FYI.

This story is over 5 years old.

Tecnologia

Come hackerare le fobie grazie all'intelligenza artificiale

A quanto pare, la vostra paura dei ragni e la mia hanno molte caratteristiche in comune.
Immagine: witoon214/Shutterstock

Immaginate una libreria delle fobie. I suoi scaffali non sono pieni di album contenenti foto di serpenti e aerei che precipitano, ma, piuttosto, ospitano tomi di scansioni del cervello umano. Risonanze magnetiche di materia grigia con le attività neurali segnalate sotto forma di lampi rosso-gialli che assumono conformazioni differenti a seconda della fobia in questione. Ogni fobia ha la sua sorta di firma che le consente di essere catalogata in maniera ordinata.

Pubblicità

Questo è un dato di fatto: ogni fobia ha la sua "firma" particolare e può essere identificata da una serie di pattern ricorrenti di attività cerebrali. Queste firme consentono di creare la nostra biblioteca, ma ci sono altre implicazioni: potremmo utilizzare questi modelli per manipolare le nostre fobie.

L'operazione sembra realizzabile, secondo la ricerca pubblicata sulla rivista Nature Human Behaviour ad opera del neuroscienziato cognitivo Hakwan Lau della UCLA e dei suoi colleghi presso la Columbia University e del Nara Institute of Science and Technology, in Giappone. Le fobie possono essere cancellate, come accade nella terapia dell'avversione—in cui le fobie vengono superate attraverso l'esposizione agli oggetti delle stesse, un processo spesso sgradevole—ma senza la necessità di rievocare l'oggetto della fobia stessa.

Il processo alla base della tecnica prende il nome di "decoded neurofeedback." Durante lo studio, le fobie sono state evocate inviando delle scosse elettriche ai partecipanti dello studio, mentre, in contemporanea, veniva presentata loro l'immagine di una linea verticale colorata. Il colore specifico della riga associata alle scosse veniva catalogato come "spaventoso," e l'attività cerebrale connessa veniva conseguentemente registrata. Le registrazioni di questa attività venivano fornite in input ad un algoritmo di riconoscimento visivo basato sull'intelligenza artificiale, che ne estraeva un modello (pattern.)

Pubblicità

Dopo questa fase, l'algoritmo analizzava ulteriori rilevamenti dell'attività cerebrale connessi a quello stesso pattern, che apparivano in forma frammentaria, anche quando il partecipante stava riposando e non veniva sottoposto di fatto allo stimolo associato ala scossa (ovvero, la linea di un determinato colore.)

Una volta che l'algoritmo ha acquisito i suoi pattern associati, questi possono essere utilizzati per neutralizzarle associando delle ricompense positive alle corrispondenti linee colorate. "Ogni volta che il cervello si rappresentava o 'pensava' alla linea del colore associato a una fobia, comunicavano al soggetto un messaggio del tipo 'Complimenti hai vinto 10 centesimi,'" ha spiegato Lau in un'intervista. "Così, da quel momento in poi, la linea del colore della fobia, invece di essere associata ad una scossa elettrica, veniva associato ad un premio positivo."

"Grazie a questa procedura possiamo condizionare le nostre fobie", ha spiegato.

Sebbene questo processo possa sembrare non troppo lontano da quelli adoperati nella psicologia standard, il punto fondamentale è che il soggetto non deve pensare coscientemente all'oggetto della sua fobia per consentire il suo funzionamento. All'algoritmo di riconoscimento basta visualizzare un frammento della memoria della fobia per innescare uno stimolo di ricondizionamento (la ricompensa.) Dopo che i soggetti sono stati "riprogrammati," gli vengono nuovamente mostrate le immagini di quelle che una volta erano le linee associate alla fobia. A quel punto, il loro livello di "paura", misurato in base al livello di sudorazione, diminuiva.

Pubblicità

Il problema pratico è che la firma neurale originale della fobia deve essere, in qualche modo, acquisita ad un certo punto del processo dalla 'IA per riconoscerla, in modo da attivare le ricompense per la riprogrammazione. Questo ci riporta alla nostra biblioteca delle fobie. Lau e colleghi hanno scoperto che questi modelli di fobie vengono in realtà condivisi tra molte persone diverse. A quanto pare, esistono delle impronte digitali delle fobie associabili a fobie specifiche che si ripresentano, allo stesso modo, in individui differenti. Se spulciassimo il nostro volume ipotetico cercando la voce aracnofobia, scopriremmo il modello neurale specifico a cui corrisponde. Come è emerso, le fobie possono essere dedotte dalle scansioni dalle risonanze magnetiche con una precisione che raggiunge fino al 80 percento. Questa parte della ricerca condotta dal team non è ancora stata resa pubblica, ma Lau intende pubblicarla entro pochi mesi.

"In base a quanto abbiamo rilevato su altre persone, possiamo dedurre lo schema associato all'aracnofobia che si presenta anche nel vostro cervello, con un livello di accuratezza dell'80 percento."

"L'idea è che se voi vedete dei cani, dei gatti, delle arance o delle farfalle, io vedrò la stessa cosa", spiega Lau. "Arance, cani, gatti e farfalle. Esiste un modo per equiparare i pattern dei nostri cervelli all'interno dello stesso spazio. Una volta effettuata questa operazione, non dovrete più per forza osservare in senso stretto dei ragni [per registrarne l'attività cerebrale associata]. Basto io che mi metto a fissare dei ragni. Posso farlo anche per intere ore. A quel punto, ottengo il modello personale corrispondente alla mia fobia per i ragni e da quello riesco a dedurre il modello connesso all'aracnofobia che può presentarsi anche all'interno dei vostri cervelli. Sembra fantascienza, ma è un'operazione fattibile: in base a quanto abbiamo rilevato su altre persone, possiamo dedurre lo schema associato all'aracnofobia che si presenta anche nel vostro cervello, con un livello di accuratezza del 80 per cento. "

Lau assicura che questo processo non funziona al contrario. Non possiamo instillare una fobia o un'associazione negativa in un cervello sfruttando questo metodo—solo associazioni positive. Le fobie possono essere sottratte e non aggiunte. Per questo, le uniche conseguenze inaspettate possibili sono solo che un paziente potrebbe finire a ritrovarsi un'associazione positiva artificiale in più.

Ci sono ancora una serie di ostacoli da superare prima di poter ritrovare questa cura esercitata in un ambiente clinico. Per prima cosa, non sappiamo ancora per quanto tempo possa durare la riprogrammazione. C'è anche un fenomeno ben noto nei casi da disturbo traumatico post stress in cui le paure possono riemergere quando gli individui le incontrano in nuovi contesti. Se, per esempio, qualcuno riesce a superare la propria paura delle automobili a seguito di un incidente d'auto, può riprovare l'esperienza del disturbo traumatico post stress, ritornando sul luogo dell'incidente. Anche nel caso di questa cura, potrebbero verificarsi fenomeni simili, ma potremo capirlo solo quando questi esperimenti saranno condotti con stimoli ben più vari e complessi di semplici linee colorate.