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A8N3: Propensione al bere

La genesi di ‘The Sugar Frosted Nutsack’

The Sugar Frosted Nutsack, l'ultimo romanzo di Mark Leyner, è un’autentica alternativa a quei libri musoni, presuntuosi e “seri” che al giorno d’oggi affollano gli scaffali delle librerie.

Foto di Brea Souders Church Hands, 2010 Mark Leyner è conosciuto soprattutto come coautore di Perché i maschi hanno i capezzoli? E altre domande fondamentali a cui nessuno ti ha mai dato risposta, nominato dal New York Times bestseller del settembre 2005. Ha inoltre firmato diverse sceneggiature (tra cui War, Inc. del 2008), rubriche e alcune delle opere di narrativa più surreali, oscene e esilaranti che abbiamo mai letto. Il suo ultimo romanzo, The Sugar Frosted Nutsack, esce il 26 marzo per Little, Brown, e fin dalle prime pagine si propone come un’autentica alternativa a quel mucchio di libri musoni, presuntuosi e “seri” che al giorno d’oggi affollano gli scaffali delle librerie. Nutsack è la tragica storia di Ike Karton, un macellaio disoccupato del New Jersey psicologicamente e sessualmente tormentato da un improbabile pantheon. Le divinità che lo compongono, tra cui Fast-Cooking Ali, XOXO e La Felina, amano fare baldoria, fumare un boršč allucinogeno chiamato Gravy e, soprattutto, copulare coi mortali. La storia è ancora più assurda di quanto sembra, e nel fine settimana in cui l’abbiamo divorata ci ha regalato tante grasse risate. Qui di seguito riportiamo la parte introduttiva (dove si spiegano l’origine del pantheon e quella dell’universo), accompagnata dalle opere di Brea Souders, che in maniera diversa ma altrettanto appagante ci hanno fatto sentire celestiali. Per conoscere il lavoro di Brea Souders, visitate il suo sito, www.breasouders.com. Un estratto da ‘THE SUGAR FROSTED NUTSACK’ di Mark Leyner Non c’è mai stato il nulla. Prima del debutto degli Dei, circa 14 miliardi di anni fa, tutto accadde fuori da un contesto preciso, senza seguire uno schema riconoscibile. Era pura incoerenza. Eventi isolati e sconnessi si manifestarono per poi essere inghiottiti da un vuoto nero opaco, e il loro senso relativo, il loro significato, fu annullato da eoni di silenzio entropico estranei tra loro. A un certo punto, un terrario con tre adolescenti femmine dalle voci acute (simili alle fatine di Mothra, se non per il pallore, l’acne, i grossi seni e magliette con la scritta “Non vado coi bianchi”) si materializzò e inspiegabilmente scomparve. Passarono milioni e milioni di anni, finché, apparentemente dal nulla, arrivò… il fugace odore di involtini primavera. Altri miliardi di anni di oziosa monotonia… e poi… OVUNQUE, 10-37 secondi di un motivo pied-de-poule… nuovamente seguiti dalla progressiva oscurità immutabile e un altro eterno interstizio… fino a quello che potrebbe essere il suono di cicale o il rumore prodotto dallo sfregamento dei pantaloncini da corsa di un corridore obeso… e ancora l’immagine color seppia dell’Enciclopedia Britannica del 1933 raffigurante un uomo affetto da elefantiasi testicolare… automi che arrostiscono pesce appena pulito sulla sponda di un fiume… la folgorazione stroboscopica di una nebulosa a emissione… l’inconfondibile melodia di un koto… e il fragore di uno sciacquone. A quest’ultimo, enigmatico evento—lo sciacquone—seguì lo iato più incredibilmente lungo di tutti, un interregno sepolcrale di diversi trilioni di anni. Col tempo, la probabilità del verificarsi di qualcosa iniziò ad apparire sempre più lontana. Finalmente nulla stava avendo luogo, se non il luogo. C’era un rumore d’ambiente—quel ronzio, inno alla pura ontologia—, nient’altro. Sennonché, entro questo vuoto interminabile, questa nera quiete iperborea, nelle profondità dello spazio vuoto, in prossimità del punto nella distanza infinita in cui le parallele finalmente si incontrano… comparvero