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Música

Brandy and Coke

Ewen Spencer fotografa l'anima della UK Garage.

Negli ultimi anni ci siamo resi conto con sempre maggiore chiarezza che non abbiamo mai apprezzato la scena UK garage come avremmo dovuto. Non si può fare a meno di pensare che la maggior parte dei DJ, produttori, registi e fashion designer che oggi ammiccano a Todd Edwards e Ben Sherman siano cresciuti ascoltando i Coal Chamber e indossando jeans Criminal Damage.

Uno che se l'è vissuta davvero, comunque, è il fotografo Ewen Spencer. Ewen ha fatto moltissime cose negli anni, dal lavorare con i White Stripes e documentare i giorni felici del grime (se mai ce ne sono stati) nel suo libro Open Mic, allo scattare per Original Pirate Material. Nel suo ultimo progetto si è occupato del sempre più incensato ma ancora poco documentato mondo della UK garage, e su tale materia ha dato alle stampe un nuovo libro, Brandy and Coke.

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Le foto sono fantastiche, rendono perfettamente l’atmosfera delle prime serate garage alle quali tutti i fratelli maggiori dei miei amici proclamano di essere stati. Pantaloni stampati a fogli di giornale, camicie Yves Saint Laurent, è tutto lì, inzuppato di champagne e da altri drink di classe. Dopo ore e ore che fissavo le foto struggendomi, desiderando di essere uno dei ragazzi ritratti in completo di paillettes, ho deciso di chiamare Ewen per parlare di garage, di grime e di vestiti.

VICE: Quando è stata la prima volta che hai sentito il termine “garage” riferito alla musica elettronica?
Ewen Spencer: Nei primi anni Novanta, ma quello era garage americano, tipo house. Era musica vocal house di New York che veniva chiamata “garage”. L’ho sentita la prima volta nell’ambiente soul, probabilmente. A quel tempo si sentiva, in giro, e i miei amici e io andavamo alle serate soul per evitare l’atroce ambiente rave.

C’è un dibattito su quale sia la vera derivazione della UKG—qual è la tua opinione in merito?
Penso che valga la pena di chiederselo. È nata in America, non dalla cultura rave—la cultura rave è tutta britannica. È arrivata da Detroit, quando abbiamo iniziato a sentire nei club la musica house—a Newcastle, per esempio. Ci piaceva, ma era sempre affiancata alla musica soul—i Soul II Soul, il modern soul, la SOS Band, un po' quella roba. Penso che quando la musica rave è emersa la house è cambiata, ed è diventata qualcosa di diverso. E il passo successivo è che lo speed garage è arrivato dal New Jersey e si è diffuso, qui.

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Che altre serate c'erano a Londra, quando si è diffuso la speed garage?
La mia esperienza si limitava a un piccolo club a Hoxton Square, a East London, che era un posto dove suonavano jungle. Non ero un appassionato della jungle—era davvero noioso stare ad ascoltarla per una notte intera. Era tremendo, davvero monotono.

Che cosa avevano di diverso le prime serate speed garage dalle altre serate della Londra di allora? 
Erano davvero una figata. C’erano molte coppie e anche un sacco di tipi che ballavano tutti insieme, vestiti eleganti—spesso con indosso dei completi—e molto colorati. Era il periodo post-rave, quindi avevano tutti l’aria un po’ devastata. E poi, all'improvviso, ti ritrovavi a una di queste serate e la gente era tutta in ghingheri. C’era molta ostentazione, tutti bevevano champagne, ma era eccitante perché in quell’ambiente ti rendevi conto che stava cambiando qualcosa, ed era completamente diverso da qualunque altra cosa ci fosse sulla scena. Era underground, era diverso—era entusiasmante andarci.

Ma l'atmosfera era davvero così pacifica e posata? O c’era anche un lato oscuro, in queste serate?
No, non c'era un vero lato oscuro. Non mi sono mai sentito minacciato. C’era un’aria gioiosa e festaiola, come nell’ambiente soul. Ci si andava per divertirsi. C’era molta ostentazione e un’attitudine un po’ cupa da parte di qualcuno, ma in generale era solo per farsi vedere.

