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Musica

I Soft Pink Truth sono qui per rendere gay la musica metal

Profanazione del black metal con suoni da elettronica queer e una cover art piena di metallari che si ingroppano. Sembra un bel disco.

"Why Do The Heathen Rage?" cover art di Mavado Charon

Drew Daniel ha tantissime identità ed è indubbiamente bravo a tenerle assieme tutte. In ordine sparso: Drew è uno dei Matmos (in tutto sono due e fanno electrosperimentalpop), è professore di letteratura inglese all’università ed è autore di un volume imprescindibile dedicato ai Throbbing Gristle. Insomma, l’unica cosa che mancava a Drew Daniel era una svolta black metal. Svolta che arriva, tra l’altro, dopo un’altra cosa bella strana. E cioè il disco Do You Want New Wave or Do You Want the Soft Pink Truth?, che altro non è se non il disco in cui Drew Daniel e i suoi Soft Pink Truth rileggono in chiave electrohouse e minimal alcuni dei grandi classici del punk e dell’hardcore degli anni Ottanta e Novanta. Bene, dopo tutto questo Drew decide di passare al black metal e lo fa con un album che si chiamerà Why Do The Heathen Rage?

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Questo nuovo progetto ha imposto a Drew una preparazione rigorosissima, a base di tutti i classiconi del genere: Venom, Beherit, Sarcófago, Sargeist, Darkthrone, An, Mayhem, Hellhammer, e chiaeramente gli Impaled Northern Moonforest. Al resto ci ha pensato la pazzia totale di Daniel e una bella cassa martellante accompagnata da un basso house potentissimo. Detto ciò, rimane un dubbio: chissà cosa penseranno i bulletti del black metal quando sentiranno la versione leccata e da dancefloor di “Satanic Black Devotion”. È come se gli Sargeist (vi basterà guardarli in foto per capire quanto fanno tenerezza) avessero iniziato a fare pezzi con la 808 e i synth glitterati alla Snap!

Questa sembra essere la logica che ha guidato Daniel nella produzione di Heathen. In parallelo c'è il piano teorico paradossale (e per questo super interessante) di chi per lavoro studia le ondate di violenza e di omofobia che hanno attraversato la storia e, al contempo, non vede l’ora di coverizzare qualche pezzo dei suoi gruppi black metal preferiti. I pazzi che lo accompagnano sono tantisssimi: Antony,Jen Wasner dei Wye Oak, Terrence Hannum dei Locrian, il suo compare nei Matmos M.C. Schmidt, Owen Gaertner degli Horse Lord. Bene, assieme a tutte queste persone Daniel ha preso il nero più nero del nero del metal blackkissimo e ne ha fatto una roba ass shakin’ ma non troppo perché ci sono anche tantissimi synth e di un sacco di altre cose messe assieme. ROAR. Vi basterà sapere che il sottotitolo del disco è: “Electronic Profanations Of Black Metal Classics”, sembra già abbastanza eloquente.

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Abbiamo contattato Drew Daniel mentre era in tour con i Matmos per chiarirci un po’ idee sui suoi riferimenti black metal, sul corpsepaint e sul progetto artistico di Why Do The Heathen Rage?

Noisey: La cover art di Why Do The Heathen Rage? è dell’artista Mavado Charon, ce ne parli un po'? Charon ha seguito indicazioni che tu gli avevi dato o è tutto frutto di una sua elaborazione del disco? Come avete lavorato assieme? Avete cercato di inserire messaggi subliminali? O messaggi indirizzati ai duri e puri del black metal? Cosa rappresenta per te questa immagine?
Drew Daniel: cercavo qualcosa di offensivo. Qualcosa di duro, che colpisse un immaginario purista del black metal (anche se è molto probabile che l'“ascoltatore modello” a cui mi riferisco in realtà non esista). Conoscevo già l’opera di Mavado e ne ero un grande fan, così, quando si trattò di preparare l’artwork per il disco, pensai subito a lui. Gli chiesi se avesse voglia di disegnare per noi una scena corale e orgiastica (ovviamente omo), in cui una serie di tipi vestiti da vichinghi del balck metal si scopano e si ammazzano tra di loro. Sullo sfondo si vedono sex toys in versione black metal e un sacco di sborra. Mavado fu subito d’accordo e quel che ne uscì fu un vero capolavoro. Non so perché, ma ogni volta che guardo questa illustrazione di Charon, penso alla serie “Dov’è Wally”. È come se ne avesse fatto una versione queer-hardcore. Ci sono tantissimi dettagli ed è una figata perdercisi, guardare di qua e di là, come in un viaggio divertentissimo e spaventoso allo stesso tempo (cosa che, del resto, rispecchia un po’ l’idea alla base del disco). Il logo in versione black metal dei Soft Pink Truth, invece, l’ho disegnato io. Ci ha pensato poi Rex Ray a piazzarlo sotto il disegno di Mavado, colorandolo di rosa metallico, come se fosse una specie di lago di sangue rosa o che cazzo ne so. Dovresti vedere il vinile per renderti conto dell’effetto che fa. È una cosa pazzesca.

