Ron Galella odia le gang bang

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A8N4: Il numero dello spettacolo

Ron Galella odia le gang bang

A rapporto dal più grande paparazzo di Hollywood, che ci mostra il suo "album di famiglia" e ci parla della sua vita dorata.

Prima che la figura dei paparazzi diventasse quella odierna—sciami di pazzi anonimi Hollywood-dipendenti muniti di macchinette digitali, senza nessun potere e ancora meno eleganza—Ron Galella si intrufolava alle feste tramite i montacarichi, rubava scatti di Madonna, Bowie e Liza Minelli che ballavano dietro le transenne dello Studio 54 di Hollywood e pedinava Jackie O. senza sosta fuori dal suo appartamento nell’Upper East Side.

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Opportunista e stacanovista, Galella si è fatto strada fino a diventare il fotografo delle celebrità—qualifica non ufficiale, ma sicuramente riconosciuta da tutti. Le ha prese di santa ragione da Marlon Brando (da quella volta, quando Brando si trova nei paraggi, indossa sempre un caschetto da football), è stato denunciato da Jackie O. e bandito da un sacco di locali esclusivi, ma allo stesso tempo il suo lavoro era sempre più richiesto perché tra gli anni Sessanta e gli Ottanta nessun altro faceva quello che faceva lui. Allora i suoi scatti uscivano regolarmente sul Time (che lo ha nominato “il padrino della cultura dei paparazzi” nel Regno Unito), su Harper’s Bazaar, Vanity Fair, Vogue e su People. Ha immortalato momenti molto personali, che nessun altro aveva le palle nemmeno di provare a fotografare.

Oggi, a 81 anni, Galella ha visto più o meno tutto quello che il favoloso mondo delle star del cinema aveva da offrire, l’ha documentato e catalogato. Il seminterrato della sua villa nel New Jersey ospita un enorme archivio con le fotografie di praticamente chiunque, da Andy Warhol a Elizabeth Taylor, da Goldie Hawn a Elvis Presley. Al momento sta lavorando a un libro su Jackie O., la sua più grande ossessione, ma si è preso una pausa per raccontarci degli anni in cui sventolava la macchina fotografica in faccia alle star e per mostrarci generosamente una selezione di fotografie inedite direttamente dal suo archivio.

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Una foto caruccia di Ron attorniato dai suoi decenni di foto carucce.

VICE: Ritiene che il suo sia un lavoro invadente? 

Ron Galella: Be’…

Glielo chiedo perché è stato aggredito e citato in giudizio più di una volta.

[ride] È una questione controversa, capisci. Alcune persone famose pensano di non essere dei personaggi pubblici, tipo Jackie Onassis. Lei pensava di essere una privata cittadina. Ma nei luoghi pubblici, è un gioco leale. In un certo senso Jackie è stata un’ipocrita, perché in fondo piaceva anche a lei. La foto più bella che le ho fatto è quella chiamata “Windblown Jackie" [Jackie nel vento]. Era senza trucco, coi capelli scompigliati: una posa spontanea, una persona spontanea. Quel giorno stavo facendo delle foto a una modella, Joyce Smith, a Central Park, vicino a casa di Jackie. Mentre ce ne stavamo andando la vidi. Lei non mi aveva visto e io la seguii fino all’angolo tra la 85esima e la Madison, poi presi un taxi. Se l’avessi seguita a piedi mi avrebbe notato e si sarebbe messa gli occhiali, e a me quel genere di scatto non piace. Il tassista suonò il clacson, penso che volesse guardarla. Quando sentì il rumore, lei si girò e guardò dritto verso di noi. Scattai la mia fotografia. Poi scesi dalla macchina e diedi a Joyce Smith un’altra macchina fotografica perché mi facesse qualche scatto mentre seguivo Jackie.

Perché era così ossessionato da Jackie O.?

C’erano tanti motivi: fisicamente, era bellissima, con quei grandi occhioni; aveva una voce da ragazzina, morbida e vellutata, come quella di Marilyn. Ma, come in ogni donna, la cosa che la rendeva splendida era il fatto che avesse un’aura di mistero. Era misteriosa. Era riservata, ha rilasciato solo tre interviste in tutta la sua vita. Al giorno d’oggi quello che manca alla maggior parte delle star è un po’ di mistero. Tutti ci mettono pochissimo ad aprirsi; è così volgare. Quando c’è mistero invece vogliamo saperne di più, resta qualcosa su cui fantasticare, qualcosa da desiderare.

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Quando ha cominciato a fare il paparazzo?

Quando ho finito la scuola d’arte non avevo abbastanza soldi per aprire uno studio, così ho iniziato a fotografare all’aperto. Il mio studio era il mondo, non avevo altra scelta. Mi piace fare foto alle star nel loro ambiente naturale: agli eventi, in aeroporto… Ovviamente, per Jackie avrei aspettato fuori dalla sua porta di casa e l’avrei seguita ovunque. Quando fotografavo, il mio stile era molto ingenuo, spontaneo, improvvisato. Anche la mia intestazione dice: fotografia con approccio da paparazzo. Volevo catturare emozioni vere. Invece oggi è tutta una questione di pose. Alle première i paparazzi si limitano a gridare il nome delle star, vogliono che le star si voltino a guardare dritto in camera. A me non è mai interessato nulla del genere, volevo persone reali, in situazioni reali. Le emozioni genuine rendono speciale una fotografia: ci piace vedere le celebrità in situazioni umane, così da poter dire, “Guarda, sono proprio come noi!” Quando li immortali mentre stanno facendo qualcosa, è come raccontare una storia. Al contrario, una fotografia in posa non dice nulla.