due fanali. Seguì un suono quasi impercettibile, simile alla musichetta del furgoncino dei gelati. Ma quei fanali non erano certo del furgoncino dei gelati, e lo stesso motivetto ricordava solamente quello che accompagna l’arrivo del mezzo. Era piuttosto l’incipit di qualcosa—qualche accenno premonitore di una musica curiosamente familiare, non identificabile ma facile da ricordare—, vicino alle prime note di “Surrey with the Fringe on Top”, “Under My Thumb”, “The Tears of a Clown” o “White Wedding”. Il motivetto continuò a ripetersi all’infinito, a mano a mano che i fanali si facevano più grandi e vicini nel corso del milione di trilione di anni che dovette consumarsi prima dell’arrivo degli Dei. Questi Dei ubriachi erano giunti a bordo di un autobus in un luogo che non avevano riconosciuto (quasi fossero reduci da una specie di Spring Break, o avessero fatto follie). All’inizio erano come afidi congelati, storditi, in uno stato che ricordava l’animazione sospesa. Ci vollero milioni di anni perché riuscissero a “riemergere” da quella condizione. Il primo a fare capolino dall’autobus fu El Brazo (“Il braccio”). Conosciuto anche come Das Unheimlichste des Unheimlichen (“Il più inquietante degli inquietanti”), era a torso nudo e indossava calzoncini da basket di poliestere color bianco/azzurro spento. Di lì a breve sarebbe stato venerato come il Dio della Virilità, dell’Urologia, della Pornografia e via così. El Brazo si sporse dall’autobus e adottò la posa chiastica riprodotta in infinità di dipinti, sculture, incisioni, monete, bandiere nautiche, francobolli, loghi di case cinematografiche, palle di vetro innevate, contenitori per bevande da asporto, carte da gioco, pacchetti di sigarette, confezioni di preservativi e altro ancora. Coi capelli leccati all’indietro sulla nuca riccioluta come la scia di un motoscafo, fece una rapida ricognizione del vuoto con uno sguardo impassibile per poi aggrottare le sopracciglia, girarsi e tornare sull’autobus. Vi rimase per altri 1.6 milioni di anni, insieme agli altri Dei, tutti con la stessa espressione imbronciata. In mezzo a quelle divinità coi postumi della sbornia che avevano scelto di ammuffire sull’autobus, c’era ancora qualcuno con abbastanza gioia di vivere da continuare a riprodurre all’infinito quel riff ipnotico più volte paragonato a un remix dance del motivetto del camioncino dei gelati. Che fosse un frammento dell’inno della loro squadra universitaria? In ogni caso, si comportarono tutti come compagni di classe, come se fossero cresciuti insieme nella stessa cittadina.
Spider Universe, 2011 Tra i primi provvedimenti presi dagli Dei, una volta smaltita la sbornia e abbandonato l’autobus, ci fu quello di mettere le cose in ordine, renderle comprensibili, fornire un contesto e introdurre modelli riconoscibili. (C’è chi sospetta che gli Dei avessero imposto coerenza e significato per espiare la sbronza.) Quel punto nello spazio in cui l’autobus li aveva fatalmente scaricati divenne per sempre consacrato a downtown celestiale, capitale di una meritocrazia di tendenza ma pure inclemente—una specie di “Manhattan Project incontra la Factory di Warhol”, il tutto in una fresca atmosfera da esclusività militante, un cordone sanitario, una corda di velluto che li separava da qualunque altra cosa o persona. Fin dal principio, fu chiaro che gli Dei avevano opinioni molto rigide su chi potesse far parte della loro combriccola esclusiva. Niente figure mondane. Niente dilettanti. Niente persone “famose per essere famose.” Solo Dei. Eppure la loro immagine era così labile che in un nonnulla poteva mutare radicalmente, secondo un effetto da cartoline a ologramma. A un primo sguardo apparivano come raffinati aristocratici del diciottesimo secolo usciti direttamente da una Fête galante rococò di Watteau, intenti a saltellare qua e là per radure tra