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Il significato del disegno? Credo che sia una specie di rappresentazione di quel che succede nell’Es. È la voce della natura che sta parlando qui e che si muove entro i confini uno spazio violentissimo, uno spazio in cui morte e desiderio si mescolano incessantemente. In questo spazio, in questa narrazione, le nozioni di salute, vita, sopravvivenza, smettono di essere valide. L’illustrazione di Mavado apre uno spazio preriflessivo, non tetico e senza morale. È tutto molto semplice: qui la morale non c’è perché qui ogni cosa è prima della morale. Questo è il terreno dove la negatività, la rabbia, l’odio che sono cantati nei testi black metal possono trovare il loro pieno compimento. Con Heathen e con la copertina del disco ho voluto creare un punto di confronto tra un ipotetico fan del black metal e la rappresentazione (anche se è disegnata, funziona lo stesso) dei grandi temi che popolano l’immaginario black: la fine del mondo, la distruzione e la sodomia, per citare il titolo di un EP che i Black Witch e gli Arch-Goat hanno prodotto assieme.

Parliamo adesso di Why Do The Heathen Rage? Sono passati dieci anni da Do You Want New Wave or Do You Want the Soft Pink Truth? A cosa ti sono serviti dieci anni?
In questi dieci anni ho finito il mio dottorato a Berkeley e mi sono trasferito da San Francisco a Baltimora, dove mi occupo di Shakespeare alla John Hopkins University. E poi sono stato impegnato con i Matmos. Ah, ho scritto anche due libri (uno sui Throbbing Gristle e l’altro sulla malinconia nel Rinascimento). Nel frattempo avevo preparato anche un nuovo disco per gli SPT, ma mi hanno rubato i computer su cui l’avevo salvato. Putroppo di quel lavoro rimane solo qualche demo e un po' di appunti. Insomma, in questi dieci anni non mi sono mancate le cose da fare.

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Foto di M.C. Schmidt

Heathen è la prima incursione degli SPT nel black metal. Come mai hai deciso di buttarti su questo genere? È successo qualcosa in particolare che ti ha spinto in questa direzione?
Tutto è nato una sera a caso. Ero a Brooklyn e stavo facendo un DJ set per una festa a che si chiamava Rainbow in The Dark, quando decisi di mettere su una traccia dei Darkthrone. Ecco, in quell’occasione mi resi conto che il testo di quel pezzo aveva un sacco di cose in comune con alcuni leitmotiv della musica house e in particolare con il pezzo di Adonis “No Way Back.” Quell’episodio racconta bene la mia idea e il mio approccio. All’inizio volevo chiamare il disco “Fenriz Has a Guidance Tatoo” perché, in effetti, Fenriz, il leader dei Darkthrone ha un tattoo con il logo dell’etichetta Guidance. Cazzo, queste coincidenze mi fanno impazzire. È una figata, da tantissimi punti di vista. Pensa per esempio a tutti i rapporti tra un approccio minimal e le ritmiche incessanti del black metal. È come se il metal e la musica da club fossero sempre stati in contatto l’uno con l’altra. Si potrebbe pensare, anzi, che siano due correnti gemelle. Bisognava solo far sì che il collegamento fosse visibile a tutti.

