Com'è perdere la persona che ami quando hai trent'anni

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Com'è perdere la persona che ami quando hai trent'anni

"Non penso che il dolore finisca mai, ma per me va e viene a ondate, a volte la ferita si chiude un po'."

Il memoir di Paul Kalanithi, When Breath Becomes Air, è uscito un anno fa, e parla della malattia terminale di questo giovane e talentuoso neurochirurgo. Ricordo di averne divorato le 256 pagine su un volo serale da Los Angeles a New York, sorseggiando whisky terribile e sgranocchiando quelle tristi bustine di arachidi salati. Paul aveva 36 anni, ed era nel pieno della carriera, quando ha scoperto di avere un cancro polmonare al quarto stadio con metastasi. Quando ha scoperto che stava per morire, ha deciso di scriverne. Il suo racconto non è deprimente né filosofico, però. È aperto e pieno di speranza in alcune parti, e impaurito e profondamente scoraggiato in altre. Paul era un uomo divertente. Pretendeva molto da se stesso. Gli piaceva il whisky. In qualche modo, era tutti noi.

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Paul non ha fatto in tempo a finire la sua storia, quindi sua moglie Lucy—anche lei medico a Stanford—ne ha preso le redini, ha scritto l'epilogo e ha fatto pubblicare il libro pochi mesi dopo la morte di lui. Certo, è una storia piena di passione e coraggio, ma mi ha lasciato pieno di domande sul lutto, su Lucy e sulla loro bambina, Cady. E su quanto il modo in cui noi esseri umani affrontiamo la morte di una persona cara sia sempre lo stesso. Uno: tristezza. Due: vai avanti. Le relazioni sono tutte diverse, come è possibile che perdere qualcuno sia per tutti uguale?

Quando ho intervistato Lucy, ho dovuto mettere da parte un fastidioso senso di familiarità. Il viaggio nel libro di Paul mi ha fatto sentire come se le fossi sempre vicino, come se le tenessi la mano sempre. In realtà, avevo proiettato me stesso su di lei. Il dolore di Lucy non è triste. È fiero, multisfaccettato, e, per ironia, anela alla la vita più potentemente che la felicità di molti. Ho parlato con Lucy di come sia cambiata la sua quotidianità, due anni dopo la perdita del marito.

VICE: Cosa è cambiato nel tuo modo di rapportarti ai tuoi pazienti dopo quello che hai affrontato con Paul?
Lucy: Penso sempre a come aiutare i pazienti ad avere cure adeguate a loro. Paul ne parlava un sacco nel libro. Il TedMed talk che ho fatto parla di quello—quale tipo di cure possono aiutarti a vivere al meglio la vita come tu la vuoi?

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Dopo essersi ammalato Paul ha continuato a lavorare per dieci mesi, e questo l'ha spinto a concentrarsi di più sui rari rischi di una possibile operazione di neurochirurgia, ma soprattutto su come sarebbe stato per il paziente. Non solo da un punto di vista clinico, ma anche quali sarebbero stati gli effetti sul paziente e la sua vita. Ha deciso di parlare molto di più con i pazienti degli aspetti reali dell'operazione e della malattia, cose a cui prima non avrebbe pensato. E questo dipendeva dal fatto che lui era stesso malato, e che il suo oncologo faceva lo stesso con lui, cercando di spiegargli il più possibile, "Dovrai fare la chemio, e probabilmente è così che ti sentirai." Per Paul è stato davvero d'aiuto.

Pensi che esistano delle "regole" nel lutto? Quali hai seguito tu?
L'unica a cui ho fatto affidamento è "non avere regole". Penso che sia un processo non lineare. Per esempio: per il 39esimo compleanno di Paul, circa un anno dopo la sua morte, io e un gruppo di amici siamo andati sulla sua tomba. Era il tramonto e qualcuno aveva portato le stelline, altri birre e patatine, e abbiamo fatto una specie di festa. È stato molto triste, ma era anche una festa. Era un mix di tutto—che è come descriverei la mia vita.

