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Le parti migliori di 4:44 di JAY-Z, tradotte e spiegate

Jay non è più amico di Kanye, ammette le sue colpe con Beyoncé, racconta di quando ha incontrato Prince e vuole davvero farvi abbonare a Tidal.

E così siamo arrivati a un nuovo album di JAY-Z, quattro anni dopo quel luglio 2013 in cui uscì Magna Carta Holy Grail. Dei giorni che mi separavano dall'uscita di quel disco ricordo un sentimento di grande anticipazione—venivo dall'estasi collettiva causata da Watch the Throne, d'altro canto, e quella gemma nera e spigolosa che fu Yeezus era venuta al mondo solo un mese prima. Oggi, quello che mi resta di quelle canzoni è la voce di Justin Timberlake che canta il riuscito ritornello di "Holy Grail", il video di "Picasso Baby" con la Abramovic con qualche punchline del pezzo—"House like the Louvre or the Tate Modern / 'Cause I be going ape at the auction"—e poco altro. In un contesto in cui il Grande Album Rap stava diventando qualcosa di più complesso, sperimentale e narrativo (vedi alle voci good kid, m.A.A.d. city, Acid Rap e Yeezus), Jay se ne uscì con una serie di pezzi manieristici. Li usò per parlare della sua ricchezza, dei suoi risultati, della sua famiglia—ma restò sulla superficie, forse troppo impaurito per lasciar entrare veramente chi lo ascoltava nel suo cervello e nel suo cuore.

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