Torniamo per un momento alla tua giovinezza. Come hai scoperto il black metal? Quanti anni avevi? Che sensazioni ti dava?
Negli anni Ottanta io ascoltavo praticamente solo hardcore e come tutti a quell’epoca sapevo perfettamente che i punti di contatto tra il metal e il punk hardcore erano più d’uno: Cro-Mags, Corrosion of Conformity, Cryptic Slaughter (questo, prima che arrivasse il metalcore e che spazzasse via tutto). Mentre ero al college, ogni tanto facevo qualche DJ Set al KALX di Berkeley. Fu allora che iniziai a suonare un po’ di black metal–iniziai con i Venom, poi passai alle band norvegesi. In quel periodo cominciai anche a frequentare un po’ la scena: andai al concerto dei Mayhem e degli Enslaved al Lucifer’s Hammer. Questi concerti furono decisivi per consolidare la mia passione per il black metal. La prima volta che ho sentito Burzum, invece, fu qualche anno dopo, quando gli Amber Asylum, che erano la band della mia cara amica Kris Force, firmarono per la sua etichetta, la Misanthropy. Fu proprio Kris che mi prestò una copia di Filosofem. Mi colpirono subito i ritmi folli di quella musica. Avvertivo in quei suoni un’energia dirompente. Un’energia paradossale, perché freddissima eppure ipnotica e coinvolgente. Potrebbe sembrare presuntuoso dirlo, ma credo che il black metal mostri efficacemente che la stasi e la velocità (o, per entrare nel lessico filosofico, il binomio tra essere e divenire) possano in certi casi finire per coincidere.

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Nonostante tu sia gay e nonostante il mondo del metal sia talvolta dichiaratamente omofobo e violento, tu continui a essere un fan di quella musica. Ci puoi raccontare qualche episodio cui tu o qualche tuo amico avete assistito?
Da parte mia, credo di aver avuto molti più problemi ai concerti hardcore che a quelli black metal. Mi ricordo che una volta, durante un concerto straight ege, dei tizi mi hanno sbattuto contro il muro dandomi del frocio. Con il metal non mi è mai successo nulla di simile. Anche se è vero che di solito non mi metto a pomiciare ai concerti black (o almeno, finora non l’ho mai fatto). Una volta sono andato anche con alcuni amici gay al Maryland Death Fest, ma in quei contesti è sempre bene essere discreti. Sai, tra quella gente capita spesso che ci siano un sacco di cripto-gay. Detto ciò, quest’anno al Maryland Death Fest ho visto tra il pubblico, durante il concerto dei Gorguts, un tipo che si rifaceva chiaramente all’universo trans/genderqueer e questa cosa mi ha fatto molto piacere. Come succede per ogni rivendicazione in materia di diritti civili, il primo passo dev’essere fatto dalla minoranza in questione. Sta a questo o quel gruppo, prima di tutto, rivendicare la propria legittimità. Non è facile, anzi, ci vuole un sacco di coraggio. Per questo ho massimo rispetto per Gaahl.

Come si vede nelle bellissime foto che accompagnano l’uscita del disco, tu stesso ti sei dedicato al corpsepaint. Si tratta di un omaggio o di una semplice presa per il culo?
Adoro l’artificialità e la natura queer del corpsepaint e adoro vedere questi tipi che, senza esserne consapevoli o senza volerlo ammettere, truccandosi non fanno che giocare con i confini della sessualità, o avvicinarsi sempre di più all’universo drag e trans. Questo però è l’unico aspetto degno di interesse del corpsepaint, tutto il resto mi sembrano stronzate. Un ruolo eminente lo gioca invece la componente razziale, che viene evocata ogni volta che ci si tinge il volto di bianco. Insomma, questo bianco che copre un volto che già di suo dovrebbe essere bianco che cos’è se non una dichiarazione di insufficienza di fronte alle presunte origini vichinghe rivendicate da moltissimi gruppi black metal? Quindi, per rispondere alla tua domanda: entrambi gli aspetti sono presenti, l’omaggio e la presa per il culo. Comunque su questi temi ho scritto un breve saggio, si intitola “Corpsepaint as Necro-Minstrelsy.”

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Foto di M.C. Schmidt

In giro ci sono un bel po’ di fanatici del black metal disposti a prendere super seriamente tutte queste cose. Hai già ricevuto qualche reazione anteriore all’uscita di Heathen?
Non ancora, aspetto che il disco esca. Non sono molto preoccupato dalle critiche, credo che me la caverò convincendomi del fatto che chi mi attacca in fondo è gente che mi vuole scopare. Mi basta pensare a quella volta che hanno bucato le gomme del pullman dei Liturgy a causa della loro presunta “falsità” per immaginare come possa essere accolto il mio disco. Per tutta risposta, io mi limito a dire: venite a rompere i coglioni a me, venite a parlarmi, discutiamone. Ma non prendetevela con le ruote del mio bus, magari proprio quando siamo voltati dall’altra parte. Questa roba è da codardi, cazzo.

