sua presa di posizione contro i campi rom non è un'eccezione, ma si evince dalle risposte dalla maggior parte dei sinti e rom a cui pongo la domanda.

Un sinti che vive a Bolzano mi risponde con tono scontato: "E chi vuole vivere in un posto del genere? Assolutamente no, noi preferiamo delle micro aree. Anche se poi volessimo andare in una casa, non abbiamo la possibilità di mantenerla, perché il governo non ci dà il lavoro. Non ci danno neanche la possibilità di fare il nostro lavoro che potrebbe essere quello tradizionale, artigianale, perché le leggi che ci sono attualmente in Italia sono un disastro. Oggi qua siamo solo una piccola minoranza di tutti i sinti che vivono in Italia, siamo la piccola minoranza che lavora per migliorare la situazione." Come gli altri, nemmeno lui si sente integrato nella società.

Pubblicità

Una posizione ancora più diretta sui campi rom è quella di un suonatore sinti che mi dice che la prima cosa che la politica dovrebbe fare è quella di "chiudere tutti i campi rom." Poi continua: "Siamo sinti, siamo italiani dal 1800, è da generazioni che siamo italiani, vogliamo i nostri diritti perché ci appartengono, li chiediamo con la nostra musica. Non tutti sono ladri, non tutti sono criminali, non tutti sono come fanno vedere in tv. Noi siamo sinti italiani, la differenza che devono fare tra sinti italiani e sinti stranieri è grande. C'è una differenza grande. Devono ancora imparare la loro cultura."

Un'altra differenza evidenziata da molti partecipanti con cui parlo è quella tra rom e sinti. Ad essere presenti alla manifestazione, mi dicono, sono in stragrande maggioranza i sinti. Per quanto riguarda l'integrazione, il signore con cui parlo ha un'opinione simile a quelle degli altri: "Sto facendo una vita normalissima. Sto dando il massimo. Ma non per sentirmi accettato. Per la mia famiglia e per me stesso. Se poi qualcuno ha qualcosa contro di me, contro la mia cultura, problemi loro."

Il corteo sta arrivando alla conclusione, e dopo "Bella Ciao"—probabilmente la canzone più partecipata—vado a a parlare con un ragazzo che regge una bandiera rossa con su scritto "Partito Comunista dei Lavoratori" per chiedergli il motivo della sua partecipazione.

"Ci schieriamo a sostegno di qualsiasi minoranza oppressa etnica che c'è in Italia," mi dice, "anche dei migranti che non vedono conosciuti i loro diritti basilari, in un'ottica generale di ricomporre tutte le istanze degli oppressi sfruttati e della classe lavoratrice." Alla domanda su quale sia la soluzione, questa è la risposta: "L'unica soluzione è la lotta di classe."

Pubblicità

Per quanto non tirino in ballo la lotta di classe, il parallelo tra le minoranze sfruttate e la partecipazione alla manifestazione è il motivo che sta dietro la presenza di alcuni ragazzi del Gambia con cui parlo. Mi dicono di essere scesi in piazza in segno di solidarietà a un'altra minoranza.

Alle 12:30 precise, come da programma, il corteo arriva in piazza XX Settembre, dove è stato allestito un palco da cui alcuni esponenti pubblici e politici chiuderanno la manifestazione. Dal palco parlano, tra gli altri, il senatore del PD e presidente della commissione parlamentare per i diritti umani Luigi Manconi, la deputata Sandra Zampa (sempre del PD), l'attore teatrale Alessandro Bergonzoni e il presidente dell'associazione nazionale dei sinti, Davide Casadio.

La piazza si comincia a svuotare e sullo sfondo, ignorato da quasi tutti, suona l'inno di Mameli. L'ultima testimonianza che raccolgo è quella di un ragazzo di diciannove anni, che mi racconta di come negli ultimi anni la discriminazione sia molto peggiorata rispetto a quando andava alle scuole medie.

Nelle stesse ore, nonostante i poliziotti a cui ho chiesto informazioni abbiano smentito la presenza di contromanifestazioni in altri luoghi della città, a Bologna si trovava anche Giorgia Meloni.

Torno in piazza XX settembre un'ora dopo, quando il palco è già stato smontato, la piazza ripulita e la vita bolognese è ricominciata a scorrere normalmente. La sensazione è che, trattandosi di una manifestazione contro le discriminazioni, la scarsa partecipazione da parte di rom e sinti rappresenti un po' un'occasione persa.

Ma del resto, l'argomento è in grado di polarizzare le opinioni e trascinare per giorni le polemiche solo quando i toni sono altissimi e le parole forti. Quando si tratta di sfilare pacificamente, l'indifferenza generale raggiunge l'apice, e in pochi sono realmente interessati ad ascoltare.