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Il Tribunale di Torino ha dato un altro colpo ai rider Foodora 'licenziati'

"Sono lavoratori autonomi, non dipendenti," ha deciso il Tribunale di Torino sul ricorso di sei rider.
Foto via Wikimedia Commons/Tiia Monto (CC BY-SA 3.0).

Ieri il Tribunale di Torino ha respinto il ricorso dei sei rider contro Foodora, i quali lamentavano un'"interruzione" del rapporto di lavoro con l'azienda in seguito alla loro partecipazione alle proteste dell’autunno 2016 contro il passaggio dalla paga oraria al cottimo.

I sei rider contestavano l'interruzione come un licenziamento, perché, secondo le parole del loro legale Giulia Druetta, quello con Foodora era un “vero e proprio rapporto di lavoro subordinato, nonostante fossero inquadrati come collaboratori autonomi.” Secondo Druetta, infatti, ogni movimento dei fattorini veniva tracciato tramite l’app aziendale installata sui loro smartphone, “come avessero un braccialetto elettronico,” con la conseguenza che fossero “totalmente assoggettati al potere del datore di lavoro, con un controllo totale sugli orari che potevano essere modificati anche senza alcun preavviso.”

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Nei fascicoli portati in aula dai ricorrenti sono presenti 11mila pagine di conversazioni Whatsapp tra rider e azienda: in una, un fattorino si lamenta di avere male alle gambe, ma gli viene impedito di tornare a casa prima della fine del turno. Stando alla replica di Foodora, tuttavia, “non ci risulta alcuna chat in cui viene impedito di tornare a casa a un rider perché si lamentava di avere male alle gambe.”

I sei lavoratori chiedevano quindi il reintegro o una nuova assunzione da parte dell’azienda, un risarcimento di 20mila euro ciascuno, più uno di 100 euro a giornata lavorativa per la mancanza di coperture antinfortunistiche da parte di Foodora—che non si impegnava a risarcire i rider per eventuali incidenti accaduti durante l’orario di lavoro—e il versamento dei contributi previdenziali non goduti.

Al processo, i legali dell’azienda hanno tuttavia ribattuto cheFoodora non violava la privacy dei suoi rider, dato che “l'applicazione utilizzata sullo smartphone poteva accedere, attraverso il gps, soltanto al dato sulla geolocalizzazione, istantaneo e non memorizzato,” e che non si può parlare di rapporto di lavoro subordinato dato che “i rider accedono alla piattaforma dei turni e decidono quando e in che misura dare la loro disponibilità. Non c'è scritto da nessuna parte che il rider debba offrire una disponibilità minima."

Con la sentenza di ieri, il Tribunale del Lavoro di Torino ha fatto cadere interamente il ricorso. Secondo la sentenza, quello tra i rider e Foodora non è considerabile come un rapporto di lavoro subordinato, ma una collaborazione di lavoratori autonomi con l’azienda.

A tale proposito, Foodora ribadisce che “i rider che collaborano con foodora hanno un contratto di collaborazione coordinata e continuativa che, a differenze di collaborazioni in ritenuta d’acconto o con partita IVA, prevede importanti tutele come i contributi Inps e l’assicurazione Inail in caso di infortuni sul lavoro, oltre ad una polizza assicurativa in caso di danni contro terzi che la società tiene a suo carico.”

Foodora, precisa ulteriormente l’azienda, “ricorda sempre a tutti i rider la necessità di osservare le regole del codice della strada e adotta tutte le misure di sicurezza necessarie a tutelare la sicurezza dei suoi collaboratori, fornendo loro gli strumenti di protezione individuale e le informazioni in merito ai rischi specifici connessi con l’attività.”

I legali dell’azienda si sono dichiarati molto soddisfatti della pronuncia del Tribunale. Gli avvocati dei rider hanno invece affermato che “chiaramente non finisce qui.” La preoccupazione dei legali dei fattorini è più ampia della causa singola: “se questo sistema di lavoro è stato ritenuto legittimo, si espanderà,” e anche per questo ricorreranno in appello: “A volte non basta aver ragione, c’è bisogno che qualcuno te la riconosca. Non è avvenuto e ciò vuol dire che non è stata fatta giustizia. Questo, purtroppo, è il nostro Paese.”

Aggiornamento del 23 aprile 2018: una versione precedente di questo articolo conteneva alcune imprecisioni relative al pronunciamento del tribunale.