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La fine dei campi rom in Italia potrebbe essere vicina

Per la prima volta in Italia, una sentenza storica del Tribunale di Roma ha sancito che i campi nomadi sono discriminatori e illegittimi. Abbiamo parlato dell'importanza di questo giudizio, e della possibile fine della segregazione dei rom, con l...
Leonardo Bianchi
Rome, IT

Il campo rom "La Barbuta" a Roma. Immagine tratta dal nostro documentario

Romanì di Roma di VICE on SkyTG24.

A parole, più o meno tutti concordano sulla necessità di superare la logica dei campi rom. Lo scorso febbraio l'assessore alle politiche sociali del Comune di Roma, Francesca Danese, ha annunciato l'intenzione di chiudere i campi entro tre anni e dare ai suoi abitanti una sistemazione dignitosa. Matteo Salvini, invece, passa il suo tempo a invocare le famigerate "ruspe," arrivando a dire che "la ruspa è un simbolo di equità sociale," perché comporterebbe "diritti e doveri uguali per tutti."

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I campi rom invece sono l'esatto opposto dell'equità sociale: completamente isolati dal contesto urbano in cui si trovano, questi ghetti fatiscenti a cielo aperto sono l'effetto più perverso di quello che l'Associazione 21 Luglio definisce il "sistema dell'accoglienza per soli rom"—un sistema parallelo che "continua a muovere denaro dal pubblico al privato senza che nulla cambi per il benessere della città e dei suoi cittadini, rom e non."

A questo proposito, basta pensare che—come emerge dal rapporto

Campi Nomadi S.p.a.

presentato nel luglio 2014—i campi a Roma possono arrivare a costare decine di milioni di euro all'anno. L'inchiesta Mafia Capitale, inoltre, ha portato alla luce gli

interessi criminali

che stanno dietro alla gestione dei campi.

Un'intercettazione dell'inchiesta Mafia Capitale in cui Salvatore Buzzi afferma che Massimo Carminati "avrà guadagnato 300.000 euro" per un investimento su un campo nomadi.

All'orizzonte, tuttavia, potrebbe esserci una svolta storica. Il 30 maggio 2015, la seconda sezione del Tribunale Civile di Roma ha sancito il "carattere discriminatorio" del campo nomadi "La Barbuta"—uno dei più grandi "villaggi della solidarietà" (questa è la grottesca definizione ufficiale) della Capitale inaugurato nel luglio del 2012—ordinando contestualmente al Comune di Roma la "cessazione della suddetta condotta nel suo complesso […] e la rimozione dei relativi effetti."

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Per la prima volta in assoluto, dunque, la giustizia italiana ha stabilito che è illegale ammassare in un campo centinaia di persone semplicemente in base all'etnia. La notizia è stata data nel corso di una conferenza stampa in Senato che si è tenuta ieri, in cui erano presenti il senatore del PD Luigi Manconi e i rappresentanti di ASGI (Associazione per gli studi giuridici sull'immigrazione) e Associazione 21 Luglio. Sono proprio quest'ultime due, sostenute da Amnesty International e dal Centro Europeo per i Diritti dei Rom ( ERRC), ad aver promosso nel 2012 l'azione legale contro l'amministrazione capitolina.

Per farmi spiegare in dettaglio la sentenza, e ragionare sui suoi possibili effetti, ho chiamato Salvatore Fachile dell'ASGI. Il punto centrale della sentenza, inizia l'avvocato, è "il superamento dell'idea di raccogliere su basa etnica le persone e confinarle in un luogo dove stanno persone che appartengono allo stesso gruppo etnico."

Dalla manifestazione nazionale di rom e sinti a Bologna, il 16 maggio 2015. Foto di Fabrizio Di Nucci.

Il ricorso presentato nel 2012, spiega Fachile, è stato fatto in primo luogo perché in quel momento, tra tutti i campi nomadi presenti a Roma, la Barbuta era quello che stava per essere portato a termine. L'idea era sia di "riuscire a bloccare il completamento e avere un'efficacia di natura preventiva," che "passare da una condivisa condanna morale" verso i campi a "un'effettiva condanna giudiziaria che potesse avere degli effetti pratici."

