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Tecnologia

L'assurda storia del brevetto di un test per la sclerosi multipla italiano

MS PepKit è un rivoluzionario test per la sclerosi multipla ideato da un gruppo di ricercatori e professori dell'Università di Firenze e il suo brevetto ha passato quasi 10 anni a girare per i tribunali.
Immagine: Shutterstock

Nel 2004 un gruppo di quattro professori e ricercatori italiani, Anna Maria Papini, Paolo Rovero, Mario Chelli e Francesco Lolli, compie una scoperta brillante in grado di contribuire in modo determinante alla lotta e al monitoraggio della sclerosi multipla.

Il team dell'università di Firenze riesce, infatti, a sintetizzare con successo un glicopeptide chiamato CSF114 in grado di segnalare la presenza di anticorpi che seguono l'evoluzione della malattia. Da questo riescono a produrre e brevettare un test, chiamato MS PepKit, che, con un semplice prelievo del sangue, permette di testare il livello degli anticorpi nei confronti del peptide sintetizzato e quindi ad avere una diagnosi a costi ridotti.

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Il problema è che, stando a quanto deciso dal Tribunale Civile di Milano, l'importante brevetto si basasse sulla scoperta di Eloise Mastrangelo, una studentessa laureatasi alla fine degli anni novanta e oggi ricercatrice al CNR di Milano, che non viene menzionata nemmeno una volta nei lavori presentati dal team di ricercatori.

La dinamica è la seguente: la studentessa si laurea nel 1999, nel corso della tesi, dove la Professoressa Papini faceva da relatrice, le viene chiesto di lavorare sulla sequenza di aminoacidi di un peptide (MOG30-50), affinché dimostri la sua irrilevanza nella diagnosi precoce della sclerosi multipla. La Mastrangelo, tuttavia, scopre esattamente il contrario riuscendo ad individuare un peptide "scramble" utile per la diagnosi. La scoperta viene successivamente impiegata proprio per il test diagnostico brevettato dal team di professori a nome dell'Università di Firenze.

Il brevetto registrato privo del nome della Mastrangelo. via Google Brevetti

La Mastrangelo viene a conoscenza della cosa quasi per caso: la ragazza viene invitata da un amico ad una conferenza di presentazione del progetto, dove la Professoressa Papini in quell'occasione la ringrazia per la scoperta. All'inizio la studentessa non si rende conto del peso della cosa, si sente semplicemente lusingata di aver contribuito ad un'invenzione tanto importante. Poi, però, arrivano i primi colloqui di lavoro, dove puntualmente le viene detto quanto il riconoscimento della paternità della scoperta sarebbe stato importante per la sua carriera.

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La studentessa decide di chiedere che il suo nome venga inserito tra quello dei responsabili dell'invenzione. Ma il team di professori rifiuta dando vita, quindi, ad un agguerrito procedimento giudiziale: nel 2007 la Mastrangelo porta davanti al Tribunale di Milano il team di ricercatori e l'Università di Firenze. Chiede che il tribunale la dichiari unica autrice e che Università e professori le paghino i danni. Nel corso del giudizio viene chiamato un consulente tecnico che, effettuate le dovute perizie, conferma che contenuto della tesi e del brevetto coincidono.

Nel 2012 arriva la sentenza definitiva: il Tribunale la riconosce come coautrice dell'invenzione, condanna l'Università al pagamento di un equo premio di 50mila euro, e i professori, assieme all'Ateneo, a pagare ulteriori 50mila euro di danni più interessi e spese processuali. I ricercatori impugnano la sentenza ma anche la Corte d'Appello conferma la medesima cifra. Si arriva quindi quest'anno alla Corte dei Conti della Toscana che ha deciso che i ricercatori dovranno risarcire pure l'Ateneo per la perdita subita.

"La Mastrangelo si è trovata fatalità nel momento in cui è stato sintetizzato un peptide particolare che si è dimostrato attivo, ma è stata una semplice casualità."