liuti, parasoli traslucidi e cupidi in volo… ma bastava un leggero cambio di prospettiva perché somigliassero ai membri di una band noise giapponese nella pausa sigaretta dietro le quinte dell’All Tomorrow’s Parties al Kutsher’s Hotel di Monticello, nello Stato di New York. Un altro minuto, e si sarebbero tramutati in un gruppetto di ricchi amministratori delegati, abbronzati e ostentatamente casual, riunitisi per scambiare due chiacchiere durante la Allen & Company Sun Valley Media Conference… un’ulteriore occhiata ne avrebbe colto la metamorfosi in uno sparuto esercito di monelli di strada coi capelli arruffati e gli occhi gialli, occupati a cercare cibo nei rifiuti tra una sniffata e l’altra da un sacchetto di colla. Erano soliti sfoggiare la loro superiorità in modo pretenzioso e immaturo, frutto dell’onniscienza e dell’unità che li caratterizzavano. In una sola frase avrebbero potuto usare il cinese di Ningdu, l’etrusco, il ket (una lingua moribonda parlata da una piccola comunità di 500 persone, nella Siberia centrale), il codice delle bande carcerarie messicane, il klingon, i click di ecolocalizzazione dei delfini, i feromoni delle formiche e i passi della danza dell’ape—come se ce ne fosse realmente bisogno. Tutto ciò che siamo e sappiamo viene dagli Dei. I loro sogni più fantasmagorici e le loro più schifose allucinazioni hanno originato matematica e fisica, e le strutture fondamentali del mondo in cui viviamo sono determinate persino dai loro vezzi e gesti più noncuranti e svogliati. Una volta, stremato dai festeggiamenti per il suo compleanno, il Dio del Denaro Doc Nickory, anche detto El Más Gordo (“Il più grasso”), si addormentò sul suo letto, in posizione prona. Lady Rukia (la Dea dello Scarabocchio, delle Caramelle di Gelatina e delle Corse al Trotto), che per tutta la sera lo aveva puntato, si introdusse nella sua stanza, e dopo aver strofinato un palloncino sul maglione di cashmere che indossava, lo fece ondeggiare avanti e indietro sulla schiena pelosa del Dio. Quell’evento, attraverso la riconfigurazione della peluria, avrebbe fornito il modello per la deriva dei continenti. Altro esempio è quello del Dio Rikidozen o Santo Malandro (“Santo canaglia”), che senza pensarci si era messo a picchiettare un pennarello indelebile sul bordo di una tazza. Quella cadenza invariata sarebbe poi diventata la base dei 124 battiti per minuto della musica house. Gli Dei sono stati gli inventori nonché massimi esponenti dell’arte del bricolage. Hanno creato praticamente qualsiasi cosa usando i loro stessi corpi. Dai gas intestinali che producono—il flato—abbiamo tratto l’ossido di diazoto, oggi usato come anestetico dai dentisti e nelle bombolette della comune panna spray. Le secrezioni che si cristallizzano sulle loro palpebre dopo una notte di sonno forniscono il litio, impiegato nelle batterie ricaricabili di cellulari e computer portatili. Il Dio Koji Mizokami aveva un teratoma (un tumore con abbozzi dentari e peli) ai testicoli. Dopo averlo fatto rimuovere, lo portò e casa e lo modellò nel compositore Béla Bartók. Voleva scagliarlo nel futuro, ma non sapeva in quale utero, epoca e ambiente. In quel momento passavano di lì gli Dei The Prince-Nez 44s o Los Vatos Locos (“I tipi pazzi”). Spesso le loro idee erano folli, ma capitava che fornissero spunti interessanti. “Perché non lo fai nascere in una famiglia di mormoni razzisti?” chiese uno di loro. Mizokami poggiò lo sguardo sul Bartók-larva che si dimenava sul palmo della sua mano. “Non sono sicuro,” rispose con il suo languido tono strascicato. Ci furono altre proposte, “Non sarebbe più divertente farne il figlio di Joel Madden e Nicole Richie? O tramutarlo in un bambino talebano,” ma alla fine Mizokami-san decise di lanciare Béla Bartók nel grembo di una donna di Sânnicolau Mare (Impero Austro-Ungarico, negli anni Ottanta dell’Ottocento.)