Come difenderesti il tuo disco di fronte ai più scettici o davanti a chi ti accusa di mancare di rispetto al black metal?
Il nucleo teorico del mio progetto non si fonda sulla “mancanza di rispetto”, ma sulla profanazione. La sacralità dell’oggetto da profanare, infatti, è qualcosa di indispensabile perché ci sia profanazione. Non si può farne a meno. Proprio perché la profanazione rappresenta il capovolgimento della sacralità stessa, si tratta di qualcosa che il black metal davvero satanico conosce, quindi non dovrebbe avere problemi a subirla. Inoltre, il mio modo di cantare in questo disco non è solo una presa per il culo degli stilemi black, è qualcosa di più. È un’espressione sincera delle idee e delle posizioni che vengono trasmesse nei testi delle canzoni. Io adoro tutti i pezzi che canto nel disco. Quello che ho cercato di fare è semplicemente renderli accessibili a più persone, aumentare la portata poetica. Questa non è mancanza di rispetto.

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Hai qualche rapporto di amicizia, conoscenza o contatto con qualcuna delle band che hai coverizzato in Heathen? Se sì, hai avuto qualche feedback?
Alcuni degli autori dei pezzi che ho suonato nel disco sono già morti, altri invece son vivi e vegeti. In entrambi i casi, non ho alcun rapporto personale con i musicisti in questione. L’intento del disco non era quello di adularli o di cercare di ingraziarmeli. Loro sono perfettamente liberi di disprezzare quel che ho fatto alla loro musica. Il massimo che posso fare è esprimere sinceramente la mia gratitudine per la loro opera, per ogni singola nota e per tutti i loro testi. Queste canzoni sono veri capolavori e, nella misura in cui critico la scena black metal, non faccio altro che celebrare tutto ciò che di quella musica mi ha ispirato di più.

Con i Soft Pink Truth hai fatto un album di cover punk e hardcore. Adesso tocca al black metal. Come hai fatto a far sì che questo progetto non finisse per diventare una trovata situazionista e nonsense, una parodia? A cosa toccherà dopo il black metal? Una reinterpretazione del grunge anni Novanta?
Mi stai dicendo forse che ti sembro una specie di Weird Al Yankovic, satanico e queer? Nei miei sogni da frocetto, sì. Per quel che riguarda la musica demenziale, sono convinto che questo termine sia una specie di concetto disciplinante, un apparato poliziesco che sorveglia i confini della cosiddetta “vera musica”. Non ho paura finire dentro quella categoria, perché lì c’è gente che ha fatto cose incredibili (tipo Spike Jones, o Jud Jud, o Tater Totz o Thai Elephant Orchestra o Anton Maiden e si potrebbe andare avanti così all’infinito). Non saprei dirti cosa ne sarà del prossimo disco di cover, ma sento che sarà psichedelico e che useremo tantissimi campionamenti e cut-up.

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Foto di M.C. Schmidt

Hai in programma di andare in tour con i SPT e di portare in scaletta solo brani estratti da Heathen?
Sì, senza dubbio.

Dove hai intenzione di suonare? Nei club o nei festival metal?
Suonerò dove mi chiameranno a suonare. Per ora ho portato i miei pezzi a un festival noise del West Virginia, che si chiama Voices of the Valley e anche in un club gay di Londra (il Vogue Fabrics) dove si solito fanno più che altro R&B. Devo dire che mi sono divertito in entrambi i casi perché la mia musica finisce sempre per sembrare del tutto inadatta al posto in cui mi trovo a suonare. È una sensazione spettacolare, che adoro. Poi c’è sempre qualcuno che si prende bene, che poga, che suda e che si diverte. Altri stanno lì e cercano di capire che cosa sta succedendo.

Quante probabilità ci sono che i fan tradizionali del black metal (che in effetti non si vedono spesso ballare) si sciolgano un po’ e inizino a muovere il culo?
Non ci scommetterei, ma ho visto dei ragazzi con la maglietta dei Revenge al mio concerto di Londra che muovevano la testa. Questo episodio mi fa pensare che tutto sia possibile.

