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Tecnologia

Quella volta che ho trovato il cervello di Albert Einstein

L'incredibile storia del cervello di Einstein: estratto, sezionato, analizzato e poi perso per decine di anni.
via Wikipedia

Albert Einstein ha da anni smesso di essere un fisico ed è passato allo stato di semi-divinità della scienza, il che potrebbe suonare strano nel caso in cui non si fosse a conoscenza dell'esistenza di liste da 8 pagine di citazioni di mr. relatività. In una scala da Socrate a Osho, il culto della personalità che si è sviluppato attorno ad Einstein si posiziona ad un solido livello-Winston Churchill.

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Non dovrebbe quindi stupire l'esistenza di un'epopea omerica con protagonista il suo cervello.

Tutto comincia nell'aprile del 1955, quando ad Albert viene diagnosticato un aneurisma cardiaco. Venerdì 15 aprile il più grande fisico del '900 viene ricoverato nell'ospedale di Princeton e infine, nella tarda nottata del lunedì successivo, dopo aver bisbigliato qualche parola in tedesco ad un'infermiera che non conosceva la lingua, si spegne.

Dopo la certificazione del decesso, l'autopsia sul corpo viene eseguita da Thomas Harvey, patologo dell'ospedale di Princeton. La famiglia di Einstein non voleva che la sua salma diventasse un'icona da adorare, così nell'arco di poche ore si concludono le analisi sul corpo, la cremazione e la dispersione del ceneri. In questa corsa contro un cadaverico voyeurismo viene però salvato un singolo elemento del corpo dello scienziato.

Thomas Harvey racconta l'autopsia di Einstein a dei reporter. via Getty

Il 20 aprile appare sul The New York Times un articolo che menziona la conservazione del cervello di Einstein, lo scopo è quello di "studiarlo più a fondo." Poi nulla: nessuna parlerà più di questa reliquia per quasi 20 anni. Fino a quando un giornalista non viene incaricato di trovarlo.

Steven Levy si occupa di tecnologia, security, privacy e crittografia ed è anche l'uomo che, per conto della rivista di Princeton New Jersey Monthly, ha cercato il cervello di Albert Einstein. Il capo redattore della rivista aveva sviluppato particolare interesse per la neurologia e, per caso, era finito a leggere proprio quell'articolo del The New York Times del 20 aprile 1955.

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Dopo alcune ricerche, però, il massimo che Michael Aron, il capo redattore, riesce a scoprire è la conferma che Thomas Harvey, il patologo del Princeton che aveva eseguito l'autopsia, non lavora più per quell'ospedale. È a questo punto che il testimone passa a Steven Levy.

Levy comincia la sua ricerca direttamente all'ospedale di Princeton, ma l'amministrazione della struttura gli conferma che l'unico a sapere qualcosa del cervello di Einstein è Harvey, è che quando se ne è andato dall'ospedale ha portato con sé tutte le cartelle relative all'autopsia.

La ricerca di Levy si sarebbe bloccata se una sua conoscenza non gli avesse detto di aver effettivamente visto una fetta del cervello di Einstein, posseduta da un suo maestro di medicina che a sua volta l'aveva ricevuta dal Dr. Sidney Schuman, un esperto in talami che aveva, ai tempi, ricevuto parte del cervello di Einstein per studiarlo direttamente da Harvey.

Il primo articolo del New York Times in cui viene menzionato il cervello.

L'obiettivo delle ricerche era ovviamente quello di verificare la normalità del cervello di Einstein, ma per Schuman non c'erano particolari anomalie, ma ciò poteva essere dovuto agli strumenti di ricerca non esattamente avanzati e allo stato di conservazione del tessuto cerebrale.

Levy riesce infine a contattatare l'American Medical Association, dove Harvey in quanto medico doveva essere registrato, e trova l'indirizzo di un Thomas S. Harvey, nato nel 1912. Registro telefonico alla mano, estrapola quindi anche un numero di telefono, lo chiama e finalmente riesce a parlare con Thomas Harvey. L'uomo subito tentenna, ma infine conferma: aveva eseguito l'autopsia del corpo di Albert Einstein ed era in possesso del suo cervello.

