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Cosa ho imparato leggendo 'Selfie', il primo mensile italiano dedicato ai selfie

'Selfie' la prima rivista mensile che insegna a farsi i selfie nel modo migliore: l'ho letta per imparare le tecniche segrete del selfie perfetto ma invece sono arrivata a capire molte cose sul degrado dell'umanità e sulla crisi dell'editoria italiana.

L'autrice intenta a farsi un selfie.

Vi ricorderete di tutta la storiaccia di Umberto Eco che se la prende con Internet e la connessa legione d'imbecilli. Me ne ricordo bene anch'io, dato che, ai tempi, mi sono spremuta le meningi per ragionare sul motivo per cui il plurilaureato provasse tanta acredine e soprattutto perché ritenesse degni gli imbecilli di percepire la sua acredine.

Da parte mia, credo nel salubre principio di conservazione, che mi porta, quando ragiono e quando poi mi esprimo, a stare in guardia che le mie azioni e i miei pensieri siano sempre bilanciati verso il "fatti i cazzi tuoi e non rompere i coglioni", a meno che l'argomento in questione non meriti davvero uno sforzo, cosa che escludo per la legione d'imbecilli sopracitata. Ed è per questo che, al contrario del pentolone Eco, preferisco schermarmi di atarassia e fingere che i problemi da nulla (leggi: Internet) non esistano.

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Certo che però, dall'altro lato, Internet ce la mette tutta a farmi salire i démoni dell'angheria e a rovinare buona parte del lavoro che costantemente, da circa un anno, io e la mia ayurveda compiamo per riportare la mia Anima alla stabilità di un tempo. Tanto che mi vedo costretta a fuggire in vacanza e far in modo di sabotare tutta la tecnologia attorno a me e tentare di rimuovere, anche dai miei più pallidi e sgualciti ricordi, status che, inevitabilmente, dopo un numero di caratteri che va da 4 a 500, arrivano alla dolorosa locuzione "…E i Marò?" / citazioni di Vasco Rossi o Jovanotti (che prevalentemente arrivano dalla pagina Facebook di mia sorella, dandomi ogni volta da pensare sulla natura beffarda delle leggi genetiche) / foto di cani, gatti, scarpe, tramonti, cibo, concerti sfocati di musicisti che aborro, tutte cose che probabilmente sono utili al mio benessere quanto infilarmi entrambi gli indici nei bulbi oculari dopo averli intinti nel tabasco (potrei andare oltre ma ripeto ho investito anche dei soldi nella medicina ayurvedica e fomentarmi non aiuta).

Senza connessione Wi-Fi, senza telefono, senza acqua corrente (quasi, davvero), creavo attorno a me un setting ideale per un lavaggio del cervello dai mali di Internet e Social Network, e felice andavo all'edicola per procurarmi alcuni fondamenti della bildung estiva tipo Topolino e La Settimana Enigmistica quando sotto gli occhi mi capita questo.

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Non è mia abitudine recriminare le cose, ma da te, carta stampata, non mi sarei mai aspettata un tradimento del genere. A quanto pare qualche genio è riuscito a pensare di voler estendere il potere della nullità da social network fino allo smacco finale, alla fatality: facciamoci una rivista. Un minuto di silenzio per tutte le riviste che hanno chiuso perché i lettori migravano sui propri smartphone tra un selfie e l'altro.
Se temete che questa sia un'avvisaglia di una specie di alfabetismo di ritorno alla carta stampata, però, vi sbagliate: Selfie è orrenda, non c'è pericolo.

Il periodico, al contrario di quanto ci si aspetti, non parla solo di Selfie, estende la sua egida anche all'intero mondo della fotografia, con sezioni dedicate a trucchi anche non stupidi, tipo come non fare le foto controluce (non è semplicissimo, prima bisogna individuare la fonte della luce e POI tentare di non mettersi in direzione opposta, richiede una certa manualità, oltre che senso dell'orientamento) ed evitare di far foto in mezzo a una coltre di foschia (i risultati potrebbero essere poco nitidi!) o la cara vecchia sezione aurea, per cui il punctum della vostra foto, per dirla con Barthes (peraltro mai citato nella rivista, occhio che se lo sa Eco…), starà a circa 3/4 del quadro. Utile.

Queste variazioni sul tema un po' mi deliziano (un'intera rivista solo sul selfie sarebbe stata troppo anche per il selfomane più interessato, forse creando in lui una spirale di ego da cui non sarebbe mai uscito) un po' mi deludono, essendo Selfie un trimestrale e non di un settimanale come Il Mio Papa, che pur essendo altamente specializzato riesce a cavarsela ogni volta con nuove avvincenti storie, Dio solo sa come.

