FYI.

This story is over 5 years old.

Musica

Ho preso la mescalina e sono andato a sentire Dam-Funk ed Erykah Badu

La difficoltà, più che altro, è stata evitare di cagarmi addosso. Gran concerto però.

Tempo fa incontrai sul bus un tossico molto saggio che mi disse: “Non sei tu che ti fai di mescalina…È la mescalina a farsi di te.” Non ho mai dimenticato questa immortale perla di saggezza e nemmeno l’immagine di lui che sfoderava il pene per urinare nel bel mezzo dell’affollato mezzo pubblico diretto in centro città. Ciò detto, in che modo un rapper semi-sconosciuto di LA, eremita per sua stessa scelta, può celebrare l'arrivo di un nuovo album e di un nuovo anno di vita su questo miserabile pianeta? Perché non ingerire una dose di mescalina abbastanza potente da neutralizzare un intero villaggio sudamericano e sciogliere il suo cervello in una pozzanghera di sorbetto color arcobaleno al live di Erykah Badu e Dam Funk in un posto chiamato Mayan Theatre? Ciò che segue è la cronaca dei miei pensieri sulla serata, in forma di stream-of-unconsciousness.

Pubblicità

Oddio non sono neanche le 10:00 e le mie budella già gorgheggiano come torbide acque di palude. Mi hanno sempre detto che la mescalina può causare nausea e diarrea… Quale splendido regalo di compleanno mi sono fatto! Prevedo che quando la Badu attaccherà “Bag Lady” mi emozionerò così tanto da cacare su tutta la pista da ballo. Non lascerò che accada. Sarò anche in uno stato di disorientamento ed euforia, ma non ci sarà alcuna secrezione di liquidi corporei, a meno che il mio pudding d’amore non esploda più avanti nel corso della serata sulla faccia della ragazza che mi accompagna. Chi sto prendendo in giro? Stanotte non si scopa, sto come una scodella di budino. Le mie ossa si stanno trasformando in porridge. In quelle pappette che danno agli orfani, ai carcerati e ai pazienti delle case di riposo. La nonna mi sa che stanotte crepa.

Questa è la mia prima volta al Mayan Theatre. Fedele al proprio nome, sembra essere uscito da Apocalypto di Mel Gibson—subdolamente razzista, e comunque visivamente stupefacente. L’interno è progettato per rimandare alle rovine di un’antica civiltà mesoamericana e onestamente non fa che aumentare la mia paranoia. Sembra di stare in una partita di Temple Run in questo cazzo di posto, ed è solo questione di tempo prima che qualche coglione pitturato con colori di guerra tribali e perizoma sbuchi fuori dall’ombra per bere il mio sangue. Inizio a farmi prendere dal panico. Chiunque qui è molto più vecchio di me e, giuro su dio, quella ragazza che, da come è vestita, potrebbe benissimo essere un’appassionata di esoterismo e andare in giro a vendere acchiappasogni fatti di materiali riciclati non ha la faccia. Non ha nemmeno senso del ritmo il che è inquietante già di per sé, ma le manca pure la cazzo di faccia.

Non so dire se quel mostro senza faccia sia stato o meno un frammento della mia intossicata immaginazione, ma certo non era l’unico personaggio interessante nell’edificio. Ogni volta che da qualche parte a Los Angeles suonano il funk o la disco puoi star certo che tutti i coglioni convinti che “Ehi, sono ultratrentenne ma sono ancora fico!” appariranno dal nulla. Mamme bohemienne devote allo yoga ricoperte di tatuaggi all’henné. Ragazze bianche coi rasta che girano in bici a scatto fisso e puzzano di negozio biologico. Tizi con le puma ai piedi e le fedora in testa convinti di dover mettersi a ballare la breakdance nel locale perché i genitori non gli hanno mai dato abbastanza retta. Ehi gente, sgombrate la pista e guardatemi, posso ruotare sulla mia fottuta testa e fare il pop lock, GUARDA MA’, L’HIP HOP NON È MORTO!

Un attimo, un attimo… Ma perché la disco ball che pende dal soffitto è così mastodonticamente enorme? Non vedo altro che i prismi di luce ora. I miei occhi sono fissati sui raggi luminosi del neon e tutto quanto diventa un enorme screensaver di Windows 98. I pattern di luce mi chiamano verso di loro. Mi stanno dicendo, “Speaky, ma quanto cazzo sei fatto?!”

Dove sono e perché questa tipa mi sbatte il culo addosso? Santa merda quello è MC Eiht sul palco con Dam-Funk. Stanno facendo un remix del classico di Dam “Hood Pass Intact.” Nella mia mente mi sto muovendo in sincrono con gli schiaffi dei bassi ma sembra che i miei piedi siano incassati nel cemento e io li sto trascinando per il deserto siriano. Dam è una leggenda da queste parti e ha passato la propria vita a farsi il culo in nome del funk. Nel mondo della trap e dell’EDM è un tradizionalista, il paladino di un’eredità sacrosanta. Il suo set consiste di pezzi rari di 45 giri e passaggi del suo nuovo album collaborativo con Snoop…Lion? Delic? Zilla? Be’, come diavolo si fa chiamare adesso. Aspetto che Funk si trasformi in una lowrider e mandi in fibrillazione le sospensioni. Non succede.

Ecco che arriva la Badu. Il mio amico Thundercat è sul palco, basso alla mano. Non dico stronzate: io, lui e Topanga di Crescere, che fatica! siamo amici grazie a una chat di gruppo su iMessage. Roba da starci male. Mentre la Badu si prepara al live, un DJ passa versioni dubstep di “Blue Monday”… Ha pure rovinato un classico di Sister Nancy infarcendolo di ogni sorta di effetto sonoro. Ma come cazzo sta? Penso di aver appena visto un serpente strisciare sulla parete. Badu ora rovista nel suo repertorio digitale. “Window Seat”… ”Oops (Oh My)” di Tweet… ”So Fresh So Clean” degli Outkast.” Ogni volta che passa una sua canzone prende il microfono e inizia a cantare. Il pubblico impazzisce e questa donna cannone vicino a me cerca di scavalcarmi nella speranza di salire sul palco. Perché? Ah, certo, per fare un video di merda col suo telefono Android. Badu porta la ficaggine al livello superiore e suona “Fuck You” di Dr.Dre. Cazzo quanto è bella questa canzone. Tutti i soldi delle cuffie e di Musclemilk hanno rovinato il nostro buon dottore. Attacca il verso di Devin the Dude e io sto palpando un estraneo. Cerco di cantare, ma ho perso la parola. Strillo e mi contorco finché non riesco a mettere insieme una frase di senso compiuto: Voglio…andare…a…casa.