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Il tuo libro si intitola Brandy & Coke. Era il cocktail delle serate garage? O nasconde altri significati?
No, si riferisce solo a quello che bevevano tutti, brandy e coca. Era il drink per eccellenza. Ci sono, nelle foto, alcune ragazze che bevono champagne, ma il brandy e coca era il più in voga.

Non si vede più tanto in giro.
No, in effetti. Ti manda subito a gambe all'aria, vero?

Eh, sì. Girava molta droga nell’ambiente garage?
Si fumava solo erba, che era una sorta di influenza caraibica—delle Indie Occidentali, anzi. È così british, no? Molto Londra.

Quindi c'è stato un allontanamento dalle pasticche dell’ambiente rave?
Sì, non girava più quella roba. Quei club di merda, enormi e appariscenti dove girava un sacco di ecstasy tagliatissima e coca di infima qualità non sono mai stati il mio genere.

Che ruolo aveva lo stile nell’ambiente UKG?
Un ruolo di primissimo piano. Era una delle sue parti integranti, davvero. La gente si vestiva in modo particolare. Si è sviluppata questa tendenza a portare abiti di taglio più aderente rispetto a quello che indossavano gli altri, al tempo.

Al tempo il resto della Gran Bretagna si vestiva come Leonardo DiCaprio in The Beach.
Esattamente. I vestiti sono diventati più stretti, e mi ricordo che mi facevano tornare in mente le feste mod a cui andavo quando ero più giovane—tutti quei ragazzi che ballavano insieme con quei vestiti stretti e ben tagliati. C’erano un sacco di ragazzini in giro in scooter per Londra, a quel tempo. Era una cosa molto sentita in Inghilterra a quel tempo, la gente faceva sforzi enormi per vestirsi alla moda per uscire, cosa che prima non si faceva.

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Gran parte della moda ruotava attorno a marche importanti, il che sembrava in contrasto con l’ambiente rave e brit-pop che erano venute subito prima. Potresti dire che fosse una scena legata a un certo lusso?
Non così tanto. Era solo la classica cosa inglese—una subcultura, gente della classe operaia che si vestiva a festa. Era un modo di evadere, no? Non penso ci fosse nessun lusso. Anche io mi sono avvicinato alla scena e sono stato un po' così, ma l’ambiente stava già cambiando.

Qual è il vero look garage?
Le ragazze indossavano vestiti fantastici. Trucco semplice, capelli, unghie e scarpe puliti. Dovevano anche ballare bene, per essere belle. Ovviamente, per i ragazzi ci sono stati diversi passaggi, ma quando ho scattato io le foto non c’era uno stile sporty, si usavano indumenti diciamo casual, come chino, jeans Guess, quel tipo di cose. E si vedevano spesso vestiti Paul Smith perché a quel tempo produceva grafiche audaci. Mi ricordo le sue camicie stampate a grosse mele.

Sono affascinato da tutte quelle camicie a stampe cinesi, con i dragoni. Anche se forse sono arrivate dopo.
Già, è stato dopo, quando lo stile è diventato più street.

Molti indossavano le Kickers o i mocassini Bass, vero?
Io li porto ancora. Li chiamo “Glaswegian loafers”.

E i pantaloni neri setati?
Sì, quei pantaloni di tessuto misto. Ce n’erano in giro un sacco. Non potevi entrare in un club garage con un paio di jeans, nemmeno un bel paio.

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E Ben Sherman?
Già, Ben Sherman se eri un duro. Ma molti ragazzi indossavano le camicie lucide, cangianti, con stampe appariscenti. C’erano un sacco di ragazzi che indossavano completi, ma le giacche dovevano essere un po' lunghe. Mi ricordo che erano molto in voga. Poi c’erano anche dei tipi con camicie stampate Moschino, occhiali da sole e un bel paio di scarpe. I mocassini di Gucci erano fantastici.