Rosie, 2012 In generale, l’organizzazione e l’assegnazione delle aree di competenza degli Dei venivano amministrate in maniera coscienziosa e collegiale, seguendo una tassonomia in grado di assicurare un alto grado di parentela strutturale e/o funzionale tra i vari domini. Occasionalmente, però, il legame era così labile da suggerire un azzardo o piuttosto la negligenza degna di un criminale. Per esempio, la gigantessa C46, Dea della Perfetta Visione Intellettuale (lucidità) fu, per un breve periodo, anche Dea della Carnagione Perfetta. Si dice che in chiusura di una lunga e faticosa giornata, Shanice (la graziosa e sempre effervescente Dea incaricata di gestire la logistica degli incontri) avesse notato che “la Carnagione Perfetta” non era ancora stata assegnata. Individuata C46 le chiese dunque di farsene carico, ottenendo il consenso degli Dei ormai esausti. Il primo mercoledì del mese successivo, tuttavia, era apparso chiaro a tutti che il dominio della carnagione sarebbe spettato al Dio della Dermatologia, José Fleischman (chiamato di tanto in tanto anche L’ebreo del Perù.) Senza obiettare, C46 cedette l’incarico al legittimo proprietario (conosciuto anche come Il coraggioso o Colui che non rifugge il pus). Anche le decisioni riparatrici avvenivano col consenso collettivo, ma capitava che ci fossero disaccordi in grado di scatenare selvaggi conflitti destinati a durare nel tempo. In origine, il Dio delle Bolle El Burbuja—un tipo tozzo, astigmatico e con la faccia butterata—controllava il reame dei piccoli globi pieni d’aria. Tutti credevano che il ruolo di semplice “Dio da feste”, re di palloncini e champagne, fosse di suo gradimento, e inizialmente nessuno prestò molta attenzione al pezzo infarcito di tecnicismi pubblicato su un qualche giornale accademico in cui lo stesso El Burbuja reclamava il dominio su “qualsiasi cosa avvolgesse qualcos’altro.” Almeno finché non si autoproclamò, in rapida successione, Dio dei Ravioli, delle Kishka, delle Pentolacce, delle Borse per Clistere, delle Borse Diamond Forever di Chanel, dei Cateteri a Palloncino e infine dei Corrieri della Droga che Trasportano Pacchetti di Cocaina nello Stomaco. Quest’ultimo attributo gli permise di dichiararsi Dio del Film Maria Full of Grace, cosa che gli garantì l’accesso non solo all’industria del cinema, ma anche a quella della musica. Così, grazie a un abile uso della sintassi, divenne Dio della Canzone “How Do You Solve a Problem Like Maria?”, fino a impossessarsi dell’intero repertorio di Rodgers e Hammerstein. Ovviamente, tutto ciò accadde milioni di anni prima che queste canzoni venissero effettivamente scritte. Con l’astuzia, l’intraprendenza e le incredibili doti divinatorie dell’uomo d’affari quale era, El Burbuja trasformò un certo numero di “acquisizioni” laterali—salsicce kielbasa, palle di vetro con la neve, giostre gonfiabili, perle di tapioca, capsule in gel—in un vasto impero di domini interconnessi che spaziavano dalla fusione del magnesio in Asia alle slot machine passando per gli sparatutto e iTunes—anche in questo caso, eoni prima che una qualsiasi di queste cose esistesse. Se mai un Dio fosse apparso sulla copertina di Cigar Aficionado, quello sarebbe stato El Burbuja. Probabilmente, l’esempio più evidente delle macchinazioni espansionistiche di El Burbuja fu la sua auto-proclamazione a Dio di Quelle Borsette Blu del New York Times Usate per Raccogliere la Cacca dei Cani. Inizialmente, gli altri Dei apparvero confusi. Perché volersi accaparrare una cosa del genere? Per l’ennesima volta, El Burbuja aveva un piano. In breve divenne Dio dei Cani, Dio di New York e Dio della Cacca, senza che ancora esistessero cose come “New York”, i “cani” o la “cacca”. (Gli escrementi degli Dei prendono il nome di “gocce di grana” e contengono gli scarti del coltan, usato oggi in telefoni cellulari e computer.) Quando poi, sulla scia della logica del New York Times, assunse il controllo dei Tempi, nessuno sembrò preoccuparsi, perché quello specifico reame si limitava in realtà ai record dell’atletica leggera e agli orari dei cinema multisala. Ma nel tardo venerdì pomeriggio prima di un ponte festivo, come pianificato, El Burbuja prese il suo ultimo dominio e lo trasformò da sostantivo plurale a singolare, diventando così Dio del Tempo. Fu una manovra tipicamente ingegnosa, e volendo anche cinica e spregiudicata, ma quando alla fine tutti compresero la portata di quel colpo (non più una semplice correzione ortografica), era ormai troppo tardi. El Burbuja li