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Tecnologia

Componenti dei circuiti che si avvolgono agli organi interni

I nuovi transistor sono abbastanza flessibili da diventare parte delle tue viscere.
Immagine: University of Illinois/Beckman Institute

Le viscere sono un luogo umido, bagnato e molle. Privo di superfici dure―escludendo le ossa, che non sono propriamente viscere―linee dritte o angoli acuti. Niente di più adatto per l’aggettivo: resilienti. Le viscere possono incassare un colpo e adattarsi a tutti i tipi di ospiti: da un treno di lattine di birra ad abbuffate colossali. Addirittura, pensa un po’, anche a un nuovo essere umano. Per essere così pieni di poltiglia, facciamo un sacco di cose.

In questo senso, c’è molta differenza tra gli esseri umani (e gli altri animali) e le macchine. Innestare un dispositivo elettronico dentro/sopra un corpo umano ci fa assomigliare a un “biohacker”, come nel caso del monitor per i segnali vitali sotto-pelle di Tim Cannon o il monocolo sinestetico “Eyeborg” di Neil Harbisson. Si potrebbe anche considerare sciocca la posizione dominante per cui la tecnologia cibernetica dovrebbe rendere gli esseri umani più simili alle macchine, piuttosto che il contrario, visto che dopotutto siamo noi umani a fare i progetti.

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L’elettronica impiantabile deve riuscire a superare la grossa difficoltà che i circuiti vengono solitamente costruiti su dei materiali rigidi, come le schede di silicio. Al momento, i nanomateriali innestati nel corpo possono eseguire solo compiti “stupidi,” come mandare segnali, e qualunque sistema computerizzato al momento è generalmente in materiale anti-viscere. Uno studio pubblicato questa settimana sulla rivista Advanced Materials propone dei transistor in grado di piegarsi e flettersi tanto da potersi avvolgere ai tessuti corporei, proprio come i tessuti si avvolgono tra loro. La caratteristica fondamentale di questi transistor è che perdono la loro rigidità solo una volta che vengono scaldati dal corpo; durante il trapianto mantengono la loro rigidità, necessaria per l’intervento chirurgico.

“Il dispositivo deve rimanere rigido a temperatura ambiente per il trapianto, ma diventa flessibile abbastanza da potersi avvolgere ad un oggetto 3D. Questo permette al corpo di comportarsi come se non avesse il dispositivo impiantato,” ha spiegato in conferenza stampa Jonathan Reeder, studente laureato all’Università  del Texas e autore dello studio. “Riusciamo a fare questo grazie a componenti elettronici in grado di cambiare forma e a polimeri ammorbiditi.”

Il segreto è nell’uso di polimeri a memoria di forma, materiali che possono cambiare da una forma temporanea a una permanente, per esempio grazie alla variazione di temperatura. Lo stesso semiconduttore è organico, ma il team è riuscito ad adattarlo per i processi tipici della produzione dei circuiti, aprendo la strada per lo sviluppo di una tecnologia a basso costo. L’idea alla base del processo è quella di fare un “sandwich” con polimero e transistor, profilando lo strato deformabile sull’elettronica dell’altro.

Reeder et al hanno testato il processo sui topi, impiantando un piccolo cilindro sulla cui superficie hanno avvolto il materiale. Il risultato ottenuto è che materiale impiantato ha preso la forma del materiale vivente del ratto. Il prossimo passo sarà quello di rimpicciolire ulteriormente il materiale, permettendo un maggior numero di componenti, maggiori potenzialità e sensibilità. Dopotutto, il primo obiettivo è questo: sensori corporei che possono dire ai medici cosa sta succedendo nel nostro corpo, senza ulteriori perforamenti o intrusioni. Oltre questo obiettivo, lascio alla vostra immaginazione.