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La Barbuta, di cui abbiamo già parlato su VICE, non è tuttavia il caso più eclatante o estremo. Situato nell'estrema periferia sud-orientale di Roma e costato quasi 10 milioni di euro, il campo "ospita" circa 600 persone di diverse nazionalità ed è il prodotto dello sgombero forzato di vari campi "tollerati," che nel gergo del Piano Nomadi della giunta Alemanno significava "da abbattere."

Sin da subito erano state evidenziate moltissime criticità, tra cui—si legge in Campi Nomadi S.p.a.—la lontananza da qualsiasi tipo di servizio, condizioni igienico-sanitarie a dir poco precarie e la "convivenza forzata tra famiglie eterogenee tra loro e in una condizione di particolare fragilità sociale," che ha replicato logiche segregazioniste anche all'interno dello stesso campo.

"Non è un campo particolarmente 'malvagio'," dice Fachile, "nel senso che è 'malvagio' esattamente come gli altri campi." Il problema, infatti, è molto più generale. "Speriamo che questa sentenza riesca ad avere un effetto politico, e che rappresenti il punto di non ritorno per spingere la pubblica amministrazione a superare tutti i campi, non solo la Barbuta," spiega Fachile.

Dal rapporto

Campi Nomadi S.p.a., i più grandi "villaggi della solidarietà" (cioè campi nomadi) a Roma. Il campo della Cesarina è stato chiuso nel dicembre 2013.

A questo punto il Comune di Roma si trova di fronte a un bivio: o blocca l'esecuzione della sentenza presentando appello, oppure—prosegue l'avvocato—si decide a "trovare a queste persone un'abitazione non discriminatoria," e quindi a "risolvere il problema che è stato dichiarato dal tribunale."

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Il che, naturalmente, non significa mandare le ruspe a spianare qualsiasi cosa si trovino davanti—anche perché, l'abbiamo visto nel caso del violento sgombero di Ponte Mammolo, gli effetti sono assolutamente deleteri.

Come ha segnalato il rapporto dell'indagine sulla condizione di Rom, Sinti e Caminanti in Italia condotta nel 2011 dalla Commissione diritti umani del Senato, esiste un "ampio spettro di opzioni abitative alternative ai campi nomadi"—opzioni, tra l'altro, già sperimentate positivamente in diversi comuni italiani. Nella sentenza del Tribunale di Roma, ad esempio, se ne menzionano alcune: "edilizia sociale in abitazioni ordinarie pubbliche"; "sostegno all'acquisto di abitazioni ordinarie private"; "sostegno all'affitto"; e così via.

Questo approccio, sottolinea Fachile, non è solo più rispettoso dei diritti umani, ma anche "economicamente più vantaggioso." Da un punto di vista squisitamente amministrativo, prosegue l'avvocato, "si potrebbe dire che il campo rom è un'idiozia: produce effetti negativi anzitutto sui destinatari, poi su tutti gli altri, genera divisione sociale e costa tantissimi soldi. Ci sono soluzioni molto più economiche che riescono a creare un tessuto sociale condiviso." E che, aggiungo, minimizzano il rischio di infiltrazione mafiose.

Il costo dei "villaggi della solidarietà" a Roma nel 2013. Dal rapporto "Campi Nomadi S.p.a."

Sebbene il pronunciamento del giudice di Roma sia indubbiamente importante, non è automatico che questo tolga argomenti e capitale politico a chi promuove manifestazioni contro i rom o chi vuole radere al suolo i "maledetti campi rom" senza pensare troppo alle conseguenze. Anche arrivare magicamente a un dibattito più maturo sembra piuttosto difficile.

"La possibilità di un dialogo intelligente esiste," dice Fachile. "Certo, la questione è che bisogna abbandondare, da parte di tutti, questo approccio semplicistico che non porta a nulla, salvo alla spettacolarizzazione." Il problema principale, conclude l'avvocato, è che allo stato attuale delle cose "cercare di contrastare logicamente una discussione surreale" non porterà a nessun effetto a breve termine.

E per accorgesene, purtroppo, basta pensare al livello delle proposte delle forze politiche, tra cui in questi giorni spicca l'ipotesi di Matteo Salvini di "affittare un'isola" in cui mettere rom e immigrati.

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