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Musica

I MoE non hanno paura di provare dolore

Ascolta il nuovo disco della band noise rock norvegese che uscirà questa settimana per Wallace Records e leggi la nostra intervista con la frontwoman Guro.
Giacomo Stefanini
Milan, IT

​Foto per gentile concessione della band.​

Il genere noise rock ha ormai da tempo superato il momento di freschezza riservato alle musiche appena nate, che si lasciano contaminare e mescolare a destra e a manca. I canoni di quello che oggi chiamiamo noise rock si sono ormai stabiliti verso metà anni novanta, quando è iniziata la seconda generazione di band appoggiate sulle spalle della prima, folle ondata uscita da etichette come Amphetamine Reptile, Touch & Go, SST, Blast First, Load, eccetera. Ciononostante è tuttora possibile vestirsi dell'etichetta noise rock e suonare musica interessante, che stupisce e che mette in difficoltà l'ascoltatore. È quello che fanno i MoE​, terzetto di Oslo che venerdì pubblicherà un nuovo album per l'etichetta italiana Wallace Records, intitolato ​Examination of the Eye of a Horse.

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​MoE è solo l'ennesimo dei progetti di Guro Moe, artista norvegese proveniente dagli ambienti più free e sperimentali, che qui imbraccia un basso da tre tonnellate e usa per la prima volta la voce per sputare fuori testi oscuri, inquietanti e violenti con un'attitudine alla Lydia Lunch meets ​L'Esorcista​, aiutata dalla batteria minimale ma pesantissima di Heibø Johansen e da Håvard Skaset alla chitarra e synth. ​Examination of the Eye of a Horse​ è un disco di noise rock potente e vitale, in cui si riconoscono le influenze di Jesus Lizard e Swans, ma anche l'atmosfera da jazz club infestato degli Oxbow, con escursioni occasionali in territori hardcore.

Ho contattato Guro per fare due chiacchiere sul significato di ​Examination of the Eye of a Horse​, sul suo amore per il Giappone, il Messico e l'Italia, e sui suoi mille progetti dal free noise alla poesia. ​

Ascolta l'album qua sotto e pre-ordinalo dal sito di Wallace Records​, poi leggi la nostra intervista con Guro Moe.

Noisey: L'album si intitola Examination of the Eye of a Horse, ma in copertina c'è una piovra. 
Guro: L'idea di esaminare un occhio, di sezionarlo, simboleggia il voler arrivare al nucleo e vedere la merda che ci circonda. Non aver paura di provare dolore, di buttarsi dentro qualcosa senza sapere che cosa ne risulterà. Esaminare significa arrivare al punto più profondo e guardare e sentire tutto quello che c'è.

La piovra è arrivata dal bravissimo Lasse Marhaug che ha disegnato la copertina e sarà un tema che riutilizzeremo in una prossima uscita prevista per l'anno prossimo.

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Sembra che le canzoni dell'album abbiano un vago tema comune che si collega a immagini di violenza, guerra. 
Con questo disco ho voluto riflettere la società in uno specchio, cercare di vedere le cose non dal mio punto di vista, ma riflettere quello che ci circonda. È impossibile non essere politici. Forse è un paradosso, ma io credo più nelle azioni che nelle parole. Posso far parlare la mia musica. È un disco che tratta della nostra società, senza volerla difendere o spiegare, ma solo volendola mostrare all'ascoltatore in tutta la sua crudeltà e il suo orrore, tramite la musica. Credo che i media giochino un ruolo importante sulla nostra percezione della realtà, per chiunque diventa difficile valutare le cose secondo la propria prospettiva. Dato che queste riflessioni hanno occupato gran parte del mio tempo, il disco è venuto fuori così. Le canzoni sono tutte più o meno collegate, e per di più il nostro materiale cresce durante il tour: capita che scriva una canzone che ha un certo significato, ma suonandola in giro capita che questo cambi, è una cosa che mi fa molto piacere e che cerco molto. Spero possa capitare lo stesso a chi ascolterà il disco, che cambi e si evolva insieme a noi.

Questo disco è stato presentato come un "tributo geografico" al Giappone. Da dove viene questa scelta? 
Il nostro primo tour in Giappone è stato solo di quattro date, ma quando siamo tornati per la seconda volta la risposta del pubblico è stata incredibile. In nessun altro posto abbiamo avuto una sensazione così, un pubblico che ci capisse così bene, cresciuto insieme a noi. Ed è strano perché non abbiamo assolutamente investito in promozione o cose del genere. Anche l'esperienza del Messico è stata davvero potente, abbiamo avuto un contatto davvero profondo con le persone, parlandoci e conoscendole… ci portavano addirittura dei regali! Queste cose sono molto più importanti di quanto può sembrare per la crescita di una band, tanto che abbiamo deciso di omaggiare il Giappone scrivendo tutto in lingua giapponese sul retro del disco.

