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Come andare a una scuola di suore ha cambiato la mia vita sentimentale e sessuale

C'è uno scambio di battute che mi perseguita: "Ho fatto la scuola dalle suore." "Ah ecco, questo spiega molte cose." E anche se faccio finta di no, fare asilo, elementari e medie in una scuola cattolica ha le sue conseguenze.

Una classe che non è la mia in una scuola di suore che non è la mia (foto via)

C'è uno scambio di battute che mi perseguita da dieci anni, e che immagino perseguiti molte altre ragazze che hanno fatto la scuola dalle suore, ed è:

"Ho fatto la scuola dalle suore."
"Ah ecco, questo spiega molte cose."

Perciò sì, ho frequentato dall'asilo alle medie una scuola privata ( ora paritaria) di suore vicino a Milano. Ma la verità è che temo di non esserne uscita né così troia né così bacchettona da valere il commento generalizzato. Vero è che ne sono uscita rabbiosa, miscredente e con un discreto bagaglio di barzellette sporche che in realtà non mi facevano ridere perché non le capivo né avevo il coraggio di raccontarle. Ma immagino che questo valga per tutte le tredicenni.

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Negli ultimi decenni all'"Istituto" c'erano stati segnali di apertura, dovuti alla terrena necessità del soldo e alla diminuzione delle suore: per esempio, le classi erano miste e molte delle mie maestre erano laiche. Ma non molti di più.

La scuola era una C con un grosso cortile e, su una balza inferiore della collina, un campo da calcio. Durante l'inverno le femmine facevano l'intervallo in un'ala e i maschi in un'altra, e col caldo ci si spostava sul cortile sbucciaginocchia (femmine) o al campo da calcio (maschi). Ogni tanto un bambino sconsiderato riusciva a penetrare la guardia della suora con tre dita addetta al cancello del campo (sì, c'era un cancello) e fare un raid tra noi bambine fingendosi il T-Rex con le mini braccia di Jurassic Park—forse questo dice qualcosa della repressione inconscia che ci sentivamo addosso.

Come molti appartenenti alla mia razza in estinzione (al 2009 gli alunni della scuola cattolica italiana erano il 7 percento del totale), ho frequentato questa scuola perché i miei genitori lavoravano e le suore offrivano lo "studio" pomeridiano e un servizio pulmino. Anche la maggior parte dei miei compagni non veniva da famiglie religiose, e tra le madri schierate ad aspettare la campanella c'erano più che altro signore chardonnay morning con le Hogan. Mia madre non era così e io all'inizio mi vergognavo: non aiutava a vendere palloncini pieni di farina ("antistress") durante l'Avvento e non fraternizzava con le altre madri. Poi, all'altezza del secondo anno, credo di averci riflettuto e aver deciso che mia madre era molto meglio.

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In sostanza non facevamo cose diverse dagli altri bambini; ma eravamo una specie di "setta" con regole e metodi propri, e a me non piaceva.

In quanto femmina, poi, oltre alla normale sfiga di aver passato gli anni verdi a pregare ogni mattina e prima e dopo la "refezione", devo anche fare i conti con il mito delle ragazze uscite dalle scuole private: che sono quello della madonnina infilzata che dice no "per pudore" ma intende sì, o di quella che la dà tout court. Come tutti i miti, ha la sua base di verità. Se ti hanno insegnato che è sbagliato provare attrazione per un altro essere umano, e tu non riesci a emanciparti dalla regola, finirai per infrangerla più che puoi per poi sentirti in colpa e infrangerla ancora.

Nei casi-studio, a un certo punto cresci, ti emancipi e ti dai una regolata.

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Karley Sciortino sa un sacco di cose sulle relazioni. Guarda la sua serie, Slutever.

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Vero è anche che in quegli anni non mi sono stati dati strumenti utili per rapportarmi alla realtà. Dentro le pareti scolastiche, i miei educatori e le pinguine applicavano una giustizia pre-Beccaria in cui la punizione non serve a istruire e correggere il colpevole, ma a riaffermare la regola. Soprattutto quella anticotestamentaria per cui ogni sgarro verrà punito.

Non che fuori da scuola non avessi una vita normale. Facevo quello che fanno tutte le bambine, andavo alla piscina, schiantavo il camper della Barbie giù dal terrazzo, leggevo Il GGG, azzuffavo mia sorella. I miei genitori facevano del loro meglio per darmi strumenti di comprensione, tipo volendosi bene e spiegandomi quello che si spiega a una bambina solitaria&molto timida. Al di là della propensione dei miei genitori a parlarmi di api, però, passavo a scuola otto ore al giorno, ed era proprio il contrasto tra le due realtà a farmi vivere la mia vita al di fuori sempre come se stessi camminando sulle uova.