Abbiamo ascoltato bossa nova, la musica preferita di Paul, e all'improvviso mi sono girata e proprio sulla tomba c'era una bottiglia enorme di [whisky] Johnnie Walker Blue, e io ho pensato, Che bello. Mi ha reso molto felice. Alcuni penseranno che sono pazza, ma mi sembrava tutto al suo posto perché c'erano lì gli amici di Paul e sulla sua tomba c'era una bottiglia di whisky. Non esistono regole. Vale tutto quello che ti sembra giusto per celebrare o commemorare una persona—nei limiti del ragionevole.

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Leggendo il libro—che offre una prospettiva limitata ma potente sulla sua personalità—mi sono fatto l'idea che lui avrebbe proprio voluto una cosa simile.
Assolutamente sì. Durante il suo funerale, suo fratello Jeevan ha indicato una navata e ha detto, "Voglio che facciate una cosa. Voglio che questo lato della chiesa dica 'Morte non' e l'altro risponda 'essere fiera'." Sai, dal poema di John Donne. Perciò tutta la chiesa stava recitando, "Morte, non essere fiera," e io non ci credevo. E per finire ha indossato la maschera del costume da gorilla di Paul, perché Paul teneva nel bagagliaio dell'auto un costume da gorilla; diceva sempre "in caso di emergenza."

Ora che penso di essere in grado di entrare in connessione con il dolore delle altre persone, mi sembra che siano quelli i momenti che ti consolano. Quando ti senti connesso con la persona che è morta.

Come fai a mantenere vivi il suo spirito, il suo umorismo, il suo ricordo per Cady?
Ancora non lo so, sto cercando di capire come fare. Voglio fare un album di foto di Paul e parlargliene quando avrà l'età giusta, magari parlare di cose che gli piaceva fare. Tipo, "Gli piacevano i cani; gli piacevano le barzellette; gli piaceva ridere," e collegare queste cose a quelle che piace fare a lei, così da mantenerlo vivo nella coscienza di lei, "Ecco, così era questa persona di nome Paul." Se le chiedo "Come si chiama papà?" mi risponde "Paul," ma sono giochetti.

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Mi fa felice quando lo dice, ma penso che per lei non voglia dire nulla. Perciò farle un album di foto mi piacerebbe, perché così avrebbe qualcosa a cui collegare le informazioni nella sua testa. Forse, a un certo punto, per lei Paul non vorrà dire nulla, e questa potrebbe essere la cosa più dolorosa.

Sul tuo pezzo sul Times hai parlato del momento in cui hai tolto la fede. Questo gesto ha cambiato il tuo processo di accettazione del lutto?
Penso che sia stato il contrario. È cambiata la mia "posizione" nel processo di accettazione del lutto, perciò ho sentito che era il momento di togliere la fede. Oggi porto la fede di Paul sulla mano destra, insieme al mio anello di fidanzamento. Potrebbero essere anelli qualunque—la gente pensa che siano anelli di famiglia, non sembro sposata se mi guardi le mani, ma probabilmente a un certo punto li toglierò anche da lì.

C'è un momento, per te, in cui il dolore si trasforma in un'altra emozione? Cosa viene dopo il dolore?
Non so se c'è qualcosa dopo. Non penso che finisca mai, ma per me, va e viene a ondate, a volte la ferita si chiude un po'. Il dolore non è immenso come all'inizio, ma l'amore che ho per Paul è immutato. Non è mai cambiato.

A volte mi mandava baci sulla punta della dita. Se eravamo a una festa e lui era dall'altra parte della stanza e lo guardavo, lui mi mandava un bacio, anche solo alzando un po' il mento. E oggi lo faccio anche io, se vedo una sua foto, o se vedo una cosa che mi ricorda lui, mando un bacio, e nemmeno mi rendo conto che lo sto facendo. È istintivo. Sono aperta all'idea di innamorarmi di nuovo—non sono su OKCupid, però, di certo non è ancora arrivato il momento per quello. Ma penso che l'idea di amarlo per sempre, qualunque cosa succeda a me e Cady, sia vera, e penso che valga anche per tutte le persone che hanno perso un genitore. Penso che il rapporto che hai con la persona scomparsa continui.

Questo articolo è tratto da Tonic.