aveva messi di fronte al fatto compiuto, e non avrebbero potuto far altro che adeguarsi. È così che un Dio brutto, sovrappeso, con l’acne e la vista debole riuscì a capitalizzare il dominio su un mucchio di robaccia nel controllo assoluto su una delle dimensioni fondamentali dell’universo, scalando le vette del pantheon fino a diventarne uno dei maggiori esponenti. Nonostante ciò, gli altri Dei continuarono ad assecondare l’astigmatico “Mogul Magoo”, come avevano iniziato a chiamarlo, giustificando ogni comportamento con l’ossessivo stacanovismo e l’aspetto infelice che lo contraddistinguevano. La sua avidità inteneriva i più, tanto che spesso si potevano sentire frasi come “Oh, è solo Mogul Magoo che si comporta da Mogul Magoo.” (Erano tutti consapevoli del fatto che un giorno sarebbe diventato la divinità tutelare dei plutocrati e delle ricche celebrità viziate.) Non mancavano i rimproveri alla “Magoo, ma che fai? Stai buono per un attimo,” ma nessuno provò mai invidia per i frutti delle sue fatiche monomaniacali. Il conflitto tra Magoo ed El Brazo, che talvolta lo chiamava Fräulein Luftblase (“Signorina Bolla”, un sarcastico insulto omofobico), nacque invece per cause relativamente banali. Senza troppa pubblicità, un giorno Magoo si era eletto Dio delle Protesi Mammarie e Dio dello Scroto. Si trattava dell’ennesima applicazione del codice “qualsiasi cosa che avvolge qualcos’altro.” Come la bolla è una sfera d’acqua che contiene aria, lo scroto è una sacca di pelle che racchiude i testicoli, e la protesi al seno un guscio in elastomero di silicone. Magoo si era fatto forte di questa logica reclamandone l’autorità, ma la cosa mandò El Brazo su tutte le furie: in qualità di Dio dell’Urologia e Dio della Pornografia, considerava scroto e protesi parte del suo inviolabile dominio. L’antipatia tra i due (e, di conseguenza, tra Magoo e La Felina) avrebbe avuto ripercussioni significative nel corso dei secoli. Da quel momento, El Brazo iniziò a minacciare di epurare Magoo e la sua corte quotidianamente e pubblicamente, in pieno stile Notte dei lunghi coltelli, mentre Magoo iniziò a portarsi dietro una posse di Pistoleras—mezza dozzina di mercenarie divine armate di scure, con corpi scolpiti e un’insana passione per il fitness. Dalla nuca di ognuna, nell’apertura posteriore dei cappellini da baseball che indossavano, fuoriusciva un mamba nero velenoso. È così che nacque la moda per cui oggi le donne legano i capelli in code di cavallo e trecce e le fanno passare attraverso il copricapo. Gli Dei facevano largo uso di una droga chiamata “Gravy” o Pozole (“Zuppa”). Sembra la assumessero per scopi rituali e ricreativi, e un tempo si credeva che fosse quella sostanza ad averli tramutati in divinità. Si diceva addirittura che il consumo da parte di esseri umani potesse conferire a questi ultimi determinate qualità divine. Il Gravy era stato concepito come una variante del Soma vedico, destinata non all’ingestione ma alla bruciatura. Secondo le credenze aveva proprietà allucinogene ed era ricavato da funghi Psilocybe o Amanita Muscaria, della classe dei Basidiomiceti. Studiosi come Mircea Eliade, Georges Dumezil e Wendy Doniger, professoressa di Storia delle religioni presso l’Università di Chicago, hanno appoggiato la teoria per cui il Gravy sarebbe una forma allucinogena di boršč, anche se oggi diversi esperti lo avvicinano piuttosto ai principi contenuti in colle, solventi e pennarelli a feltro. Quest’ultima idea ha guadagnato consensi presso personaggi del calibro di Harvey Levin di TMZ on TV, il medico legale Cyril Wecht, l’avvocato Mark Geragos e la giocatrice professionista di beach volley Misty May-Treanor. Prima dell’assunzione del Gravy, il rituale prevedeva la recitazione di una formula sacra, dopo la quale l’ospite avrebbe fatto tintinnare il proprio calice contro quello del divino anfitrione. Mezzo bicchiere del liquido allucinogeno contiene circa 14 punti Weight Watchers. Il Gravy da fumare—ottenuto riscaldando la sostanza liquida e il bicarbonato di sodio finché non si formano piccoli precipitati color bianco rosato—viene assorbito più rapidamente dall’organismo, tanto da raggiungere il cervello in circa otto secondi. (Gli effetti collaterali includono, tra gli altri: progeria, fascite necrotizzante, encefalopatia spongiforme bovina, gemelli craniopagi, elefantiasi testicolare, emorragie anali, cancrena dei globi oculari.) Estratto da The Sugar Frosted Nutsack: A Novel, pubblicato da Little, Brown e Company. © 2012 by Mark Leyner.