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A colpi di cazzo mezzo moscio - Aspettando la vita alla fermata dell'autobus

Seconda parte della nostra meta-rubrica sulle "avventure" dell'italiano qualunque a Londra.

Benvenuti al secondo episodio di "A colpi di cazzo mezzo moscio", la prima meta-rubrica di VICE Italia. Se non avete letto il post di settimana scorsa—e  quindi non sapete cosa intendiamo per "meta-rubrica"—mi raccomnado, FATELO ORA, cliccando QUI, prima di andare avanti, altrimenti quanto leggerete di seguito non avrebbe molto senso.

In questo secondo episodio, Tommaso, il nostro italiano qualunque a Londra, parte dal resoconto della sua prima serata londinese e arriva a toccare temi ben più ampi e profondi, quali il rapporto con le droghe e il senso stesso della vita. Sentite cosa ha da dire.

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E quindi siamo finiti qui: io, la lattina di birra e la piccola striscia di cocaina. Fisso la polvere bianca sul tavolo davanti a me mentre, buttato per terra con la schiena poggiata sul divano in pelle bianca, cerco di mandare giù a piccoli sorsi la netta sensazione di non aver colto il senso. Il senso di questa prima sera a Londra, insomma.

Ho trovato una stanza praticamente dieci minuti dopo essere arrivato a Victoria Station. Merito di un'amica di un'amica di un'amica di mia madre. La ragazza che la occupava lavora come fonica freelance ed è dovuta partire all'improvviso per prendere parte alla produzione di un film a Malta. Avrò due coinquiline inglesi, che occupano le altre stanze dell'appartamento. Questo è quello che credo di aver capito. La stanza si trova nella zona di Shepherd's Bush, la pagherò 80 sterline a settimana e potrò dormirci per due mesi; ragion per cui mi è sembrato giusto lasciare valigia e zaino e scappare via nel giro di due minuti.

Ho incontrato una certa Benedetta, il mio primo contatto a Londra. Lei è un'amica di un'amica di un'amica di qualcuna che non è mia amica. Giuro che stavolta mia madre non c'entra. Abbiamo camminato fino a Chelsea da una stazione di cui non ricordo il nome, e bevuto un calice di vino rosso in un locale di cui non ricordo il nome. Ricordo benissimo il prezzo del calice, invece: 7 sterline. Non certo economico per le tasche di uno che è a Londra senza lavoro. Per farsi forse perdonare di questo, Benedetta mi ha poi portato su un ponte illuminato; il “ponte delle favole”, come lei ha voluto chiamarlo. Nulla di entusiasmante. Forse perché non sono certo il tipo di persona che crede nelle favole.

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“Bisogna fare un segno se vuoi salire sul pullman, altrimenti qui non si fermano mica” mi ha spiegato prima di lasciarmi alla fermata. Dovrò tenerlo a mente; sia mai che si tratti di una filosofia  di vita tutta londinese: qua nessuno ti aspetta. O magari è la vita stessa che non ti aspetta. Non si presenta puntuale alla fermata, in attesa che tu salga. Poco importa se si è pronti o meno. Bisogna salire, finché si è in tempo. Fare anche solo un piccolo cenno alla vita, per non ritrovarsi costretti ad aspettare per sempre.

Per questo motivo, quando un inglese ubriaco marcio si è presentato alla fermata, così, dal nulla, e mi ha chiesto di unirmi a lui per fare baldoria, io ho accettato. Abbiamo fatto un cenno all'autobus insieme e siamo finiti a casa sua, poche fermate più avanti.

John mi è subito sembrato un ragazzo simpatico. Un semplice amante della vita. Per questo non ho pensato nemmeno per un istante che volesse uccidermi o inchiappettarmi a sangue, quando mi son ritrovato nel suo salotto.

Un lavoro in banca, una casa vicino a Battersea Park affittata dal fratello (pezzo grosso della finanza), una fidanzata che studia design, una passione smisurata per il calcio, i cocktail, la birra e, forse, per la cocaina.

“That's so bad. So bad” dice lui tirando la sua terza striscia di fila. Me ne offre un po', ma io declino. Lo fa altre due volte. No grazie. Una striscia piccola? No grazie. Non ho mai tirato di cocaina. Mi accontento di questa lattina di birra. A certe fermate della vita io preferisco non fare alcun cenno.

Il mio nuovo amico mi saluta e se ne va a dormire. Mi ospita lui; posso stare sul divano in pelle bianca. Perché si è fatto tardi, e non ho voglia di tornare da solo alla fermata ad aspettare la vita.

Rimane la piccola striscia di cocaina sul tavolo davanti a me, in attesa. Mi stuzzica. Mi incuriosisce. Mi avvicino. Forse bisogna salire finché si è in tempo. Chiudo gli occhi.

Un soffio. E la polvere bianca si disperde, oltre il tavolo. Perché questa sera non ha un senso, ma io un senso ce l'ho, per ora. Brindo a me stesso con un sorso di birra; anche se non sono certo il tipo di persona che crede nelle favole.