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#Campaign4Change

Abbiamo parlato con Mecna di rap e malinconia

Ecco cosa ci ha detto sulla musica, la grafica, gli amici e sul perché la sua idea di cambiamento si può riassumere in "più fatti, meno parole."

Questo post fa parte della nostra serie #Campaign4Change.

Corrado Grilli in arte Mecna è il giovane rapper pugliese che negli ultimi anni ha conquistato l'establishment hip hop italiano. Qualche tempo fa, con il suo ultimo album Laska, ha messo definitivamente in chiaro, però, che a lui seguire la dottrina del rap duro e puro non interessa: mette in rima solo quello che vive in prima persona e se ne frega se non è quello che ci si aspetta da lui.

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Talentuoso, introverso e un po' malinconico con la sua passione per il Grande Nord e la pioggia, non a caso l'abbiamo scelto come ambassador per la categoria Speak the truth: ci vuole coraggio a essere se stessi quando sei su un palco davanti al pubblico del rap, a cuore aperto "e senza una traccia che farà alzare tutte le mani al cielo." Ecco cosa ci ha detto un pomeriggio a Milano sulla musica, la grafica, gli amici e sul perché la sua idea di cambiamento si può riassumere in "più fatti, meno parole."

VICE: Ci racconti chi è Mecna?
Mecna: Faccio il rapper e il graphic designer. La passione per la musica è nata prima, ma la passione per la grafica, che è diventata il mio lavoro, mi è venuta perché iniziando a fare rap avevo il feticcio per le copertine. Così, visto che ero in quarto superiore, ho deciso di andare a studiare grafica. Tuttora le cose corrono sullo stesso binario, perché faccio anche copertine di dischi non miei e neanche per forza di rap italiano.

Quando hai iniziato a pensare di usare il rap come forma di espressione—come modo per dire la tua verità?
All'inizio del liceo ho scoperto Eminem: vengo da Foggia e l'unico modo per ascoltare la musica era guardare la tv. Lui mi ha aperto un mondo. La mia storia con il rap ha diciamo tre fasi: iall'inizio questa musica ha cambiato il mio modo di vedere le cose, pensavo "mi piace, non so come ma la farò anche io." Poi, suonando con i Microphone Killarz cercavo di mediare tra quello che andava e quella che in realtà sentivo più vicino a me. E poi la terza fase, che ha avuto il culmine con Disco inverno e Laska, è stata quella del "voglio fare la musica che piace a me," non mi interessa se viene avvertita come musica depressa. Ho capito che potevo fregarmene dei vari cliché. Piano piano mi sono reso conto che con questa cosa mia, che rispecchiava me stesso, riuscivo a catturare veramente l'attenzione della gente. E paradossalmente ho iniziato ad avere successo quando ho iniziato a fregarmene di avere il pezzo forte al live.

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Hai un mood, anche nelle basi, abbastanza cupo, che si distanzia dal rap tradizionale. Come fai a livello compositivo a unire questo mood al rap?
Mischiare il rap a altri generi è una cosa assoluta per me: ho sempre ascoltato tutto, anche quello che passava in tv e radio. Ultimamente ho scoperto un sacco di musica di cui non saprei definire il genere che mi ha veramente rapito il cuore e ho pensato "voglio farla mia." Spesso mi viene detto che son cupo, paranoico, depresso. Da un certo punto di vista è verissimo: a me piace quella musica lì, quando sono felice non ascolto un pezzo felice, ascolto un pezzo paranoia. Anche quando vanno in palestra le poche volte che vado non ascolto quelle playlist che fanno workout, ascolto la mia playlist di Spotify e mi va bene così, sono fatto in questa maniera, sono meteoropatico al contrario e per forza nella mia musica c'è. E le cose vanno di pari passo: quando uno ascolta determinata musica poi vuole farla così.

C'è una rima in Laska che dice "io che nel caos non parlo ma parlo nel caos soltanto". Me la spieghi?
Quando mi succede qualcosa che mi smuove a livello emotivo non mi esce niente, ho bisogno di un po' di distacco dalle mie situazioni. Io parlo di me nelle mie tracce, di momenti miei, ma più quei momenti sono forti più è difficile esprimere quello che uno pensa e prova nell'immediato. Questo significa la rima.

