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Un'antropologa ci ha spiegato perché non vogliamo uscire con le persone vergini

Helen Fisher è un'antropologa e ricercatrice che da decenni si occupa di come il cervello umano gestisce l'amore. Abbiamo parlato con lei di dipendenza dalle persone, dell'evoluzione della figura femminile e di abbandono.

Foto di Simone Becchetti via Stocksy

Ho incontrato l'antropologa Helen Fisher al momento giusto: avevo 23 anni ed ero appena stata lasciata.

Anzi, non semplicemente lasciata, ma abbandonata senza alcun preavviso dal mio "primo amore". Provavo quel tipo di dolore intenso che si vive solo quando si è giovani, testardi e senza esperienza. Nel tentativo di non andare in overdose da canzoni depresse mi sono dedicata alle ricerche scientifiche sul "cervello innamorato" della dottoressa Fisher. Mi serviva un po' di razionalità da contrapporre alle mie emozioni. Ero stanca di ubriacarmi tutte le sere e pensavo che leggere sarebbe stato più utile: in effetti, Fisher mi ha riportata alla realtà.

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La dr.ssa Fisher insegna al dipartimento di antropologia della Rutgers University, nel New Jersey, ed è famosa per le sue ricerche sul cervello umano e sugli schemi culturali che stanno dietro all'amore romantico, alla scelta del compagno, al matrimonio, al divorzio e all'adulterio, oltre che sulle differenze neuronali tra uomini e donne. Ha pubblicato cinque libri (il sesto è atteso per il 2016) e sostiene che l'amore sia un fenomeno universale i cui meccanismi si sono evoluti insieme all'uomo. Ancora oggi, superati i 60 anni, continua a studiare l'amore.

Foto di Asa Mathat (via Flickr, utente PopTech)

All'inizio, Fisher si è fatta un nome analizzando con una risonanza magnetica funzionale (fMRI) il cervello e le parti coinvolte nella sfera emotiva di 49 persone. Lei e i suoi colleghi arrivarono così alla conclusione che l'amore è un bisogno fisiologico, come la fame e la sete, che agisce anzitutto a livello inconscio. Paragonò l'amore alla cocaina: diventiamo dipendenti da una persona e ci comportiamo in modo illogico, fino a correre dei rischi per averne ancora. Poi ha cominciato a studiare come funziona, oggi, la ricerca di un partner. Utilizza i dati del sito di incontri match.com e i dati ottenuti attraverso le sue ricerche sui single e le coppie americani per studiare come la biologia, l'evoluzione e il sistema neurologico siano coinvolti nella scelta del partner, insieme al genere e al potere economico. Ha soprannominato la teoria su cui sta lavorando al momento "fast sex/slow love".

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"Ho molte ragioni per essere ottimista", mi dice al telefono. "Stiamo passando da un modello sedentario-agricolo—che ha contraddistinto gli ultimi 10.000 anni di storia—a un modello molto più simile a quello dei cacciatori-raccoglitori."

Significa che l'uguaglianza sul lavoro tra uomini e donne sta davvero cambiando il modo di vedere le relazioni. All'epoca dei cacciatori-raccoglitori le donne portavano a casa dal 60 all'80 percento del cibo ed erano economicamente e sessualmente sullo stesso piano degli uomini. Abbandonavano un partner non soddisfacente a proprio piacimento perché—a differenza che nell'era agricola e in quella industriale—nessuna donna viveva intrappolata in casa, o in un rapporto.

"L'idea che le donne debbano stare in casa è praticamente scomparsa, e ne sono molto felice," racconta Fisher. "Vedo un futuro roseo."