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Foto via Facebook.

Quindi avete trovato una specie di connessione speciale con questi luoghi, pur essendo molto distanti dalla Norvegia. 
Sì, non so dirti bene perché. La stessa cosa è successa quest'anno in Australia, dove siamo stati per la prima volta. Ci confrontiamo molto meglio con la gente di questi posti lontani rispetto al pubblico della Norvegia o del Nord Europa. Non ho alcun pregiudizio rispetto a come la gente debba rispondere alla nostra musica, naturalmente; forse è solo che le persone del Nord sono meno espressive, anche quando apprezzano qualcosa.

Come è iniziata la collaborazione con Wallace Records?
Tutto è iniziato dai Gerda​, una band che seguiamo da molto tempo. Credo di aver conosciuto Alessio [bassista dei Gerda, N.d.A.] nel 2009, mentre ero in tour con un'altra band con cui facevamo musica improvvisata, poi l'ho rivisto l'anno dopo e gli ho regalato il nostro primo 7". Lui si è offerto di farci da tour manager, così quando nel 2013 siamo tornati in Italia con i MoE insieme agli Observatory di Singapore lo abbiamo contattato. Da quel momento siamo diventati amici e siamo stati in tour coi Gerda per tre volte. Siamo abituati a pubblicare tutto per Conrad Sound, la nostra etichetta, ma visto che Wallace pubblica i dischi dei Gerda ci è sembrata una bella idea, è come stare in famiglia e ci dà la possibilità di essere più presenti al di fuori della Norvegia. È stato un processo naturale.

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A proposito di improvvisazione, so che tu hai vari progetti musicali che vanno dal free jazz al noise. Che relazione c'è tra il lato più artistico e free form e il progetto dei MoE, più diretto e brutale?
I MoE sono nati nel 2008 da un bisogno di rilasciare la tensione, dopo anni di musica noise improvvisata—sentivo la necessità di un nuovo sfogo, di una cosa nuova su cui concentrarmi. Inoltre avevo appena scoperto la no wave, che mi ha ispirata a muovermi verso questo tipo di musica. Vedo la musica noise come vari strati di suono tra cui l'ascoltatore deve districarsi concentrandosi su uno piuttosto che sull'altro. Con i MoE abbiamo mantenuto l'energia, la spontaneità e la brutalità del noise, ma in più c'è questa componente strutturata che richiede un lavoro più profondo per creare delle canzoni. È un formato nuovo per me. Un'altra parte importante è che volevo cantare, visto che scrivo da sempre.

Quanto spazio c'è per l'improvvisazione in un live dei MoE?
Seguiamo una struttura piuttosto precisa, ma spesso il pubblico crede che stiamo improvvisando! [Ride] Proviamo veramente tantissimo, perché è difficile mantenere quel livello di intensità. A volte le cose cambiano spontaneamente, ad esempio io tendo a rompere le corde piuttosto spesso, e questo porta all'improvvisazione. È bello che i pezzi si evolvano nel contesto live.

Abbiamo parlato dei tuoi progetti solisti e collaborativi, oltre che dei MoE, e inoltre tu gestisci anche un'etichetta, Conrad Sound. Che cosa ti spinge a intraprendere così tanti lavori? Che rapporto c'è tra di loro?
È una vera necessità, sono i vari sfoghi che trovo per la mia creatività. Ho anche recentemente pubblicato autonomamente un libro di poesie e illustrazioni, sto collaborando con un teatro per musicare un balletto, a volte sonorizzo film muti… sono tutte cose che procedono in parallelo e che si nutrono a vicenda, ed è necessità. Lavorare in modo indipendente per me è utile a mantenere la diversità, far sì che i vari progetti si influenzino a vicenda e si aiutino a crescere—come un orto sinergico, senza fertilizzanti artificiali per la crescita, un metodo più lento ma più forte. Fare tutto da soli per me è anche un modo per seguire e onorare l'insegnamento di musicisti come Ian MacKaye, valorizzare la varietà e l'espressione personale nella sua forma più libera.

Il suono del vostro album mi ha ricordato a tratti gli Oxbow, anche loro coinvolti in vari progetti tra jazz e colonne sonore, e la menzione del tuo libro di poesia mi ha fatto pensare ai Pere Ubu, che non molto tempo fa hanno pubblicato un album con in allegato un libro di prosa. Hai mai pensato a fare un'uscita in mixed media?
Naturalmente. Credo che per quanto sia possibile la contaminazione sia sempre un bene, e amo molto gli oggetti fisici, che danno un'altra dimensione alla musica, un altro input oltre a quello auditivo. Il capitale musicale e artistico è la parte più preziosa della nostra società.

​Giacomo è su Twitter @generic_giacomo​.​

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