Foto di Alessio Cambiotti per gentile concessione di Mecna.

Mettere in rap le cose forti ti aiuta in qualche modo a maturarle dentro di te?
Sì, l'autoterapia del rap funziona: quando scrivo delle cose, dato che come ti dicevo lo faccio aspettando un po', è come se chiudessi quel capitolo. Mi aiuta, dopo mi sento davvero sollevato.

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Per esempio "Grazie mille", che era in Disco inverno, l'ho scritta per mio padre. Ed è stata una cosa nuova, perché le persone molte volte non mostrano tanto affetto verso i genitori, e io stesso mentre la scrivevo era come se non fossi io: infatti mi sono vergognato quando gliel'ho fatta sentire. Ma mi ha aiutato a relazionarmi a una persona che vedo e sento tutti i giorni, ma a cui non ho mai detto "ti voglio bene."

Come ti rivedi dall'esterno nel tuo impatto sugli altri, che so, a un concerto o quando qualcuno ti manda il feedback di un pezzo?
Portare la musica live è sempre stata una scommessa perché al live uno si aspetta di divertirsi e fare casino, mentre io propongo una collezione dei pezzi a cui tengo di più—che sono spesso quelli che meno si prestano da live che uno definirebbe rap hip hop. Faccio entrare quelle persone che sono lì ad ascoltarmi nel mio mondo, e secondo me il pubblico percepisce questa cosa, perché durante i live ci sono spesso dei silenzi positivi.

Cosa fai tu per prenderti una pausa?
Viaggio. Fare l'amore e viaggiare, credo che siano le cose più belle. Se hai una persona con cui condividere determinate cose, è bello farlo. Ho viaggiato un sacco e mi piace anche deciderlo due minuti prima, prendere e andare. Poi mi piacciono i posti freddi, mi aiuta anche a staccare da tutto, anche banalmente dal computer e dal cellulare, che comunque sono sempre ormai—ti dicono come stai andando etc tramite i commenti e i mi piace. E ti rilassi.

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Infatti Laska nasce in Norvegia, vero?
Eh sì, in questo viaggio vicino a Oslo, in un cottage sperduto che avevo affittato: era un'estate in cui non avevo programmi, ho chiesto a un amico del liceo, un musicista, di venire con me. Abbiamo detto portiamo un po' di basi, un microfono, una chitarra e vediamo cosa ne esce, male che vada ci siamo fatti una settimana tra amici, un'esperienza diversa. Alla fine di questa settimana non solo avevamo dato il la a un sacco di pezzi di Laska, ma io ero proprio cambiato—è stato il viaggio più bello della mia vita. Eravamo da soli in un posto sperduto, e anche banalmente sapere che mentre dormivi chiunque poteva entrare—è stato un cambiamento. Non avevamo internet, cellulari, niente, eravamo lì tra amici—che è la cosa più bella—a fare musica, con quei paessaggi che ogni volta cambiavano perché l'estate lì è così: pioggia poi sole.

Che cosa ti spinge a scrivere?
Credo di essere abbastanza introspettivo, la musica mi aiuta a esprimere cose che non riesco a dire: a una persona, ai miei amici, ai fan, a chiunque. È il mio modo di essere me stesso e di arrivare a portare il mio messaggio—che poi non è nemmeno un messaggio ben definito ma il mio modo di vedere le cose, in cui magari le persone si riescono a immedesimare. E questa è una magia.

Se dovessi consigliare a qualcuno che vuole provare a fare rap, da dove si parte?
Io direi di iniziare a fare musica, non a scrivere. Uno dei primi pezzi che ho fatto da solo l'ho fatto perché mi piaceva una ragazza, ho scritto un pezzo, l'ho messo su cd, sono andato sotto casa glielo ho messo nella buca delle lettere e ho aspettato che mi mandasse un messaggio. Direi di fare come ti pare, come piace a te.

