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5 Broken Cameras, il nuovo cinema della resistenza palestinese

Il documentario di Emad Burnat assembla il materiale ottenuto dopo oltre 500 ore di girato amatoriale, ripercorrendo le azioni di protesta dei palestinesi della Cisgiordania contro i coloni e la barriera di separazione.

Emad Burnat fissa immobile una fila di telecamere appoggiate su un tavolo di lamiera, nella sua abitazione. Due sono state sfondate, altre due crivellate di colpi, e l’ultima resa inservibile da un bagno nei gas nocivi delle granate israeliane. Emad aveva deciso di usare queste telecamere per filmare la nascita del suo quarto figlio, ma durante gli ultimi sei anni le ha trasformate in uno strumento per documentare il moltiplicarsi dei coloni israeliani e l'occupazione definitiva del suo paese della Cisgiordania. Il documentario di Emad, dall’azzeccatissimo titolo 5 Broken Cameras, è frutto dell’assemblaggio del materiale ottenuto dopo oltre 500 ore di girato. Ha appena partecipato al festival New Directors/New Films, in corso in questi giorni.

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VICE ha lavorato con Emad già nel 2007, all'epoca di Israel vs. Palestine: Against the Wall. Avevamo bisogno di un cameraman che potesse sostituire il nostro operatore israeliano una volta che avessimo varcato il confine con la Cisgiordania. Anche a Bil’in, dove vive, Emad era conosciuto come “l’uomo con la cinepresa.” E, infatti, 5 Broken Cameras si sarebbe potuto fare solo se la telecamera avesse continuato a girare senza sosta. A differenza della maggior parte del materiale sulla questione israelo-palestinese, 5 Broken Cameras evita la pesante ricostruzione della storia politica e filtra il conflitto attraverso una prospettiva unica—un resoconto personale della crisi degli insediamenti israeliani tramite filmati girati in maniera amatoriale.

Emad presenta i suoi figli a seconda del periodo nel quale ciascuno di loro è nato. Il primo è nato durante il periodo di relativa pace garantito dagli Accordi di Oslo. Il secondo durante le Seconda Intifada. Jibril, l'ultimo, è nato mentre si cominciava a costruire la barriera di separazione israeliana. La barriera segue la Linea Verde stabilita dalla comunità internazionale, ma penetra profondamente all’interno del territorio cisgiordano inglobando al suo interno il 50 percento delle terre coltivabili di Bil’in. Per Emad è un’usurpazione della propria casa. Il paese ha reagito con dimostrazioni non violente, portando sempre più in là la sua provocazione all’esercito israeliano.

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Guy Davidi, un documentarista israeliano giunto sul posto con la stampa, ha notato che Emad era l’unico cittadino di Bil’in ad avere una telecamera, e che ce l’aveva sempre in funzione al momento giusto. Guy ha chiesto di poter visionare parte del girato.

“Stavo guardando l'immagine di un vecchio che cercava di salire su una jeep dell’esercito per impedirgli di portare via qualcuno,” ha detto Guy. “E ho chiesto a Emad, ‘Chi è quest’uomo?’ E lui, ‘È mio padre'.” Guy parla della scena in cui il padre di Emad, già ben oltre i 65 anni, si è arrampicato su un blindato israeliano per impedirgli di portare via il figlio. “In quel momento ho capito che ci sono immagini davvero importanti nei cinque, sei anni di video che ha girato.” Il film è ricco di scene che torturano lo sguardo dello spettatore come questa: il figlio di tre anni che fatica a respirare a causa dei gas lacrimogeni che penetrano dalle portiere della macchina mentre la famiglia fugge da una dimostrazione degenerata; gli uliveti aggrediti dalle fiamme; un raid notturno in cui i soldati arrestano i bambini del villaggio.

La durezza di questi episodi supera la necessità di un’indagine politica sobria e accurata. Di fronte all'immagine di tre donne che cercano di impedire l'ingresso a un soldato urlando “Non ci sono bambini qui!”, le complessità della situazione politica sono completamente oscurate dalle motivazioni basilari che tengono insieme una famiglia. 5 Broken Cameras, che sia un bene o un male, si occupa di questa sfera, riducendo il tutto a un piccolo villaggio che viene messo a ferro e fuoco da un grande esercito. I palestinesi mettono in scena l'intera gamma delle loro fantasiose azioni non violente, alle quali gli israeliani rispondono inviando un’orda di militari. Il ciclo di azione e reazione è ripetuto così lungamente che diventa una specie di scherzo macabro.

Coi fratelli in arresto o uccisi (a uno di loro viene sparato un colpo in una gamba da un militare israeliano, all'improvviso), gli amici resi ciechi dal gas lacrimogeno o uccisi, le richieste della moglie di abbandonare le riprese e lo stesso Emad messo ai domiciliari (non in casa sua, ricordatevelo, perché quella era ritenuta dagli israeliani parte integrante della Zona Militare), c’è da meravigliarsi che lui resti attaccato alla sua telecamera. Ma è il suo unico modo di rivendicare la terra, dice, e non è disposto a rinunciarvi.