Giustizia è finalmente fatta? Non è così per il team di ricercatori che, nelle persona di Mario Chelli, ci ha fornito una ricostruzione dei fatti alternativa che, in parte, ridimensiona i toni sensazionalistici portati avanti da alcuni quotidiani. In particolare il ricercatore rivendica la paternità di un lavoro decennale, a fronte di una tesi di pochi mesi,"La Mastrangelo si è trovata fatalità nel momento in cui è stato sintetizzato un peptide particolare che si è dimostrato attivo, ma è stata una semplice casualità," mi ha spiegato Chelli, contattato al telefono. "Stava semplicemente eseguendo i compiti assegnateli dalla Professoressa Papini, la relatrice della tesi," spiega, "altro che scoperta a mano felice, come ha sostenuto il suo legale, l'Avvocato Floridia."

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Il Dott. Mario Chelli, all'epoca ricercatore del CNR di Firenze, oggi è in pensione. Chelli, che non è mai stato dipendente direttamente dell'ateneo, ha collaborato con la Professoressa Anna Maria Papini all'elaborazione del Peptlab kit. Oggi il procedimento giudiziario è concluso e il tribunale civile di Milano ha posto definitivamente la parola fine sul merito della questione, per questo motivo le parole del ricercatore sono da pesare con giudizio, "Il punto cruciale è cercare di capire il contributo effettivo della—all'epoca— laureanda, perché quando si parla di tesi dobbiamo, innanzitutto, considerare che c'è uno studente e un relatore. In secondo luogo, il lavoro dietro a una tesi può durare al massimo otto mesi, mentre il nostro è stato portato avanti per dieci anni," mi spiega Chelli. "Mi pare evidente che il contributo della Dott.ssa Mastrangelo sia stato piuttosto limitato.

Chelli, comunque, sostiene che la loro sia stata una leggerezza e che avrebbero benissimo potuto essere più accondiscendenti davanti alla richiesta di essere inclusa tra i coautori dell'invenzione, fatta della Mastrangelo, "All'epoca non esisteva un regolamento universitario che disciplinasse come comportarsi in questi casi," ci spiega, "in secondo luogo tanto il brevetto non ha reso niente e continua a non rendere nulla. Anzi, è solo costato," continua.

"I soldi per il rinnovo li abbiamo messi di tasca nostra. Non meno di 20mila euro, che nessuno ci ha mai rimborsato. Alla fine la dottoressa Mastrangelo ci ha solo guadagnato." E aggiunge, "ha addirittura ricevuto un equo premio di—credo—circa 50mila euro dall'Università (imposto in via giudiziale dal Tribunale di Milano ndr) cosa che i ricercatori che hanno veramente lavorato per tutto il tempo non hanno mai ottenuto. Noi ci abbiamo solo rimesso."

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Alla nostra domanda riguardo eventuali provvedimenti disciplinari da parte dell'università di Firenze ci ha risposto che non ne vedrebbe il motivo, "Noi non abbiamo avuto alcun processo penale. C'è solo una causa civile con l'università, come può essere una causa di condominio." e conclude, "Anzi io accuso un po' la stampa di aver pubblicato titoloni come "Ladri", perché qua di ladri non si può proprio parlare."

Chelli lamenta inoltre che la Mastrangelo non abbia rivendicato nulla sulle ulteriori pubblicazioni uscite, "Il brevetto non serve a niente. Serve solamente a bloccare un'idea, quello che conta veramente per i ricercatori universitari sono soltanto le pubblicazioni."

Il comunicato pubblicato nell'area stampa del sito di PeptLab e firmato dalla Professoressa Anna Maria Papini. via

Ma l'ex ricercatore del CNR non è l'unico a voler togliersi qualche sassolino dalla scarpa. La Professoressa Anna Maria Papini, relatrice della tesi della Mastrangelo, infatti, poco dopo la pubblicazione della storia da parte di La Repubblica, aveva rilasciato un comunicato infuocato: "A chi crede che si possano rubare le tesi di laurea in chimica," si legge sul sito di PeptLab, l'ente interdisciplinare responsabile del brevetto, "e che basta andare a casa e tirare a caso una sequenza di un peptide per sviluppare un test diagnostico per la sclerosi multipla può cortesemente contattarmi."

