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Musica

John Wiese è tornato

Ma non era sparito, stava solo sperimentando nuovi linguaggi che intrecciano suono e tipografia. Che vuol dire? Ce lo ha spiegato direttamente lui.

Per più di un decennio, John Wiese ha fatto in modo che i suoi ascoltatori non avessero nemmeno il tempo di chiedersi che gli passava per la testa. Tra cut up elettronici frenetici e meticolosi, droni selvaggi, e continue collaborazioni con i migliori musicisti sperimentali in circolazione, Wiese ha fatto uscire tanta di qulla roba che non è mai stato davvero possibile prendersi una pausa per considerare come gli venivano certe idee.

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In effetti, nell'ottobre del 2011 il musicista, grafico e vidoartista ha lanciato 100 Seven Inch Records by John Wiese, una installazione che comprendeva ogni singolo mai uscito a suo nome nel corso di tredici anni. Messi insieme ai suoi album lunghi, gli EP, i side project e la sua matta band di grindcore misto a tutte le cose più abrasive che vi vengono in mente Sissy Spacek, il volume di dischi firmati da lui è davvero incredibile. Wiese ammette che, prima della mostra, aveva saputo di fan entusiasti che erano arrivati a collezionarne novantasei, ma non tutti e cento. Come può esistere un completismo negato persino ai completisti?

La sua frenesia discografica si è allentata di brutto negli ultimi anni, e il prossimo Deviate from Balance è il suo primo full-length dal 2011. È la prima volta che Wiese da agl ascoltatori tempo e modo di analizzare la sua opera: dieci brani tratti da installazioni multimediali e spartiti grafici da lui realizzati, ciascuno dei quali è accuratamente descritto nelle note. Ci sarà anche un libro, pubblicato da Hese Press come complemento al disco, che offrirà uno sguardo a molti di a questi lavori e ai concept che li hanno stimolati.

Ho incontrato Wiese a Berlino, mentre stava lavorando a un progetto video tra una data europea e l'altra.

Noisey: sono passati quattro anni dal tuo ultimo LP, mentre prima eri stato assai prolifico per un sacco di tempo. Come mai questo rallentamento?
John Wiese: Negli ultimi anni ho mi sono state offerte modalità diverse di presentare il mio lavoro. Qualche anno fa ho tenuto una mostra dei primi cento 7" che ho fatto, il che mi sembrava una specie di punto di arrivo: mi sono detto "Ok, di dischi ne ho fatti un po', forse ora posso andare avanti a fare cose come questa." Non è che volessi smettere di fare uscite, anzi, mi piace ancora parecchio, ma era semplicemente ora di provare a rallentare e non ridurre tutto solo a quello.

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Alcuni brani di Deviate from Balance risalgono anche a dieci ani fa. È stato strano, o almeno difficile, scavare così a ritroso nei tuoi archivi?
In realtà, il motivo per cui ho atteso così tanto è stato anche che avevo molto materiale che volevo mettere insieme, ma per cui non riuscivo a trovare la giusta combinazione. Non capivo in che modo potevo mettere i pezzi uno dopo l'altro. Quando ho iniziato a pensare questo LP, metà era praticamente già pronta, la cosa importante non è tanto che il materiale che presenti sia recente, quanto trovare un momento in cui abbia senso presentarlo. È come selezionare alcuni punti di una certa linea temporale di eventi e presentarli insieme in un ordine nuovo. La gente pensa che il tempo debba necessariamente rappresentato linearmente, tipo: "ho fatto questo album, l'ho finito, poi ne ho iniziato un altro". Da A a B a C e così via. La realtà è che potresti mettere queste lettere in qualsiasi sequenza che vorresti per creare il senso che vuoi dare.

