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Abbiamo perso una battaglia, ma vinceremo la guerra

Interviste agli ultimi manifestanti rimasti a Gezi Park, prima del probabile sgombero finale.

Dopo aver annunciato che avrebbe sgomberato la piazza la mattina del 10 alle prime ore, la polizia non si è presentata a Taksim/Gezi, se non fino a ieri mattina alle sei. A differenza dei primi scontri, c'è stata una tale copertura da parte dei media nazionali che alcuni hanno ipotizzato che fossero stati addirittura avvisati dal governo (Habertürk, primo canale, si è presentato in piazza alle cinque).

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Siamo stati a Taksim ieri mattina, siamo stati gassati e respinti dopo che solo una bottiglia di acqua è stata lanciata sulla polizia, che allora era circondata da un cordone di manifestanti. Abbiamo provato nuovamente a recarci in piazza più tardi nella notte e siamo stati respinti dai toma, camion blindati con annesso idrante, usati per disperdere la folla, che producono getti ad altissima pressione, spesso capaci di fratturare ossa all'impatto, anche a metri di distanza. In tutta la città si respirava e si respira tutt'ora un'aria pregna di lacrimogeni e tensione. Non c'è più la stessa partecipazione delle prime giornate: molti sono stanchi e indeboliti dallo scontro con forze parecchio più potenti di loro.

Ci siamo recati nuovamente a Taksim questo pomeriggio per capire meglio cosa è successo ieri sera, e cercare di capire cosa succederà stanotte.

Tatlihan, 24 anni, studentessa di biologia

VICE: Da quanto sei qui? 

Tatlihan: Da quando le proteste sono iniziate, il 29 maggio. Ieri notte ho dormito qui. Ve lo dico subito: abbiamo perso la battaglia, ma vinceremo la guerra. I poliziotti sono entrati, ero qui, li ho visti. Sono andata all'hotel Divan [albergo sul lato nord di Taksim usato dai manifestanti, come molti altri alberghi sulla piazza, per rifugiarsi. La polizia ha il divieto assoluto di entrare in edifici privati senza mandato] per rifugiarmi, perché a un certo punto era diventato tutto troppo. Poi sono tornata qui all'alba, hanno chiuso il Divan al pubblico per le pulizie e i poliziotti se ne erano andati.

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Io voglio che la gente sappia per cosa stiamo lottando. Sono arrivata qui a Gezi solo il terzo giorno, ma ero alle barricate sin dal primo. Là non c'era niente da fare con la lotta—le barricate sono solo una protezione psicologica, per noi importantissima: bastano tre lacrimogeni, quattro poliziotti e una ruspa e in due secondi rimuovono qualunque cosa.

Cosa è successo stanotte? 

Ieri mattina ero a casa a riposare, abito qua dietro. Sono arrivata verso le quattro o le cinque del pomeriggio, per portare delle maschere antigas all'ospedale allestito accanto al Divan. Il problema vero è che dall'inizio della protesta il parco pullula di polizia in borghese che cerca di sabotare qualunque azione di aiuto noi cerchiamo di organizzare che non includa del cibo.

Se ti guardi intorno li vedi subito: sono omacci quarantenni col baffo. Non fanno un cazzo, ti guardano e basta. Sono viscidi, li odio in quanto poliziotti ma non riesco a odiarli perché so che sono uomini, esattamente come me e voi.

Tornando a quello che è successo precisamente: ieri dei provocatori assoldati dalla polizia hanno cominciato a tirare ai poliziotti delle molotov. C'è un facilissimo modo di scoprire chi è pagato o sostenuto dal governo: i toma indirizzano i getti degli idranti ai loro piedi e mai alle loro facce. Questo aiuta i media governativi a costruire la loro tesi di "violenti e marginali al parco".

L'ospedaletto allestito accanto al Divan

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Capisco. E poi cos'è successo?

Avanzavamo e indietreggiavamo. Alle otto e mezza di sera hanno cominciato a lanciare lacrimogeni nel parco, e noi non potevamo fare nulla. Cercavamo di tenere a bada gli animi dei più irascibili. Alcuni hanno negoziato con la polizia per l'apertura delle barricate, ma io  questi non ho idea di chi siano, mi sembra tutta una gran montatura per giustificare la rimozione delle barricate.

Verso le 11 la situazione era molto deteriorata. Io sono volontaria all'ospedale e alla cucina accanto al Divan, portavamo avanti e indietro i feriti e hanno cominciato a tirare lacrimogeni e spruzzare spray al peperoncino dentro alla tenda.

Quando è iniziata la pioggia di gas, gli autobus che avevamo messo di traverso a Taksim sono stati rimossi, e quindi la polizia è potuta entrare con i cingolati e non solo più a piedi. Hanno usato i toma anche qui, nella parte orientale del parco. A quel punto sono entrati dalla scalinata su Taksim, e là è stato un vero inferno. Molta gente se ne è andata perché tutti hanno un limite, non siamo militari. Le uniche eccezioni sono i cadetti delle scuole militari che qualche giorno fa hanno saccheggiato una stazione di polizia, e ora li vedi circolare con caschi e mantelle da poliziotti. Sono gli unici ad avere delle vere e proprie maschere antigas.

Dicevo, sono entrati al parco verso le due del mattino. Volevano sgomberare tutti e farci rimanere in 100-200 per arrestarci, menarci e stuprarci in caserma. In più persone rimaniamo nel parco, meno intensamente ci attaccheranno, e viceversa.

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Sono corsa in ospedale, e di nuovo hanno iniziato a lanciare moltissime bombe. Mi sono rifugiata in albergo, ci hanno cacciati e la polizia era magicamente andata via.

Cosa succederà stanotte? 

