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A9N2: Il settimo numero di VICE dedicato alla moda

Quel che resta dei raggare

Per quanto ci proviate, non sarete mai belli come i greaser svedesi di una volta.

Gamen, Pilen, e Henry della gang Road Devils seduti sulla Hudson del 1951 di Gamen. Per gentile concessione di Sten Berglind.

I raggare sono greaser moderni, importanti per l’identità svedese quanto le polpette di carne, gli ABBA e i biondi con gli occhi azzurri. Lo sono nonostante la cultura raggare sia costruita sull’appropriazione di macchine americane d’importazione, rock’n’roll e chiodi di pelle da veri duri. E in Svezia ci sono talmente abituati che nessuno più si gira quando ragazzotti dai capelli impomatati attraversano il centro delle loro cittadine sparando vecchi classici a tutto volume e sventolando la bandiera sudista fuori dai finestrini delle loro hot rod (o delle loro Volvo ammaccate, se non possono permettersi mezzi più congeniali al loro stile), mentre si dirigono al più grande raduno di auto americane al mondo: l’annuale Power Big Meet di Västerås. I primi raggare comparvero negli anni Cinquanta, quando i giovani svedesi iniziarono a ispirarsi ai film e alla scena musicale statunitensi che, grazie al Piano Marshall, avevano invaso l’Europa post-Seconda Guerra Mondiale. La Svezia si era proclamata neutrale durante la guerra, pertanto le infrastrutture non erano state danneggiate e l’esportazione stava esplodendo. All’improvviso, anche i ragazzi della working-class potevano permettersi macchine, i vinili di Elvis Presley e i biglietti per Gioventù Bruciata. Gli Stati Uniti erano divenuti sinonimo di speranza, sogni, e modernità. Comunque parliamo degli anni Cinquanta, e la Svezia era una nazione conservatrice. Sui tabloid, i raggare—che facevano il bagno nudi, facevano sesso, facevano a pugni e sbevazzavano—venivano raccontati con tono scandalizzato. Naturalmente questa subcultura dilagò per tutta la Svezia, e anche le altre nazioni del Nord iniziarono a idolatrare i giovani americani con aria da teppisti che vedevano al cinema. Per i greaser americani, ovviamente, avere un’auto americana non era una gran cosa. Chi ci riusciva in Svezia, invece, diventava il legittimo proprietario di uno dei club più in della città: un lounge su quattro ruote dotato di stereo, un divanetto su cui darci dentro, un baule pieno di alcolici clandestini e, ovunque parcheggiasse, un dancefloor. Incuriosita dalle origini di questi svedesi filo-americani, ho rintracciato uno degli ultimi membri ancora in vita di una delle quattro gang raggare originarie: Sven-Erik “Svempa” Bergendahl. Svempa passa ancora le sue giornate in garage, solo che ha sostituito le auto sportive americane con camion Scania enormi e assurdamente pacchiani, grazie ai quali ha vinto più di 200 premi in tutto il mondo.

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Svempa, 74 anni, nel suo garage a Stoccolma.

VICE: Come è iniziato il movimento raggare in Svezia?
Svempa Bergendahl: Gamen [noto raggare degli albori] ha dato vita alla gang dei Road Devils nella zona a nord di Stoccolma. Per rivaleggiare con loro io e altri amici del club di motociclisti KFUM volgemmo il nostro interesse alle hot rod e rinominammo la nostra gang Road Stars. Al tempo avevo 17 o 18 anni. Avevo una Ford Thunderbird che mi era costata 900 dollari. Oggi me ne costerebbe più di 60.000. Da non crederci. Gamen e i suoi bazzicavano il centro di Stoccolma, attorno a un posto che si chiamava Cupido, mentre noi ci aggiravamo nel sud, a Bollmora. C’erano altre due gang lì nel sud: i Car Angels a Farstanäset e i Teddy Boys a Södermalm. Più tardi, i ragazzini di provincia hanno iniziato a imitarci, ma non avevano i mezzi giusti. Andavano in giro su delle Volvo o delle Opel. Li chiamavamo blöjrag-gare [raggare-pannolino].

Da dove viene il termine raggare?
In svedese, ragga significa “caricare in macchina le ragazze”, ed era proprio quello che facevamo, vagare in macchina, abbordare le ragazze e caricarle. Al giorno d’oggi, gli appuntamenti si danno via internet, ma allora dovevi andare in discoteca o fare come noi: dare passaggi alle ragazze che ne avevano bisogno. E funzionava. Tutte volevano farsi un giro su una bella macchina. A me non sono mai interessate più di tanto le ragazze, eppure sembrava che a loro piacessi. Quello che mi interessava davvero erano le macchine americane e smanettare con le auto sportive. Facevo il meccanico in un’officina, e dato che non potevo permettermi una Yankee [slang per “auto americana”] nuova fiammante, me ne compravo di vecchie, le sistemavo con dei cerchioni nuovi e una riverniciatura, e poi le scambiavo con auto migliori. Devo averne cambiate 25.