"Oggi, l'idea del divorzio ci terrorizza," continua. "Uno studio recente ha scoperto che il 67 percento delle coppie che convivono ha paura di sposarsi, perché le persone sono preoccupate dalle conseguenze economiche, sociali, psicologiche e personali di un possibile divorzio. Credo che ci sia un motivo per cui ci sposiamo tardi. Ci sono un sacco di segnali—dalla cultura del rimorchio ai 'friends with benefit' alla convivenza prematrimoniale—che fanno capire che vogliamo conoscere a fondo una persona prima di legarci." Fisher sostiene che la promiscuità, che può sembrare frivola, è invece sintomo di estrema prudenza. "Ci prendiamo un lungo periodo per sperimentare, per capire se una cosa è giusta per noi: passiamo tempo insieme, abbiamo rapporti sessuali e ci conosciamo a fondo. Perciò, al momento di sposarci dovremmo essere certi che quella è la persona giusta."

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Fisher mi ha anche detto che per noi la verginità non è più un valore forte. "Più del 30 percento degli intervistati mi ha detto che non uscirebbero con una persona vergine", dice. Questa cifra è frutto di una revisione dell'analisi dei dati raccolti nel 2013 grazie a match.com, secondo i quali addirittura il 42 percento delle persone, soprattutto donne, non uscirebbe con un vergine. "La maggior parte delle persone ci vede un ostacolo all'intimità. Abbiamo bisogno di tempo ed esperienza per inquadrare un'altra persona dal punto di vista sessuale e per sviluppare un'intesa da quel punto di vista, prima di impegnarci in una relazione."

Nonostante si sia dedicata soprattutto a sfatare i miti sulle donne innamorate (per esempio nel suo primo libro Donne: Il primo sesso), è convinta che sia necessaria un'analisi simile anche sugli uomini. Negli ultimi 50 anni il comportamento relazionale delle donne è stato argomento di numerosi studi, ma sugli uomini continuano a circolare gli stessi stereotipi: che hanno paura di legarsi troppo, sono infedeli, insensibili e pensano solo al sesso.

"Ma ho raccolto dati che provano che non è vero," mi dice ridendo. "Ho chiesto a 25.000 uomini americani, e ho scoperto che si innamorano più spesso delle donne. Si innamorano più in fretta; e quando incontrando una donna che gli piace vogliono presentarla subito agli amici e alla famiglia, e vogliono andare a vivere insieme immediatamente." E vale sia per gli uomini omosessuali che per gli uomini eterosessuali.

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Le chiedo se gli orientamenti sessuali influiscono sul comportamento relazionale. "I ricercatori hanno sottoposto alcuni membri della comunità LGBT alla stessa risonanza magnetica e hanno scoperto che non cambia assolutamente niente, a livello cerebrale." Fisher mi ha anche detto di aver cominciato a condurre uno studio sulle persone transessuali che prendono ormoni, per capire come il testosterone e gli estrogeni condizionino i percorsi cerebrali. Gli uomini in transizione che assumono estrogeni vedono i colori più vividi e sono più emotivi, mentre le donne che prendono il testosterone "hanno una visione più nitida" e sono "più disilluse e assertive nella vita di tutti i giorni."

Ma nonostante l'ottimismo, c'è una cosa che preoccupa Fisher: i farmaci. E nello specifico, gli antidepressivi non triciclici.

"Solo negli Stati Uniti, più di 100 milioni di persone prendono antidepressivi," dice. "Se alteri il livello di serotonina alteri anche la produzione di dopamina, che è connessa all'amore. Ricevo e-mail da persone che mi dicono, 'Mia sorella prende il Prozac da 20 anni e non ha mai avuto un fidanzato.' Non mi sorprende. Sappiamo che queste sostanze danneggiano la sfera sentimentale e sessuale.

Venerdì scorso il documentario Sleepless in New York di Christian Frei è stato nominato agli Oscar. Al cuore della pellicola ci sono le teorie di Fisher sull'amore e sull'abbandono, e le storie di tre persone che fanno i conti con una relazione appena terminata.

"Non ho mai visto un film che catturi così bene il dolore e che mostri così chiaramente com'è sentirsi rifiutati e perdere qualcuno," dice Fisher. "Per me, è la cosa più interessante. La felicità non è così fondamentale—certo, è fantastica. Ma quando vengono lasciate, le persone diventano ossessionate, o clinicamente depresse, uccidono qualcuno, si uccidono…o perdono la ragione."