Shinji Ikari e Asuka Langley Soryu in 'Neon Genesis Evangelion'
Shinji Ikari e Asuka Langley Soryu in 'Neon Genesis Evangelion' | Screenshot via YouTube "Neon Genesis Evangelion | Official Trailer" e Netflix
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Come ‘Neon Genesis Evangelion’ mi ha aiutata a superare la mia terribile adolescenza

La serie anime cult è su Netflix e, forse, aiuterà una nuova generazione a venire a patti con le prime angoscianti crisi d'identità.

È un’estate imprecisata dei primi anni 2000. Sono sdraiata sul pavimento della mia camera. Ho gli occhi chiusi, la testa inclinata in direzione dello stereo, gli auricolari infilati nelle orecchie.

Sto ascoltando la colonna sonora di American Beauty, il brano che accompagna la busta di plastica volante, rimettendolo da capo infinite volte. Ho le mani appoggiate sullo stomaco. Inspiro. Espiro. Dentro, fuori. Non è un esercizio di meditazione. Lo faccio tutti i giorni, dopo la scuola. È il mio modo per venire a patti con la sensazione orribile di stare lentamente ma inesorabilmente uscendo di testa.

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I miei genitori si erano appena separati e io mi sentivo sopraffatta, ferita e sola. Specialmente perché quando il resto della mia famiglia parlava di come può essere difficoltosa una separazione del genere per dei bambini, si riferivano sempre alle mie sorelle più piccole.

Nessuno parlava del mio trauma, meno di tutti io. Invece, in quanto sorella maggiore, dovevo spesso fare da mediatrice tra i miei genitori e prendermi cura delle mie sorelle.

Ma avevo solo 15 anni. Non riuscivo a dormire, soffrivo di attacchi di panico e di rabbia. A un certo punto, mi è venuta anche un’ulcera allo stomaco. Ero depressa e non riuscivo neanche a concepire l’ipotesi di un finale felice per me—psicologicamente e fisicamente.

Così restavo sdraiata sul pavimento della mia cameretta e ascoltavo la musica con gli occhi serrati, finché non sentivo di poter ricominciare a funzionare in qualche modo. Avevo imparato questo trucco da un anime: Neon Genesis Evangelion. Da giugno 2019, tutti gli episodi della serie e i due film subito successivi sono sbarcati su Netflix e potrebbero aiutare una nuova generazione di adolescenti alle prese con la propria prima crisi di identità. Io ho visto la serie per la prima volta all’inizio degli anni 2000, sulla TV di un amico, in giapponese con i sottotitoli. In Giappone era andata in onda nel 1995, ma in Germania era arrivata solo dopo e con qualche taglio. Il mio amico aveva tutti gli episodi su cassetta—l’unico modo per guardare la serie nel mio paese, almeno allora.

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L’autore della serie, Hideaki Anno, soffre di depressione a sua volta: Evangelion rappresenta la sua battaglia interiore tradotta in animazione.

I protagonisti di Evangelion sono gli adolescenti Shinji, Asuka e Rei, che sono chiamati ad assumersi il peso della sopravvivenza umana sulle loro giovani spalle. Controllano dei giganteschi robot umanoidi (gli Evangelion, o EVA), con cui cercano di impedire a dei mostri extraterrestri (gli Angeli) di innescare la fine del mondo. Un gruppo di 14enni dal passato pieno di traumi che affronta eroicamente un nemico onnipotente: il classico viaggio del giovane eroe.

Ma gli EVA e la vera ragione per cui il mondo era prossimo alla fine erano, in un certo senso, solo una cornice narrativa. Ciò che mi affascinava davvero era il modo in cui la serie esplorava il tema del trauma e della depressione.

Anziché celebrare l’eroismo e la gloria, la serie parla di paura e stress emotivo. Parla della terribile sensazione di essere completamente soli con il proprio dolore. Di adulti che non sono diventati abbastanza adulti da proteggere le persone che dovrebbero proteggere. Del rendersi conto che è inutile scappare, perché la realtà sa trovarti ovunque tu sia.