Forse lo “studio” più famigerato in cui ha lavorato è stato lo Studio 54.

Era proprio un bel posto perché era come stare sul set di un film. C’erano luci terribilmente accecanti, musica altissima e gente che ballava. I divi andavano lì per incontrare altri divi; il proprietario, Steve Rubell, invitava allo Studio 54 tutte le celebrità che si trovavano in città, con gentili omaggi di drink, vino e droghe. Ci sapeva davvero fare.

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È un business che non esiste più.

A Steve piaceva molto farsi pubblicità, quindi alle feste invitava anche la stampa; un paio di volte, però, mi cacciò fuori. La prima fu a causa di una foto che avevo fatto a Ali MacGraw mentre ballava avviluppata a Larry Spangler. Non portava il reggiseno e le si vedevano i capezzoli. Le feci una foto che poi finì su Playboy, e Steve disse che Ali se l’era presa. Ma mentiva. Conosco Ali e avevamo parlato della foto. Le piaceva, non le importava. Steve se la prendeva sempre con me perché tra tutti i fotografi ero il più famoso.

E la seconda volta?

La seconda volta che mi cacciarono fuori fu per sempre. Un team di giornalisti, il Group W, era in città per fare un pezzo su di me. Gli suggerii di seguirmi mentre ero in azione, così andammo a una festa di Robin Williams al Copacabana. C’erano tutti, compreso Steve che, naturalmente, poi invitò tutti allo Studio 54. Mi disse che potevo fare solo fotografie—Robin non voleva riprese video. Quindi io andai lì e c’era Robin che ballava con la moglie, li fotografai, le telecamere del Group W mi ripresero. Steve arrivò subito per cacciarmi fuori, gridando, “L’hai fatto, voglio le riprese!” Voleva avere le pellicole sia del gruppo che le mie, ma sapevo che sarebbe stato un problema quindi rubai un’ultima foto di Steve infuriato e me ne andai. Mi urlò, “Vattene!” [ride] Arrivò la polizia e portò sia Steve che il gruppo alla centrale. Vennero rilasciati tutti, ma Steve dovette restarci per 33 ore perché aveva dei precedenti. Non me l’ha mai perdonato.

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Non era una scocciatura essere continuamente cacciato dai locali?

No. Sono un opportunista, non mi arrendo. Sarei capace di imbucarmi dappertutto; spesso mi intrufolo agli eventi passando dalla cucina. Prima o poi la sicurezza mi prende: allora collaboro, faccio finta che me ne sto comunque andando premendo il bottone dell’ascensore, così loro se ne vanno e io sgattaiolo di nuovo in cucina. Altre volte mi metto in coda per il buffet e lascio sbollire la situazione.

Cosa pensa dei paparazzi d’oggi?

Sono terribili. Quando lo facevo io, negli anni Sessanta e Settanta, era un uno contro uno, ora questi fanno le gang bang. È una situazione fuori controllo, sono contento di non lavorare più. Oggi tutti possono fare il paparazzo. E infatti la CNN ha appena lasciato a casa un team di fotografi perché tanto riceve da chiunque le fotografie fatte col cellulare, gratis o quasi.

Pensa che le celebrità non siano più così interessanti da fotografare al giorno d’oggi? 

Sono tutti rifatti e sembra che non ci siano più imperfezioni, o tratti caratteristici tra i volti famosi. Proprio l’altra sera stavo guardando Lindsay Lohan alla televisione, aveva le guance che scoppiavano! Penso che la chirurgia plastica vada bene se ce n’è bisogno: se hai un brutto mento, sistemalo. Le donne con tette enormi, però, non mi piacciono. Sono più interessato al sedere, credo sia la parte più sexy sia negli uomini che nelle donne. Gene Kelly ne aveva uno davvero fantastico, e anche Jennifer Lopez!

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Jackie e Ari Onassis dietro un vetro bagnato il 14 novembre del 1970, al La Côte Basque di New York.

Jimi Hendrix tra la folla al Martin Luther King Jr. Benefit Concert al Madison Square Garden il 28 giugno 1968.

Una Cyndi Lauper piuttosto new-wave (e piuttosto sbronza) all’after-party dei Grammy Awards del 1984 al Rex II Restaurant di Los Angeles.

Elizabeth Taylor si apparta un attimo prima di assistere allo spettacolo Private Lives al Lunt-Fontanne Theatre a New York, nel 1983.

Naomi Campbell presa in una conversazione al ballo di beneficenza della Tanqueray Sterling per l’AIDS Coalition il 9 novembre 1989, alla Sand Factory di New York.

Joey Heatherton scalcia all’Artists & Models Ball il 19 Novembre, 1966, al Biltmore Hotel di New York.

Brigitte Bardot—che forse cerca di passare in incognito sotto il cappello—1 settembre, 1968, allo Zoom Zoom Club di Saint- Tropez, in Francia.