E hai imparato qualcosa dal processo di compilazione?
C'è una mole di lavoro più vasta da cui ho attinto. I brani hanno un feeling diverso, suonano diversi, sono registrati in maniere diverse, ma c'è qualcosa che li unisce tutti, e che non si noterebbe se fossero stati registrati tutti la stessa settimana. Rivela molto di più sui sottotesti spontanei di quanto farebbe se fossero state concepite specificamente come un unico album. Molto del mio lavoro che è già uscito contiene suoni simili, ma non molto altro che indichi uno spirito comune. In questo disco ci sono molti brani che sono nati a partire da spartiti grafici o che facevano aprte di installazioni, per cui c'è più enfasi sul processo di realizzazione. Finora non mi ci ero mai soffermato molto, presentavo solo il risultato finale, mentre qui è esposto tutto il progetto. Nel libro, poi, è spiegato tutto il mondo che ci sta intorno.

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In effetti il tuo lavoro mi ha fatto interrogare spesso sul processo, su come realizzi i tuoi pezzi. Te lo chiedono spesso? È per questo motivo che hai fatto uscire libro ed LP come un progetto unico?
Sì, lo fanno. Non credo che gran parte del mio lavoro nasca da procedimenti troppo interessanti. Per un sacco di tempo ho evitato di spiegarli perché pensavo fosse più importante che un pezzo si reggesse sulle sue gambe a prescindere. Ultimamente, però, sono stato coinvolto in talmente tanti progetti in maniere sempre così diverse, che credo il mio modo di lavorare sia cambiato radicalmente in base al progetto, non ce n'è più uno solo. Ad esempio, ora sto lavorando a un set che contiene molti pezzi basati sulla tipografia, che mi appassionava molto da ragazzino. Ai tempi ho progettatodelle famiglie di font. Più avanti, quando ho iniziato a fare il grafico e produrre suoni, ho trovato una correlazione diretta tra la comprensione dei fondamenti della tipografia e la comunicazione tra idee e persone con strumenti fondamentali.

Cosa è più importante, il concept o il risultato?
Stranamente, direi, tendo concettualmente a preoccuparmi più del risultato, anche se non so se la gente lo capisce bene. Nella musica sperimentale, spesso, le gente ragiona secondo dei generi e categorie di bello e brutto, cioé giudicano se un lavoro è efficace in base al fatto che gli è piaciuto o meno. Spesso questo è un punto di vista piuttosto scorretto, accademicamente va considerato di più il gesto che è stato compiuto, non quello che ne è risultato. In termini di soddisfazione del pubblico, invece, capita che la gente rock voglia del rock, è una mentalità che si trova un po' dappertutto.

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Per cui ti aspettavi una reazione diversa?
Una cosa che mi è cpaitata in anni di tour intensivi è stata di trovare molto difficile riuscire a fare una cosa completamente diversa ogni volta, ma ci provavo tantissimo, era una sfida con me stesso. Successivamente, invece, ho deciso di provare a suonare la stessa esatta cosa tutte le volte, cosa di cui ovviamente non ero assolutamente capace. Quello che ho imparato è stato che ogni volta mi trovato a fare dei piccoli mutamenti incrementali, inconsci, come se stessi facendo dellle prove o delle esplorazioni, quindi iniziavo con una roba e a fine tour (dai trenta ai cinquanta live) mi ritrovavo in un luogo completamente diverso e migliore. Era stato talmente graduale ogni volta che non ci sarei mai arrivato se non mi fossi mosso gradualmente a partire da tante e tante iterazioni. È un procedimento molto interessante, fa parte della mia esperienza, e penso faccia bene al lavoro. Per il pubblico, invece, è più semplice apprezzare il risultato. Insomma, forse è interessante ascoltare il procedimento, ma non esserne completamente parte.

E ti è mai capitato di non gradire un processo ma di trovare buono il risultato?
Prima stavo pensando ad alcune registrazioni dei Sissy Spacek. Una volta abbiamo fatto un concerto che ho odiato dall'inizio alla fine: pensavo avessimo suonato malissimo e che l'interazione tra noi fosse orrenda, pensavo che sia l'idea che la performance che il risultato fossero pessime. Quando però ho ascoltato la registrazione anni dopo ho pensato "Cacchio, mi piace". Non avevo trovato niente che funzionasse nel lavoro, ma quando ho ascoltato il risultato mi è piaciuto. È una strana equazione, priva di senso, ma mi ci è vluto di astrarmi tanto dall'esperienza della realizzazione che si è trasformata completamente.