L’autore della serie, Hideaki Anno, soffre di depressione a sua volta: Evangelion rappresenta la sua battaglia interiore tradotta in animazione.

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“Mi sentivo vuoto, come se la mia esistenza non avesse significato,” ha confessato Anno dopo l’uscita dell’ultimo episodio. “Ho messo tutto me stesso in Evangelion. Quando è finito, non c’era rimasto nulla dentro di me.” Sul finire della serie, proprio come il protagonista Shinji, Anno ha capito di non potercela fare da solo e ha cercato aiuto medico.

La prima volta che ho capito che ci sono cose da cui non puoi scappare avevo sei anni. Mi avevano diagnosticato il diabete di tipo 1. Il mio sistema immunitario attaccava deliberatamente il mio pancreas e distruggeva le cellule che producono insulina. In altre parole se non mi sparo una siringa di insulina giornalmente, muoio. Non ci sono cure.

Shinji incarnava la sensazione di fare sempre la cosa sbagliata nelle situazioni sociali.

Ho dovuto confrontarmi con la mia mortalità troppo presto, poiché il diabete può avere conseguenze serie. Cecità. Perdita di arti. Altri organi che smettono di lavorare. Per alcuni succede presto, per altri tardi, per alcuni mai. Questi pensieri hanno iniziato a divorarmi dentro.

Ho trovato una risposta nel mondo di finzione di Neon Genesis Evangelion, dove ognuno soffre in modo diverso. Mi sono ritrovata in Asuka, che definisce la propria esistenza in funzione dei traguardi che raggiunge e che crolla nel momento in cui scopre di non essere speciale come pensava.

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Ma nell’abisso del mio inferno pre-adolescenziale, è stato Shinji il personaggio con cui mi sono identificata di più. Un ragazzino i cui problemi interpersonali minacciano di soffocarlo. Shinji è convinto di essere meritevole d’amore solo quando soddisfa le aspettative degli altri. Per lui è difficile dare e ricevere affetto. Molto prima del meme del pinguino “a disagio tra le persone”, Shinji incarnava la sensazione di fare sempre la cosa sbagliata nelle situazioni sociali.

Quando le cose diventano insostenibili per lui nella serie, Shinji si rifugia in camera e ascolta la stessa canzone all’infinito, finché non recupera le forze per andare avanti. Io avevo masterizzato un CD che avevo intitolato “merda deprimente” nel tentativo di sollevarmi ironicamente dalla situazione dolorosa in cui mi trovavo. Inspira, espira. Continua a respirare.

Non sentivo nulla, o sentivo tutto troppo. In ogni caso, mi sentivo sempre sbagliata. Non ero ancora un’adulta, ma neanche più una bambina senza responsabilità alcuna—chi ero? Evangelion mi ha aiutata a capire che non c’era niente di sbagliato in me. Ero semplicemente sopraffatta da ciò che mi circondava e succedeva. E non sono l’unica: migliaia di persone citano questa serie come la ragione che li ha portati a superare l’infanzia, la depressione e il disgusto verso se stessi. Su Reddit, sui forum di anime, negli articoli.

24 anni dopo il suo debutto, Neon Genesis Evangelion è tuttora una delle serie anime più amate di sempre. Qualche settimana fa, l’ho riguardata dopo tutti questi anni. Ammetto che il finale mi lascia ancora insoddisfatta. Ma, a questo giro, ho capito qualcosa in più.

End of Evangelion è un film realizzato dopo la serie, che contiene una sorta di finale alternativo. Nel film, Misato—che è la figura autoritaria e materna—rivolge un lungo monologo a Shinji. “Hai creato un mondo di fantasia per vendicarti della realtà,” lo accusa. “Ti sei rifugiato nella finzione per sfuggire alla verità. Questo non è un sogno, è un surrogato della realtà.”

Poi dice qualcosa che comprendo solo ora, che sono un’adulta che non vuole più scappare:

“Se desideri vivere, ogni luogo può essere un paradiso. Perché tu… tu sei vivo.”