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Cosa significava allora vivere da raggare?
A Bollmora c’era una donna chiamata Raggarmorsan [Mamma raggare], che era la proprietaria di un bar e ci permetteva di usarlo come punto di ritrovo. Quando fu sfrattata da Bollmora e costretta a trasferire il bar in un quartiere suburbano più elegante nel nord la seguimmo, ma quelli del posto non volevano la “feccia raggare”, quindi ci fu un po’ di trambusto. Nel suo bar un caffè o un dolce alla cannella o una Coca Cola costavano circa dieci centesimi, e poi ci spostavamo in altri bar in giro per tutta Stoccolma. Nessun bar vendeva alcolici, e se si accorgevano che avevi corretto la Coca—si capiva perché prendeva un colore un po’ più chiaro—ti sbattevano fuori.
Alcuni di noi si facevano gli alcolici in casa. Io non bevevo. Giravamo in macchina tutta notte, ci davamo da fare con le ragazze, sentivamo i 45 giri nello stereo oppure ci sintonizzavamo su Radio Luxembourg, l’unica stazione a non passare noiosa musica religiosa. Non tornavo quasi mai a casa prima delle quattro di mattina. Cercavo di stare il più possibile fuori perché mio padre era un alcolista e mia madre era molto povera, e per arrivare a fine mese doveva fare turni su turni come donna delle pulizie. A volte rincasavo e in frigo c’era solo un pezzettino di salsiccia. Io ero pelle e ossa, ma altri ragazzi erano davvero belli e avevano un grande successo con le ragazze. Passavamo il nostro tempo a sistemare le macchine e a rimirarci allo specchio prima di metterci al volante.

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Svempa, al volante, con la gang Road Stars nella sua Pontiac Cabriolet del ’53. Foto per gentile concessione di Sven Åberg/Scanpix.

Quali novità apportò la cultura raggare alla moda svedese?
L’apparenza era molto importante, ovviamente. Sono stato uno dei primi a Stoccolma a portare dei jeans. Avevo un paio di Wrangler Blue Bell che avevo comprato a Hammarbyhamnen [il porto a sud di Stoccolma] da un marinaio appena tornato dagli Stati Uniti. Erano tutti invidiosissimi. Ne avevano un timore quasi reverenziale. Era prima che la Lee e tutti gli altri marchi arrivassero in Svezia. Ne ero davvero orgoglioso, e le ragazze andavano in visibilio! Avevo anche una di quelle varsity jacket double-face. Portavamo stivali di pelle con le fibbie e cinture con il nome della gang scritto sul retro. Solo in pochi potevano permettersi le giacche di pelle, perciò indossavamo giubbini o giacche di jeans, ma il jeans è arrivato solo più tardi. Avevamo anche delle code di volpe, le raggarsvansar [code raggare], che attaccavamo alle antenne della macchina, e ci pettinavamo i capelli all’indietro con la brillantina, in modo che rimanessero al loro posto anche se guidavamo veloce. La cosa più fica da fare con i capelli era la “ducktail” [pettinare tutti i capelli all’indietro e lasciare un ciuffo sulla fronte], e meglio se i capelli erano neri e fitti.

E le ragazze cosa indossavano?
Mia moglie, Monica, era lo stiletto più alto della città, e una delle poche a saperci veramente camminare. Lavorava in un negozio di scarpe, sicché aveva sempre le ultime novità. Allora le ragazze non si truccavano molto, non come le ragazzine di oggi che si pitturano le palpebre fino quasi ai capelli. Le raggare mettevano l’eyeliner e mescolavano la crema all’ossido di zinco con dei pigmenti colorati per ottenere una delicata sfumatura rosa sulle labbra. Sembravano delle dive di Hollywood, con i capelli cotonati e le gonne eleganti. A volte legavano i capelli in code di cavallo e sui lati della testa mettevano delle mollettine. Ai tempi, l’hula hoop andava tantissimo. Certo, c’erano altre sottoculture; c’erano i ballerini di swing, che venivano chiamati swingpjattare, e i mod che si chiudevano nelle taverne a suonare jazz pieno di virtuosismi e indossavano pantaloni attillati e scarpe a punta. Eravamo tutti in competizione per le ragazze.

