Il sogno centroamericano

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Il sogno centroamericano

Quando si tratta di documentare l'America Centrale, pochi lavori appaiono completi come quelli del collettivo Ruido Photo. In occasione del decimo anno di attività abbiamo intervistato uno dei suoi fotografi.

Centinaia di giornalisti e fotografi hanno documentato e scritto degli immigrati che dall'America Centrale tentano di raggiungere gli Stati Uniti, così come dei motivi per lasciare i propri paesi e le proprie famiglie. Ci sono stati film, libri e articoli, e buoni o cattivi che fossero, pochi lavori mi sono sembrati così completi e duri come il libro Los migrantes que no importandel reporter salvadoregno Óscar Martínez.Al libro di cronache si aggiunge un libro di fotografie, En el camino, México, la ruta de los migrantes que no Importan del collettivo Ruido Photo. I fotografi catalani Edu Ponces e Toni Arnau e l'argentino Eduardo Soteras hanno fatto diversi viaggi con Oscar Martinez attraverso Honduras, El Salvador, Guatemala, Messico e sud degli Stati Uniti documentando la storia di tante persone che cercano il sogno americano. Oltre a En el camino, i fotografi di Ruido Photo hanno lavorato in 15 paesi, in quattro continenti, e hanno anche una scuola di fotografia e giornalismo.

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Qualche tempo fa ho avuto il piacere di lavorare per la prima volta con Edu Ponces durante le riprese di un documentario per VICE News in Honduras. Edu mi ha detto che stavano preparando una mostra per celebrare i dieci anni di Ruido Photo, quindi ho colto l'occasione per fargli qualche domanda sul suo lavoro e quello dei suoi colleghi.

Jorge Yahir de León, alias Diabolik, è il leader guatemalteco dell'organizzazione criminale Mara Salvatrucha - 13. Al momento si trova nel carcere di massima sicurezza di Fraiganes II a Città del Guatemala. Pau Coll/RUIDO Photo.

VICE: Cos'è Ruido Photo e quali sono gli obiettivi del gruppo?
Edu Ponces: Si tratta di un piccolo gruppo di tre fotografi, una giornalista, un designer e un team di raccolta fondi e di produzione. Operiamo come agenzia indipendente, senza scopo di lucro, ma in pratica è un'agenzia di giornalismo di approfondimento che si interessa di diritti umani e delle grandi problematiche sociali. Il nostro è un giornalismo che richiede tempo e non rimane in superficie.

Migranti su un treno. Edu Ponces/RUIDO Photo.

Chi sono i fotografi che formano Ruido Photo e come finanziano il loro lavoro?
Pau Coll, Toni Arnau e io. Negli ultimi dieci anni ce ne sono stati altri, ma quelli di adesso sono membri fondatori. Ci rivolgiamo a fonti di finanziamento che non siano tradizionali, e vendiamo articoli come freelance, ma cerchiamo anche i presupposti per una cooperazione, perché lavoriamo sui problemi di paesi in via di sviluppo, sui diritti umani, e cerchiamo fondazioni e facciamo campagne di sensibilizzazione. Insegniamo in due università di Barcellona e in vari posti in America Centrale, facciamo corsi in scuole di fotografia. Non insegniamo solo a fotografare, ma insegniamo il nostro modello.

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È un lusso potersi dedicare a quello che si vuole con tanta indipendenza creativa.
Senza dubbio. Perché il livello di indipendenza è molto alto e perché facciamo quello che vogliamo. Ma richiede anche che i fotografi di Ruido non siano fotografi tutto l'anno. La metà del nostro tempo lo dedichiamo a cercare fondi, a ottenere finanziamenti, a fare progetti che spesso non arrivano da nessuna parte perché non ci sono soldi. Ma quando riesci a mettere insieme quello che vuoi allora puoi dedicare due anni ad un progetto, fare esperienza e arrivare a essere una persona informata che sa di cosa sta parlando.

Quali sono i progetti più importanti che avere realizzato?
Adesso stiamo lavorando su tre progetti che danno una buona idea del modo in cui vogliamo lavorare. Uno è En el camino, progetto in partnership con Elfaro.net per il quale per un anno e mezzo abbiamo ripercorso le rotte degli immigrati sudamericani che attraversavano il Messico per arrivare agli Stati Uniti. Documentiamo tutte le violazioni dei diritti umani e tutti gli abusi, che vanno da omicidi, violenze, discriminazioni, disastri ferroviari, e cose di questo genere.