Quando hai iniziato a realizzare che la UKG stava diventando commerciale?
Quando tutti i ragazzini dei bassifondi e della provincia hanno iniziato a sentirla alla radio e di conseguenza si sono riversati nei club. Si notava un grande cambiamento ad Ayia Napa—ragazzini inglesi sempre più casinisti, e sempre più giovani, nei club. A Londra i ragazzini li incontravi alle serate rave, ma quasi mai in discoteca, ma poi andavano in vacanza, andavano in discoteca e poi quando tornavano si portavano questa nuova fissa, così la scena è diventata davvero commerciale. Voglio dire, anche Craig David a quel punto ha rifatto Rewind, l'inno dei club londinesi, e i Ministry of Sound hanno fatto un album—è un po' toccare il fondo, no?

È uscita una compilation deep house proprio l’altro giorno.
Non ce ne sono già abbastanza?

Già. Così il grime è diventato il genere di punta a Londra, verso il 2004, ed era un suono molto più arrabbiato, più grezzo. Per quale ragione, secondo te?
Quelli che suonavano quella musica si sono ispirati al garage e ai So Solid Crew—volevano il successo. Ma il grime era incentrato sull'essere "veri", era una faccenda esistenziale. Non è così? Parlava della strada, no? Devi tenere presente che quando il grime è arrivato, nel 2004, i So Solid Crew facevano concerti enormi in tutto il Paese. Sparavano ai ragazzini per strada, fuori dai concerti, e alcuni sono morti. Era così dannatamente reale. Tre dei So Solid furono accusati di omicidio.

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Almeno oggi non sparano più nei club, ma era una realtà purtroppo molto diffusa, al tempo.
Le misure di sicurezza erano ridicole; ed era questa era un’attrattiva quasi quanto la musica. Ma questi episodi si sono intensificati troppo, non credi? La gente se ne andava in giro coi coltelli.

Ricordi qualche episodio in particolare?
Sì. Ormai non ero più nell’ambiente garage, ma frequentavo più la scena grime. Mi ricordo un giorno alla Royal Festival Hall che c'era una sorta di forum musicale, c’erano molti ragazzini grime; nel grime c’era molta più competitività che nel garage—si parlava della vita di strada, delle esperienze personali, di chi era il migliore MC. È diventata una cosa solo musicale molto tempo dopo.

Pensi che questi ragazzi fossero arrabbiati—anche nell’ambiente garage—per la loro situazione?
Non penso che fossero tutti arrabbiati così in generale. Il garage era più un momento di divertimento, mentre il grime era più rabbioso, probabilmente. Il grime era più punk. Il garage era più accessibile. Era più questione di ballare e divertirsi, per questo era più accessibile.

Già. Sembra ci siano molti produttori di musica garage al momento che non pensano che il garage dovrebbe essere musica sexy. Cosa ne pensi?
Con la future garage, o comunque ogni tipo di revival, non è che sia sparito ogni lato sexy, ma è stato modificato. L’ambiguità era sexy—non sapere dove la scena sarebbe andata a finire. Ora è di nuovo così, per un certo verso. Ma non c’è niente di male in questo, perché la musica è ancora veramente bella, l’ambiente è sano e mi piace la future garage. Non mi piace molto la grime—non era roba per me. Non posso fare il cazzo di turista—un trentenne che pretende di stare nell’ambiente grime. Però mi piacevano l’energia e l’attitudine.

Tornavi a casa e ti rilassavi mettendo un po’ di Jammer,  prima di andare a letto?
Era davvero fantastico, Jammo. Ci si lavorava davvero bene. Ma penso che la questione della future garage sia che probabilmente è meno sexy a causa del suo lato nostalgico. E la nostalgia non è molto sexy.

Cosa farai, prossimamente?
Stiamo pubblicando il libro nuovo. Penso varrebbe la pena di trarne un film. Penso che ora che è entrata nel circuito "revival", questa cultura sia abbastanza tornata alla ribalta. E anche senza revival, è importante guardare al passato e vedere come si è evoluta la sottocultura. Per esempio, credo non ci sarebbe stato il grime, senza il garage—non ci sarebbe mai stato.