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Esiste un'intera tradizione musicale lontana da quella che chiamaiamo "notazione standard", ma tu come sei arrivato a capire che si potevano usare altri linguaggi musicali?
Non ho un'educazione musicale formale. Non ho studiato musica e non credo ci sia stato un momento in cui l'ho capito, né ho studiato il modo in cui altri ci sono arrivati. I miei risultati vengono solo dal mio percorso, da interessi che posso sovrapporre e intersecare, come il design e la tipografia. Come ho detto, prima di studiare mi facevo già i miei font. Quando studi graphic design impari i bilanciamenti necessari, le interazioni che le forme delle lettere sviluppano all'interno di un sistema. La tipografia è piena di regole e sistemi e discrepanze ben accordate, esserne attirato e studiarle mi ha dato di più di qualsiasi educazione musicale e nozione sulle diverse notazioni.

Nell'album ci sono due versioni di "Segmenting Process" con tanto di spartito.?
Ho preso i nomi dei musicisti e trasformato le lettere in elementi astratti di un font che poi le ho messe su una timeline. Le forme delle lettere —curve e altri aspetti formali—determinavano gli aspetti temporali dell'esecuzione. Nel libro ci sono tutte, cioé circa venti sovrapposte. Sono di colori diversi, così si può distinguerle e avere allo stesso tempo un'idea della composizione finale.

Quanto ci vuole a speigare un sistema del genere ai musicisti?
Di solito si fanno un certo numero di prove, e c'è una lunga discussione su come approcciare la composoizione e come dovrebbe essere. C'è sempre una certa libertà di azione per i musicisti, credo che il mio ruolo di compositore consista soprattutto nel dare na struttura e dei limiti a quello che loro fanno. Come musicisiti, invece, loro fanno quello che riescono a fare. Certo, poi capita sempre che durante le prove tutti inizino a suonarsi sopra, che è la prima cosa che cerco di evitare, gli dico "Smettetela di suonarvi contro, smettetela di coprirvi coi droni, smettetela di produrre suoni costanti". Specialmente i musicisti elettronici hanno la tendenza a non lasciare respiro, devono impegnarsi a non suonare, più che a produrre suoni. Gran parte del lavoro sta nel lasciare che i suoni conversino tramite le pause, cose che sono in genere molto aliene alla musica elettronica, semplicemente perché non è basata su un gruppo di strumenti.

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Questo cosa provoca?
Che tutti facciano droni infiniti senza fermarsi mai, e poiché non si verma nessuno allora uno prova a salire di volume per sovrastare gli altri e si genera una competizione, per cui l'unica parte interessante diventa il finale, quando alcuni strumenti si sono fermati e ne senti altri che prima non riuscivi a sentire. Quello che io cerco di fare è costruire spartiti che dicano alla gente quando deve stare ferma, una specie di attituidine anti-drone, in qualche modo. Diventa un'onda costante di individui che danno il loro contributo e poi si fermanio, e li senti tutti.

John Wiese

Uno spartito grafico di John Wiese

Ora stai lavorando a un progetto video tra un live e l'altro. Cosa ti attrae di questi mondi differenti?
Quello che mi piace del video è la possibilità di presentare brani compiuti o semi-compiuti in un modo molto più semplice per il del solo audio, ognin altro modo è un po' complicato. Mi piace registrare musica ma la gente verrà sempre più volentieri a vedere un video che a sentire un pezzo pre-registrato, non live.

Ma di tutti questi elementi, dal video al testo, ce n'è uno più importante degli altri, per te?
Forse è perché sono soprattutto un designer, ma credo che siano tutti pezzi di un unico lavoro: posso far eun installazione e poi un disco che è la parte audio di quella installazione, poi un libro che la spiega… Perfino il poster pubblicitario dell'installazione è altrettanto importante, per cui sono difficili da differenziare.