Marcela abitava sulla riva del fiume Paraná ed è stata mandata via dalla sua casa per la costruzione della diga Yacireta. Toni Arnau/RUIDO Photo.

Orilleros è un progetto della giornalista di Ruido Photo, Ale Cukar e Toni Arnau; hanno percorso il fiume Paraná, che è uno dei più grandi dell'America Latina. Su questo fiume viveva una gran quantità di persone che sopravvivevano di pesca, ma ora per l'industrializzazione, l'inquinamento e l'installazione di dighe il fiume sta morendo. Invece di un problema ecologico, in questo caso lo proponiamo come problema umanitario. Come una popolazione su un lunghissimo fiume piano piano abbia perso la sua fonte di sostentamento e sia in una situazione di miseria. Questo è materiale sul quale è stata fatta molta cronaca e reportage e di fatto c'è un libro in attesa di pubblicazione.

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Il terzo è Sala negra, che è ancora una volta un progetto che coinvolge Elfaro.net. È un progetto di tre anni di indagine sul fenomeno della violenza in America Centrale. Indaga sul perché Triangolo del Nord, Guatemala, El Salvador e Honduras, sia tra le zone più violente del mondo. È un progetto che denuncia questa crisi di violenza, perché è una cosa che non viene trattata abbastanza, considerato il numero di omicidi e le barbarie che si vivono. È anche un tentativo di approfondire un po', di mettersi faccia a faccia con persone che stanno vivendo questa violenza, per vedere come una società integri nella sua normalità questa violenza.

"Vicky" , attivista per la diversità sessuale tra le più conosciute dell'Honduras. Dopo essere stata picchiata e minacciata ha dovuto lasciare il suo paese. Edu Ponces/RUIDO Photo.

La maggior parte del tuo lavoro come fotografo è stata in America Centrale. Come ci sei arrivato?
Per caso. Quando ho finito di studiare non avevo opzioni di lavoro interessanti. Per caso ho incontrato un salvadoregno che conosceva il direttore di El Faro a El Salvador, gli ho scritto per dirgli che volevo lavorare con loro tre mesi, gratis. Avevo 24 anni, oggi ne ho 33. Mi hanno detto che gli serviva qualcuno per le foto e mi diedero questa possibilità. Quattro mesi dopo sono stato assunto come capo fotografo di una rivista online di ricerca. Dovevo risollevare la sezione fotografica. Abbiamo eliminato un po' la foto come illustrazione a commento e le abbiamo dato uno spazio proprio per mostrare le problematiche politiche e sociali. Sono stato lì per due anni e mezzo e poi Ruido Photo si è fatta cosa più seria e abbiamo cominciato a lavorare insieme. Da allora sono la filiale di Ruido Photo in America Latina. Il 95 percento del mio lavoro l'ho fatto qui, e mi muovo meglio in America Centrale che in Spagna; inoltre mi sono formato qui. I miei insegnanti migliori e i miei editori sono dell'America centrale.

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Qual è l'impatto che cercate di generare con il vostro lavoro?
Parte del lavoro è cercare di fare qualcosa di utile. Facciamo giornalismo per ottenere qualcosa, questa è l'essenza di Ruido. La fotografia documentaristica ha preso una piega artistica, che è molto interessante, ma che molte volte è molto lontana dalle persone che vengono fotografate. Ruido vuole tornare all'idea di un fotogiornalismo attivista.

Ma vendete anche ai media, bisognerà pur vivere di qualcosa, no?
A volte vendiamo materiale ai giornali, ma non è la nostra fonte primaria di entrate. Questi sono extra. A volte lo facciamo perché ci interessa pubblicare in un certo giornale per arrivare ad un certo pubblico. Ma l'idea di essere un freelance che dipenda completamente dai media è una condanna.

Toni Arnau/RUIDO Photo.

Gli europei sono interessati a quello che succede in America Centrale?
Sì, ma bisogna cambiare approccio. En el camino, per esempio, è un modo di creare uno specchio per l'Europa. Il luogo in cui ci si trova ormai ha smesso di essere importante. Noi stiamo in Spagna e pubblichiamo molto più nei media latinoamericani e in quelli degli Stati Uniti che in Spagna. Ora la crisi in Spagna ha portato un sacco di nuovi media ad interessarsi alle storie che seguiamo. I temi che sui quali lavoriamo si sono trasformati nella loro agenda giornalistica.