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Levy riesce a convincerlo e organizza con lui un incontro, che viene raccontato come una partita a scacchi giocata a metà tra il desiderio di Levy di vedere il cervello e il nervosismo di Harvey, sollevato e agitato all'idea di parlare dell'argomento dopo così tanti anni di silenzio.

Il cervello di Albert Einstein era tutto sommato normale, 1.2 chilogrammi di materia grigia. Harvey e il suo team avevano messo il cervello sotto formaldeide per portarlo alla University of Pennsylvania, dove è stato sezionato grazie a un microtomo e conservato sotto forma di mattoncini di celloidina e di fettine. Soltanto alcune parti sono rimaste intere.

Levy, però, stava cercando lo scoop: serviva il cervello, o perlomeno delle foto di esso; ed erano queste le parole che non riuscivano a uscire dalla bocca di Harvey, "Non ho foto, ma ne ho un pezzo qui."

Levy, su Backchannel, racconta nei dettagli la storia: l'ufficio di Harvey era una normalissima stanza con una scrivania, qualche scaffale pieno di libri. Tra le mensole c'era qualche scatola di cartone: Harvey si alza, ne scopre una e tira fuori un contenitore. Dentro c'erano dei pezzetti del cervello di Albert Einstein, in particolare, dei pezzi del cervelletto di Albert Einstein. Harvey non si ferma, tira fuori un altro contenitore ed ecco altri pezzi di cervello, tutti numerati e catalogati.

Grazie al reportage scritto da Steven Levy una neuroscienziata di berkeley, Marian Diamond, è entrata in contatto con Harvey per farsi mandare alcuni frammenti. La scoperta, dopo anni di attesa, è che il cervello di Albert Einstein presentava una maggiore concentrazione di cellule gliali, quelle cellule che fungono da sistema di sostegno per i neuroni. Infine, nel 1985, viene pubblicato su Experimental Neurology il primo paper scientifico di studi sul cervello di Albert Einstein, "On the Brain of a Scientist: Albert Einstein."

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Frammenti di cervello di Einstein esposti al Mutter Museum di Philadelphia.

Un altro studio pubblicato nel 1999 dimostrava come il cervello di Einstein fosse privo della Scissura laterale di Silvio, una sorta di crepa presente nella maggior parte dei cervelli umani che parte all'altezza dei nostri occhi e attraversa parte del cervello. Nelle foto del cervello di Einstein che Harvey aveva fornito questa crepa semplicemente non c'era.

Negli anni successivi gli studi sul cervello di Einstein si sono moltiplicati, fino ad arrivare alla creazione di una mappa interattiva del suo cervello.

Levy, ancora su Backchannel, racconta dello strano rapporto tra Harvey e il cervello che aveva sezionato: venivano raccontate storie secondo le quali durante alcuni suoi viaggi il cervello in scatola stazionasse comodo nel sedile posteriore dell'automobile di Harvey.

Infine, la vicenda si conclude con la morte di Harvey, nel 2007, e l'arrivo di alcune fettine del cervello, nel 2011, al Mutter Museum di Philadelphia. Ora che la magia del mistero è scomparsa, ciò che rimane è una citazione del primo articolo di Levy pubblicato sulla questione.

Sospettavo che l'inevitabile assenza di vita del mondo materiale avrebbe reso l'ammirazione di quella materia cerebrale molto simile all'osservazione di una medusa morta. Ma le mie paure erano prive di fondamento. Per un attimo, quando ho avuto il cervello davanti a me, ho avuto la possibilità di scrutare una sorta di sfera di cristallo organica. Fluttuante nella formaldeide c'era la potenza della scissione degli atomi, i misteri dei buchi neri, il miracolo del progresso. C'era il meglio di noi, della razza umana.