Attaccheranno di nuovo. Il fatto è che ieri hanno attaccato solo da Taksim, è stata strategia frontale. Stanotte attaccheranno anche dalla parte del Divan, e sarà un massacro. È una tattica a sandwich. Spero solo che i dissidenti di Gazi [quartiere di organizzazioni antigovernative] ci diano una mano. So che la violenza genererà altra violenza, ma io da qui non vado via.

Grazie. 

Grazie a voi. Il mondo deve sapere, e voi ci aiutate, dobbiamo far capire a tutti che Erdogan è il nuovo Hitler d'Europa.

Una famiglia che ha passato la notte nel parco 

VICE: Siete stati qui stanotte? 

Madre: Sì. È stato un vero e proprio inferno, una pioggia di bombe a gas. Il governo verrà qui, se non entro domani, entro lunedì: Erdogan ha organizzato un convegno dell'AKP proprio qua davanti, dopo l'inizio degli scontri, per mostrare al mondo e alla Turchia che è ancora indefesso. Ieri notte ci siamo rifugiati al Divan: dalle otto e mezza in poi la situazione è stata insostenibile, io mi sono ferita alla caviglia, lui si è ferito allo stinco. C'era un continuo viavai di feriti e ambulanze. So che a un certo punto hanno sigillato tutti gli accessi in entrata a Taksim.

Erdogan si sente un sultano. Non è Atatürk, nonostante dica di esserne l'unico vero erede politico e culturale. [La polizia ha issato due drappi turchi e un'immagine di Atatürk sul tetto dell'AKM, il centro culturale dismesso a Taksim, dove precedentemente svolazzavano bandire di minoranze curde, aramaiche, del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK) e così via.]

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Cosa succederà stanotte?

Madre: Sarà un massacro. Erdogan è il nuovo Hitler, i media nazionali mentono continuamente. CNN Turk e CNN International fornivano versioni totalmente diverse.

Ragazza: Neanche a me stanno simpatici i violenti del PKK. Hanno ucciso mio zio, era un militare. Ci stiamo dividendo, ma era inevitabile. Noi comunque rimaniamo qui.

Grazie. 

Grazie a voi.

Mentre facevamo le interviste è arrivata questa giornalista della HALK, emittente filogovernativa, ed è stata presa a male parole da tutti. La donna con l'elmetto ha cominciato a urlare che i curdi sono dei bugiardi, e intorno a noi si è creata una piccola folla. La donna ha proseguito dicendo che i curdi sono dei criminali, dei violenti, mentre loro hanno risposto che sono solo fratelli e lottano per la stessa causa, nonostante siano separatisti. La donna si è poi rivolta a guardare l'immagine di Atatürk dietro di sé con dispiacere, si è seduta, la folla si è dispersa.

Dogukan, 23 anni, studente di ingegneria dei materiali

VICE: Eri qui stanotte?

Dogukan: No, sono tornato alle due, sono entrato dal Divan. È stato un inferno. Il gas rendeva l'aria irrespirabile.

Cosa vuoi dalla protesta? 

Che fermino la costruzione, ma è impossibile. Il PM non tornerà mai sui propri passi. Hanno pianificato un meeting dell'AKP qui dopo l'occupazione di Gezi apposta. Fra oggi e domenica sarà un bagno di sangue. Ci rimuoveranno a forza, l'arrivo di quelli di Gazi altro non farà che legittimare ulteriormente l'uso della violenza da parte della polizia.

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La libreria da campo allestita a Gezi

Dicci un po' di questa libreria. 

Ho aiutato anch'io a metterla su. Alcuni libri vengono portati da Mephisto [un negozio in voga fra più giovani] e molti altri da normali cittadini. La nostra unica vera arma contro di loro è la cultura. Non abbiamo pietre, non abbiamo cannoni, non abbiamo bombe, e non vogliamo neanche usarli.

Orcun, 33, regista

VICE: Eri qui stanotte? 

Orcun: No. Ho avuto paura, ero solo a Taksim, fermo, non sono riuscito a entrare nel parco [molti, fra i più "grandi", hanno preferito rimanere a casa negli ultimi giorni e aiutare con la diffusione delle notizie sui media e social network]. So che è stata una vera e propria battaglia: a un certo punto ho visto appiccare un fuoco in mezzo al parco, mi hanno spiegato poi che era per buttarci dentro i lacrimogeni lanciati dalla polizia e quindi esaurirne la carica.

Rimarrai qui stanotte? 

No, ci sarà troppa violenza. Siamo circondati. [L'intero perimetro di Taksim è pieno di poliziotti seduti contro i muri che sembrano aspettare solo un ordine per scatenare l'inferno.] Ieri il sindaco di Istanbul ha declinato qualunque responsabilità per violenze o uccisioni, dopo aver dichiarato il suo amore nei nostri confronti in mattinata. È impossibile prevedere quello che succederà, soprattutto dopo che Erdogan aveva dichiarato ieri che avrebbe incontrato quelli di Taksim dayanismasi, la piattaforma di dialogo nata da questo movimento. È un pazzo, è un folle, è un dittatore. Non c'era bisogno di tutte le violenze di ieri. Nessuno si fida più del governo, credo che il tempo della lotta in piazza sia finito, e sia arrivato quello della lotta mediatica.

È tempo di un cambiamento vero: la comunità LGBT e i nazionalisti hanno allestito insieme uno spazio di preghiera per i religiosi a Taksim. Tutto questo tempo in piazza ci ha permesso di ritrovarci insieme come cittadini, senza colore politico. La democrazia è difficile, però, e quindi dovremo sbrigarci a trovare una voce unica per contrastare il delirio di onnipotenza di Erdogan.

Con la collaborazione di Virginia Pietromarchi.

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