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Anthea Pokroy vuole creare un'armata rossa

Nel senso di "persone con i capelli rossi", non comunisti.

In quanto rossa naturale, mi sono trovata circondata dai persecutori molte più volte di quanto mi piacerebbe ricordare. Così, quando ho saputo che la prima personale dell’artista Anthea Pokroy si chiama I collect gingers, ho pensato di aver finalmente trovato qualcuno che potesse capire cosa vuol dire essere odiata solo per la pigmentazione dei propri capelli. Finora, Anthea ha “collezionato” più di 500 rossi naturali, fotografandoli in primo piano su uno sfondo neutro. Un campione di capelli è stato prelevato da ogni soggetto al momento dello scatto. Non capisco bene perché, ma posso solo immaginare che Anthea—desiderando creare una “utopia dei rossi”—abbia in mente il più nobile dei piani: portare avanti la causa dei pel di carota.

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Ho chiamato l’artista sudafricana per capire di più e discutere su come il modo in cui le persone con i capelli rossi vengono trattate nella società moderna possa essere comparato all’olocausto e all’apartheid. Chi l’avrebbe mai detto, anche lei è una rossa.

Anthea con parte della sua "collezione"

VICE: Ehi Anthea, ci dici qualcosa di te?
Anthea Pokroy: Sono nata a Johannesburg e ho studiato arte all’Università di Witwatersrand. Come artista, lavoro principalmente con la fotografia e i video, ma faccio anche installazioni e performance.

Fantastico. Come hai iniziato a fotografare persone con i capelli rossi?
Come artista e fotografa, sono sempre stata catturata dalla bellezza e dal romanticismo dei toni dei capelli rossi. Essendo io una rossa, forse si è trattato anche di un po’ di vanità, e avevo bisogno di esplorare la mia identità. Dopo il primo servizio fotografico con sette rossi, ho iniziato a notare un certo innato senso di comunità e di esperienza collettiva tra i “diversi” dai capelli rossi.

Che tipo di domande ti ha sollevato questo progetto?
Cosa definisce un gruppo di persone, una razza, una nazione, una comunità? È la genetica, è un’esperienza condivisa, sono le caratteristiche fisiche, sono i pregiudizi simili che devono affrontare? Ho iniziato a fare ricerche in diversi sistemi di classificazione, di inclusione ed esclusione. Ovvi esempi sono i sistemi usati nell’apartheid in Sudafrica e nell’olocausto, l'eugenetica e il desiderio e la ricerca di una purezza razziale, mischiata al desiderio di mantenere quella che loro pensavano fosse una razza superiore “incontaminata”.

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Quindi i capelli rossi di per sé sono un fatto irrilevante.
Mi sembra quasi che il colore rosso sia un simbolo per qualsiasi altra cosa, una distinzione fra le persone: potrebbe essere il bianco, il nero, l’essere ebreo. Dovrebbe essere tutto incentrato sulle cose che possono cambiare tra le varie persone, le cose che distinguono e classificano una persona, le cose che rendono le persone diverse o uguali.

Giusto. Quindi avresti potuto scegliere, che ne so, le lentiggini.
I rossi sono i soggetti con cui ho scelto di lavorare perché sono una di loro, e sento di poter parlare del mio “gruppo”. Non cerco di parlare per altri. Quando prendo questo gruppo di rossi, essenzialmente prendo un gruppo di persone geneticamente simili, e gioco con l’idea di come sarebbe il mondo se fosse dominato da una “razza” di un unico colore. Inizio a immaginare e costruire la narrativa di un’utopia rossa.

Cosa mi dici del Ginger Manifesto sul tuo blog? Vuoi davvero lottare per un’utopia dei rossi di capelli per dare vita a una razza superiore?
Il Manifesto è un testo satirico che cerca di rifarsi ai sistemi di oppressione del passato volti a creare un’“utopia” dominata da una singola razza. Dovrebbe capirsi che il testo è venato di humor, ma allo stesso tempo dovrebbe far sentire le persone drammaticamente insicure e a disagio.

Dove hai trovato i tuoi rossi?
I primi 100 soggetti li ho trovati perseguitando letteralmente le persone nei bar, nelle discoteche, nei negozi, nelle sale d’aspetto dei medici e per strada. Poi la voce si è sparsa—le persone hanno iniziato a unirsi alla mia ricerca e a “collezionare” rossi per me. La gente ha iniziato a contattarmi per diventare parte di questa collezione d’élite che avevo creato. Ho una lista di attesa di più di 500 persone dal Sudafrica e dal resto del mondo. Ho ingrandito il mio network, facendolo diventare globale, attraverso alla partecipazione al Redhead Day dello scorso settembre nei Paesi Bassi, dove ho fotografato rossi provenienti da tutte le nazioni del mondo.

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Come pensi che l’essere una rossa abbia modificato il tuo modo di relazionarti ai pregiudizi?
Il pregiudizio che ho sperimentato io è stato nulla in confronto alle storie raccontate dalle persone che ho fotografato. Io sono stata chiamata con i classici nomignoli, tipo “pel di carota”. Mi sono sempre sentita brutta per via del colore di capelli e della carnagione diafana—il canone di bellezza classico in Occidente è una pelle abbronzata con capelli biondi o bruni. La maggioranza delle persone che ho intervistato sono state perseguitate e sbeffeggiate. Molti a un certo punto della loro vita hanno cambiato il colore dei capelli per nascondere la loro identità di rossi.

Perché così tanta cattiveria nei nostri confronti?
Credo che il fatto di creare differenze e la paura per l’“altro” siano parte della natura umana. Siamo passati attraverso una storia davvero drammatica fatta di razzismo, omofobia, antisemitismo e tutti quegli “ismi” sono il nuovo tabù—non se ne parla né si è a proprio agio quando capita di discuterne. Potrebbero essere considerati i reati d’odio di oggi.

Quindi stiamo solo sprofondando sempre di più in questo barile d’odio reciproco.
Abbiamo discriminato sulla base del colore della pelle, della religione, della cultura e delle preferenze sessuali. Cos’è rimasto? Il colore dei capelli. I rossi sono gli unici nella storia del mondo che sono stati discriminati sulla base del colore dei loro capelli. È l’ultima forma accettabile di pregiudizio. Tuttavia il colore dei capelli, come quello della pelle, è una manifestazione genetica basata su dei pigmenti. Sembrano entrambe elementi ridicoli per emarginare—o per creare sia una superiorità che un’inferiorità.

Ti preoccupa la possibilità di un genocidio dei rossi?
Non sto dicendo che i pregiudizi che i rossi affrontano siano paragonabili a quelle storie che sono sfociate in ingiustizie legislative, apartheid o addirittura nel genocidio. Però, i capelli e il colore “rosso” diventano il simbolo per affrontare questi concetti.

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