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Sognavate di trasferirvi negli Stati Uniti?
Sì. Alcuni dei primi raggare ci si sono trasferiti e se la sono cavata davvero bene, ma altri sono stati costretti a tornare indietro. Io sono stato per la prima volta negli USA nel 1989 con lo Scania e ho guidato almeno 6.500 km, così diciamo che ho visto il Paese in lungo e in largo. Il cibo faceva schifo, la vita era dura e molti camion erano grandi come case. Sono stato contento di tornare a casa. Però mi hanno detto che la California è molto bella. A quei tempi, l’America esercitava un grande fascino su di noi a causa di Elvis Presley e dell’arrivo del rock’n’roll; per noi, il rock fu una specie di liberazione.

Raggare a Stoccolma tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio degli anni Sessanta. I bar non servivano alcolici ed erano arredati con qualche tavolo, delle sedie e un jukebox. Foto per gentile concessione di Sten Berglind.

Come mai vi siete appropriati della bandiera sudista?
Noi non l’abbiamo mai usata; è venuta dopo, ma so che le uniche connotazioni che aveva [per i raggare] erano relative al rock’n’roll e alla ribellione, che emersero negli Stati del Sud.

Quale fu la reazione dei media ai raggare?
Allora ci temevano. Erano altri tempi. Certo, ogni tanto capitava qualche rissa e anche qualche piccolo crimine, come rubare la benzina o guidare senza patente, ma rispetto ai ragazzi d’oggi non facevamo nulla di che. Eppure, agli occhi dei media e della polizia, che allora erano molto più severi di oggi, sembravamo dei poco di buono. Bastava aggirarsi per Kungsgatan [nel centro di Stoccolma] troppo a lungo, secondo loro, per ritrovarsi una manganellata nel tettuccio della macchina. Un paio di volte mi intervistarono sul giornale, e alcuni genitori mi usavano anche per spaventare i loro bambini, “Farai meglio a fare il bravo, o Raggar-Svempa verrà a prenderti!” Ma lo scandalo maggiore fu che alcune delle nostre ragazze rimasero incinte. Negli anni Cinquanta in Svezia i preservativi erano più o meno proibiti e stiamo parlando di un periodo in cui la pillola non esisteva ancora, quindi le ragazze non erano sempre disposte ad andare fino in fondo. Ma è facile cedere alle pressioni quando sei giovane e innamorata. Io ho conosciuto mia moglie Monica proprio allora. Aveva 16 anni, e mi ci vollero mesi perché mi lasciasse entrare nelle sue mutandine.

Che ne pensi dei ragazzi che abbracciano lo stile raggare oggi?
Secondo me la cultura raggare è finita con le gang originarie e i nostri luoghi di incontro sono stati chiusi negli anni Settanta, quando poi abbiamo messo su famiglia. Certo, ci sono ancora persone che si definiscono raggare e che si divertono a pimpare macchine americane, ma questo non li rende raggare, solo semplici appassionati di macchine americane. Quello che veramente ti rende un raggare è gironzolare in macchina per raccattare le ragazze, ma questo non si può più fare, non si può fare l’autostop senza il pericolo di essere violentati o uccisi. Al giorno d’oggi, la violenza è ovunque. Quando eravamo giovani, le ragazze aspettavano ai margini delle strade che qualcuno desse loro un passaggio, e noi le portavamo alle feste e ascoltavamo insieme Elvis. Queste sono cose che non si possono più fare.

Dopo tutti questi anni, giri ancora con i tuoi amici raggare?
Ho 74 anni e non ho mai smesso di lavorare, e sono sempre stato bene. Purtroppo i miei amici dei bei tempi sono passati a miglior vita. La mia maestra diceva sempre, “Svempa non combinerà nulla,” perché avevo voti troppo bassi per farmi assumere alla compagnia telefonica nazionale o in qualsiasi posto dove la gente lavorava allora, quei lavori che penso non possano piacere a nessuno. Invece mi è andata di lusso; ma ho dovuto lavorare davvero, davvero tanto per arrivare dove sono oggi, e non ce l’avrei mai fatta senza mia moglie. È lei quella che gestisce il lato finanziario dell’attività.

Sembra che tu abbia realizzato il sogno americano, ma in Svezia.
[Ride] Esiste anche un culto di Svempa. Ho conosciuto persone con il mio nome tatuato sulle braccia. Quando sono arrivato in Cina con il mio spettacolo di camion, metà della Cina sapeva chi ero! Ho un fan club tutto per me, e una volta, un paio di anni fa, quelli di MTV sono venuti al garage dove preparo il mio show con un sacco di persone famose.

Un ringraziamento speciale a Sten Berglind, autore di Raggare.