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Soprattutto perché a scuola c'erano i miei pari e io dalla relazione coi miei pari avrei dovuto imparare le cose—solo che loro erano sottoposti alle stesse regole mie, che non capivamo ("i maschi giocano con i maschi e le femmine con le femmine") ma che dovevamo rispettare. Come fanno i bambini, mi basavo sull'esempio inconscio del mondo intorno a me, e per nove mesi all'anno seguivo leggi passivo-aggressive, che sedimentandosi nella mia coscienza hanno influenzato anche le estati e i fine settimana.

Il punto è che il confine tra lecito e illecito in un'educazione simile sta talmente in basso che lo scavalchi quasi per forza, e ti trovi sola in quel 99 percento di mondo che appartiene al demonio e per cui non hai strumenti, perché tu hai studiato per vivere nell'uno percento a cui la retta pagata dai tuoi genitori ti aveva destinato. Quando una mia parente di quarantesimo grado, ventenne, rimase incinta, io (dieci anni, Vigilia di Natale) chiesi a mia nonna perché dovesse piangere e battersi il petto, dato che la Madonna era rimasta incinta a 14 anni. Ad oggi, mi sembra di avere fatto una dichiarazione inoppugnabile. Infatti si sono arrabbiati tutti.

A scuola, nel frattempo, un'insegnante di ginnastica era sparita alla seconda lezione, dopo averci assegnato il compito: disegna te stesso nudo e scrivi i nomi delle parti del corpo. Se ti imbarazzava, potevi pure metterti le mutande. Il punto non è il sesso fatto male, che è solo una conseguenza del non avere qualcuno che ti ha detto "questo sì questo no questo è umiliante." È piuttosto un sentimento generico che deriva dal fatto che in nessun caso le regole che conoscevi si applicano: vale tutto fino a prova contraria.

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Ovviamente, la grande eredità della mia educazione è il senso di colpa. Che è legato a filo doppio a questo sbaraglio. Credo che funzioni così: la Beata Vergine mette ansia alle suore, che mettono ansia a te.

Una volta confidai a una bambina che un nostro compagno mi sembrava il principe azzurro, e lei se ne uscì dai gabinetti e lo disse a tutti: passai il pomeriggio dalla preside e persi per sempre il mio bambino del cuore. Un'altra volta la suora aveva trovato un bigliettino in cui qualcuno aveva scritto "Mi piace X", e aveva convocato tutti i genitori.

Da lì e per svariati anni, quando mi piaceva qualcuno, quando andavo a letto con qualcuno, quando non ci andavo, quando mangiavo troppo gelato, non studiavo quanto io sapevo avrei potuto, mi sentivo in colpa. Perché non c'era nessuno a premiarmi con un bollino d'oro, e anche se ci fosse stato io sapevo che non me lo sarei meritato davvero. Perciò, dato che latentemente ti senti sempre in colpa, non conta niente mentire o dire la verità, conta solo passarla liscia. Sentimento che, nella maggior parte dei casi, mi dipingo come "non far soffrire gli altri".

Se quel bambino per la vergogna da allora mi aveva messo al secondo posto nella classifica delle femmine era solo colpa mia, che mettevo a repentaglio l'innocenza altrui. Anche se il cartone animato con il principe dentro me l'avevano fatto vedere loro (a me piaceva Il libro della giungla). Anche se una multinazionale per bambini, mia madre e l'universo sono d'accordo nel pensare che l'amore è una cosa bellissima. Credo che sia il motivo per cui in seguito ho sviluppato nei confronti degli uomini un atteggiamento spesso disincarnato—per la maggior parte li considero carini come un gattino, come se non fossero (graphic content) il pezzo di puzzle che si incastra con me ma un gioco totalmente diverso. Oppure galleggio sopra le attenzioni facendo finta che non esistano o non riguardino me. Una volta uno mi ha detto che non possiedo "intelligenza relazionale"; io mi sono incazzata ma aveva ragione lui.

Alle medie in qualche modo mi è andata fin troppo bene, e questa è la matrice dell'altra metà della mia bipolarità relazionale—che messa tutta insieme prima o poi potrebbe fare una normalità. Con una situazione paradossale che poteva accadere solo in un regime dittatoriale, la prof del laboratorio di teatro ci aveva fatto fare il Rocky Horror Picture Show—finché qualcuno ai piani alti se ne accorse e non andammo mai in scena. Fu lei che mi diede da leggere in via segretissimaScusate se ho 15 anni, quando bastava prendere un Piccoli brividi dall'armadio per essere guardati malissimo dalla referente della biblioteca di classe. Potevi leggere i Piccoli brividi, ma non potevi poi così tanto.

La verità è che è tutto piuttosto normale: sono cinquecento anni che le ragazze vengono educate così nella congregazione che ha educato me, ma sono ben di più che le ragazze non capiscono niente di se stesse, del mondo che le circonda e dell'amore, figurarsi quando sono giovanissime. Adesso sono passati dieci anni e mi sto abituando all'idea che posso mandare a fare in culo le persone, e che posso dire no. E che se ci tento fortissimo, riesco anche a non sentirmi in colpa.

Comunque una mia amica mi ha detto che la scuola dei preti è peggio.

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