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La prima pagina di Selfie recita così: In fotografia la tecnologia fa passi da gigante. Le fotocamere, soprattutto quelle integrate all'interno di smartphone e dispositivi mobili, hanno sempre più funzioni e sono sempre più intelligenti. Ai giorni nostri è difficile sbagliare tecnicamente una foto, ma è comunque possibile che sia banale o uguale a tante altre viste e riviste sul nostro social media di riferimento. Condividere fotografie non è una moda, è più uno stato dell'anima, e se lo facciamo è perché vogliamo che una nostra immagine sia più visibile, più bella e più apprezzata tra tante altre che affollano il web. Perché ciò accada non serve che un pizzico di tecnica e quello che i maestri e i pionieri della fotografia hanno sempre chiamato "occhio fotografico". Spesso, per trasformare una foto da banale a opera d'arte basta poco: un'inquadratura leggermente diversa, fotografare abbassandosi di poco, elaborare uno scatto con un filtro (una procedura di pochissimi secondi che può davvero fare la differenza). Abbiamo scritto queste pagine con l'intento di dare a tutti, anche a chi non ha mai fotografato prima, gli strumenti necessari per catturare con lo smartphone selfie e immagini capaci di guadagnare cascate di consensi, approvazione e "Like". L'intento è di creare foto più belle di quelle dei nostri amici e della nostra comunità di riferimento, un'impresa alla portata di chiunque voglia farsi notare dalla massa.

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Respiro, tentando di non pensare insistentemente a quanto ho appena mangiato e alla sua imminente espulsione dopo aver letto che "condividere fotografie non è una moda, è più uno stato dell'anima". La nostra anima è portata ad essere riconosciuta tramite il volto, che se diamo ascolto a Lombroso in effetti ha un senso, e il nostro volto vuole assolutamente essere protagonista del feed dei social network dei nostri amici, anzi, ambirebbe ad essere l'unico protagonista o quantomeno l'attore principale, almeno secondo le parole del direttore di Selfie, per cui lo scopo di un selfie è competere con i nostri amici per farci notare dalla massa perché, sostanzialmente, siamo più belli. La vera realtà non dichiarata dagli autori della rivista è che un selfie orrendo di Emily Ratajkowski otterrà più consensi (leggi: like e commenti che suonano come una copia contraffatta di un testo di In The Panchine) rispetto a un selfie bellissimo, fatto con tutti i crismi, da una persona bruttina.

Ma sospendo ancora un attimo l'incredulità e cerco di indagare sui consigli pratici della rivista per farsi un selfie:

NON È UN'ISTANTANEA
Selfie ci tiene a specificare che un selfie non richiede "pose spontanee o naturali", e che quindi è necessario mettersi in posa, ma attenzione, "può diventare complicato assumere una bella posa che non ci renda sciocchi o antipatici"

PARLA DI NOI
Secondo Selfie, un selfie è l'equivalente social del nostro CV in campo lavorativo. "Quello scatto sarà giudicato in ogni suo più piccolo particolare e spesso anche in maniera molto severa".

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Selfie ci tiene poi a specificare che è tendenzialmente meglio fotografarsi dall'alto perché "in questo modo il naso appare più piccolo e il volto ha un'aria più sexy e interessante" e di evitare boccucce (altrimenti dette duckface e, lo imparo solo ora, "chissà face") che trasformano il nostro volto "in una sorta di caricatura di se stesso" e di fare particolare attenzione allo sfondo, per evitare lo spiacevole fenomeno del photobombing.

Nella pagina successiva, si passa di livello e si ottiene un'arma: il selfie-stick, e apprendo con mio sommo sbigottimento che il selfie di gruppo si chiama GROULFIE.
Chiudo la rivista.

Non so se avete notato che per la maggior parte i consigli sui selfie sono orientati alla percezione estetica che il proprio network può avere di chi si fotografa, e fa intuire che questa percezione estetica sia il traino per una percezione morale, caratteriale, che ci permette di avere il nostro posto a un livello più o meno alto della scala sociale. Quando i guru di Selfie consigliano di far attenzione a non rendersi sciocchi o antipatici, a non mostrarsi esagerati o caricaturali, a riflettere perché quello scatto sarà giudicato, il mio sangue ribolle e credo di aver definitivamente capito la natura maligna di questa rivista, il cui sottotesto è tutto votato alla cultura dell'immagine per cui l'attenzione a ciò che si mostra è superiore qualitativamente alla spontaneità della condivisione: è quel passaggio in più che mi tortura, il momento in cui ti viene richiesto di pensarci su perché potresti esporti al giudizio malevolo degli altri e cadere di un gradino dalla posizione che ti eri guadagnato ottenendo tutti quei consensi su Internet.

Atterrita da questo squarcio sulla voragine morale dell'umanità da condivisione social, ho ripensato alle parole di Umberto Eco sugli stuoli di imbecilli che condividono ogni pensiero imbecille sui loro profili e quella mandria di bestioni da lui descritta mi è sembrata come un sogno di uno Stato di Natura in cui ancora si utilizzava il social network in maniera ingenua rispondendo istintivamente alla spinta di condivisione tipo io in questo status di sei anni fa che non ha ottenuto nemmeno un mi piace.

E certo, è cieco pensare che ci possa essere una qualsiasi spontaneità ora che siamo tutti perfettamente consapevoli dei potenziali effetti della nostra esposizione su un social network, ma devo dire che stavo meglio quando queste leggi di artificio erano ancora tutte sottintese e non scritte su una rivista trimestrale.

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