Prova a immaginare se uno dei tuoi idoli avesse deciso di partecipare al tuo progetto. Che cosa avrebbe significato per te?
Credo che una collaborazione del genere avrebbe cambiato completamente il senso del mio progetto. Io adoro il lavoro di Fenriz, per esempio, e mi sarebbe piaciuto un sacco fare un album di musica elettronica con lui. Il progetto che ha portato a Heathen, però, è qualcosa di diverso: questo disco si contraddistingue per la sua componente queer e critica. Avere l’approvazione di qualcuno per compiere una profanazione del black metal avrebbe compromesso inesorabilmente il senso del mio progetto.

Come hai deciso quali cover dovessero finire su Heathen?
È stato più o meno come giocare a Jenga: metti, togli, rimetti, speri che la costruzione non cada. Ho iniziato partendo da Beherit e Darkthrone, le idee, poi, sono cresciute come funghi. Per molto tempo ho pensato che ci avrei infilato anche Burzum, ma ho dovuto rinunciare per ragioni politiche. L’unico motivo per cui ho dovuto mettere fine a questa lista è che tutti quei pezzi dovevano stare su un unico disco. Anche lo stile delle cover è cambiato moltissimo da una registrazione all’altra. Per esempio, c’è una versione diversissima di “Let There Be Ebola First” che continua a piacermi, ma che ho scartato perché l’altra, quella con Jenn, era più pop e quindi più provocatoria. Col passare del tempo è emersa una specie di tracklist cronologica, che alternava i pezzi delle band storiche del black metal con le leve più giovani. La scaletta finale, l’ho stabilita anche a seconda dei temi che volevo coprire. Avevo bisogno di materiale che andasse dalla sodomia al sesso, all’assassinio, ai disastri ecologici, ai bar gay. E poi, va be’ certo, a satana.

Come hai scelto i tuoi collaboratori per Heathen? Nel disco, suona con te gente come Antony, Jenn Wasner, Terence Hannum (Locrian), il tuo collega nei Matmos, M. C. Schmidt e Owen Gaertner (Horse Lords). Hai scelto solo gente che fosse fan del black metal, o hai attinto un po’ ovunque?
Owen è un fottutissimo genio della musica e si è occupato della trascrizione di tutti i riff. Prova a sentirti la sua band, gli Horse Lords. Cazzo, loro fanno delle cose incredibili con il loro sound funky complicatissimo. Lui sì, lui è preso bene con il black metal e ha capito benissimo lo spirito del mio progetto. Anche Terence è un caso a parte, perché lui suona nei Locrian e quindi conosce molto bene il mondo e le sonorità black metal. In un paio di brani il suo aiuto è stato indispensabile. Eccezione fatta per Terence e Owen, gli altri li ho selezionati per la loro estraneità al black metal. Cercavo qualcuno che mi aiutasse a fare dei brani originali, volevo che ne uscisse qualcosa di assolutamente diverso e volevo farlo per mezzo di voci che non fossero associabili a quel genere. Per esempio, la voce profondissima di Jenn ha trasformato radicalmente il pezzo dei Sarcófago. La sua presenza, inoltre, ha alterato ogni equilibrio di genere e incide in maniera significativa sull’armonia del brano. Con la collaborazione di Jenn, è come se le cose avessero cambiato verso tutto d’un tratto. Ci stavo proprio pensando ora: è molto comodo avere degli amici pieni di talento. Ci pensavo perché mi è venuto in mente M. C. Schmidt e la potenza della sua voce, roca, erosa da anni e anni di sigarette. Quando canta il verso dei Mayhem “I’ve been old since the birth of time”, questa frase risulta perfettamente credibile. Va be’, io sarò certamente parziale nel dare il mio giudizio perché M. C. Schmidt è il mio ragazzo, ma guardate che quel pezzo l’ha cantato davvero da dio.

Ultima domanda. Diresti che Heathen rappresenta per te un “vaffanculo” liberatorio contro l’omofobia e la violenza che esistono nel black metal?
Con questo disco, mi sento di dire: “Ricordatevi di Magne Andreassen”. I gay nel black metal sono imprescindibili. Quella cultura è intimamente legata al mondo queer: il queer è nella sua natura, scorre nel suo sangue. E questo non può che aiutare a resistere contro la violenza e l’omofobia.