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Se vuoi fare musica per arrivare chissà dove magari ci arrivi, ma poi dopo un po' si capisce che lo fai solo per esserci. Per me fare musica è indispensabile, ma non è indispensabile farla sentire agli altri. È una cosa che mi realizza, sto creando qualcosa, dalle basi alle grafiche, mi piace stare a fianco al produttore. Credo che sia la passione, quella vera, che ti fa superare tutti gli ostacoli.

La cover di Disco Inverno

Come hai scelto la copertina di Disco inverno e di Laska?
Quella di Disco Inverno era un'immagine che avevo in mente da almeno due anni. Tutti mi dicono che sono altissimo, perciò avevo visualizzato questa immagine: gente sotto gli ombrelli e io che svettavo e mi si vedeva fino alle spalle. E poi quando ho fatto il disco ho contattato il mio amico fotografo Tommaso Gesato, gli ho detto che avevo questa idea e abbiamo pensato di inquadrare invece dall'alto.

Per Laska mi sono affidato a Pietro Cocco—l'idea è sempre mia, il blocco di ghiaccio fa parte dei miei rimandi continui al freddo alla pioggia. Mi piaceva l'idea del blocco di ghiaccio perché dopo 10 minuti ha cambiato forma. Lo stesso vale per il disco, il disco è un insieme di momenti, di dettagli, che credo per quanto siano sempre quelli possono aiutare le persone a immedesimarsi.

Tu sei di Foggia, e ti sei spostato prima a Roma e poi a Milano. Com'è lontano da casa?
Sono andato a Roma a 18-19 anni per fare l'università. Ho vissuto per tre anni con mia sorella, non ce l'avrei mai fatta a fare come i miei amici che vivevano con cinque coinquilini. A Milano ho convissuto con un mio carissimo amico e poi sono andato a vivere da solo. Mi trovo bene da solo, e poi ho sempre pensato che per divertirsi puoi sempre andare a casa di quelli che convivono in cinque o sei. La mia dimensione a casa però è stare rilassato e farmi i fatti miei senza dover parlare per forza di qualcosa che mi è successo eccetera.

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Il primo anno a Milano ho avuto tutte le fasi di chi viene dal sud a vivere qui, aperitivi, feste, poi sono ritornato a essere me stesso: un ragazzo normalissimo che va a prendere una birra con gli amici.

Che sono anche tuoi collaboratori, no?
Mi piace pensare che le persone con cui esco non fanno rap—in realtà poi se ci penso collaboro con queste persone, però c'è un fondo di amicizia che non è legato a quello che facciamo: è sempre venuta prima l'amicizia e poi magari il fatto di collaborare. Non facciamo nulla di particolare, ci raccontiamo le nostre cose, beviamo birra e va bene così.

Foto di Alessio Cambiotti per gentile concessione di Mecna.

Qual è la cosa che ti è stata detta magari da qualcuno che ti ascolta che ti ha colpito di più?
Credo che la cosa più bella sia un messaggio che mi mandò una ragazza un anno fa: mi ringraziava per aver fatto delle canzoni che hanno permesso a lei di incontrare l'uomo della sua vita—non ricordo se a un concerto o come—e adesso stavano per avere un figlio. Mi ha scritto che al bambino avrebbero fatto sentire la mia musica. Un'altra cosa divertente a cui non mi abituerò mai è la gente che si tatua le mie frasi. Uno non ci pensa mai a quello che dà alle persone che non conosce, ma loro ti conoscono al punto di fare una cosa così eclatante.

Secondo te le tue parole perdono di forza nel momento in cui le metti nel disco o la acquistano?
Quando le mie parole sono su una base è esattamente dove devono stare, perché vengono concepite su una base e quindi è come un uomo e una donna che fanno un figlio. Io non riesco a scrivere senza avere già melodia e beat.

Qual è la tua idea di cambiamento?
Mi piace l'idea di qualcuno che non parla troppo ma fa, e fa bene. Per questo la mia C4C è "Speak less, leave speechless". Quello a cui cerco di arrivare io è non parlare troppo, ma fare il più possibile. Perché lascio parlare per me le cose che faccio, lascio che siano gli altri a parlare per me. Quello è il mio gol.

Questa è la campaign4change di Mecna. Qual è la tua? Condividila su #Campaign4Change