Sentita per telefono la professoressa ci ha anche lei ribadito quanto sostenuto da Chelli: dal brevetto i ricercatori non hanno ottenuto alcuna utilità economica. "Il brevetto non è di nostra proprietà, ma dell'Università di Firenze. Noi non abbiamo ottenuto soldi, anzi, l'Università di Firenze ad un certo punto ci ha detto che se credevamo nell'invenzione dovevamo essere noi a pagare. Ma questo non vuol dire che la proprietà era nostra, noi eravamo solo inventori."

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Uno dei punti cruciali per valutare la questione, non solo da un punto di vista umano ed etico, ma anche, e soprattutto, dal punto di vista del diritto, è proprio questo: capire cosa hanno guadagnato i professori—e l'università—dalla scoperta attribuita alla studentessa, come individuare il vero valore del brevetto e, quindi, il quantum a cui ammonta il danno percepito dalla Mastrangelo.

"Questa insufficienza di fondi per la ricerca, probabilmente porta ad avere atteggiamenti come quello di accaparrarsi tutto con qualsiasi mezzo."

Abbiamo cercato di capirlo sentendo la diretta interessata, la Dott.ssa Eloise Mastrangelo, con l'obiettivo di ricostruire le ragioni che ha fatto valere in sede giudiziale.

Quello che ci ha detto la ricercatrice per email è molto chiaro: guardare al solo dato economico più immediato sarebbe miope. Se si guarda alla carriera della Papini si può vedere che ha lavorato per dieci anni come tecnico laureato per il Dipartimento di chimica organica poi, nel 2001, diventa ricercatrice universitaria e, solamente dopo un anno, professore associato. "Già solo il passaggio da una posizione da tecnico laureato a professore è chiaramente un guadagno personale che supera di gran lunga il centesimo," ci dice, "Non meno importante è il valore economico che il brevetto ha anche indipendentemente dal suo sfruttamento commerciale nel mercato farmaceutico," e cioè "Un valore economico rapportato ai vantaggi che il brevetto ha recato all'Università ed ai Professori stessi in termini di finanziamenti e di proficua visibilità nel mondo accademico e aziendale".

Insomma, "I riconoscimenti e i premi avuti dalla professoressa Papini e dai suoi collaboratori grazie anche al peptide Scramble sono essi pure uno strumento per farsi conoscere nel mondo della scienza, per ricevere finanziamenti e fare carriera e, quindi, guadagnare di più," spiega.

"In secondo luogo, non mi sembra che quella datami a titolo di risarcimento sia una somma così alta di denaro, considerato il guadagno che hanno avuto in termini di carriera. Senza dimenticare che il marito della Papini aveva la cattedra a Salerno—con tutti i chiari svantaggi famigliari—e solo dopo essere stato incluso nel brevetto è stato trasferito all'Università di Firenze. Anche questo è un guadagno non da poco".

Quanto alla dichiarazione di Chelli sull'inutilità dei brevetti per un ricercatore, la Mastrangelo ci ha raccontato che se non ha rivendicato pretese anche sulle pubblicazioni accademiche è perché è venuta a conoscenza di queste solo dopo aver iniziato la causa.

La Mastrangelo parla poi di un'autentica guerra tra poveri dovuta al fatto chei finanziamenti alla ricerca sono praticamente inesistenti, "Questa insufficienza di fondi per la ricerca, probabilmente porta ad avere atteggiamenti come quello di accaparrarsi tutto con qualsiasi mezzo. Ma non per questo devono essere ammessi comportamenti scorretti." Insomma, è successo e può succedere ancora. E la colpa, tanto per cambiare, sta quasi tutta nello stato pietoso in cui versa la ricerca italiana.