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Dovremmo tutti vedere questo episodio di Bojack Horseman

"Fish Out of Water" è il quarto episodio della terza stagione di Bojack Horseman, nonché il migliore finora, perché racchiude in venticinque minuti tutta l'essenza della serie Netflix. Ecco perché dovreste vederlo.

Una scena di

Bojack Horseman.

Attenzione: Il post contiene riferimenti a momenti specifici della serie—nessuno di questi qualificabile come spoiler, ma siete avvertiti. Mentre iniziavo a vedere la seconda stagione di Bojack Horseman è uscito uno studio che assicurava che esistono delle serie pronte a farti diventare "una persona migliore"—serie che, grazie alla loro trama o agli intrecci dei personaggi, dovrebbero aiutarti a comprendere gli altri e i loro problemi.

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Ho sempre odiato dover mirare a diventare una persona migliore. Così, per curare tutta l'ansia derivata da questo rischio, ho trovato in Bojack e nella sua storia una comfort zone che mi assicurasse che la vita è una merda, che io sono una merda e che, in fondo, tutto rimarrà così.

In effetti, se prima di conoscere la serie mi avessero detto che avrei empatizzato o, ancora meglio, che mi sarei sentito come un cavallo animato di 50 anni, avrei banalmente riso. Circa due anni dopo ho pensato seriamente di essermi innamorato di una cerva.

La storia di Bojack Horseman è molto semplice: ogni stagione della serie animata prende in considerazione un preciso momento della carriera di Bojack, un attore nonché un cavallo antropomorfo che "back in 90's was in a very famous TV show," come recita la sigla. Semplificando al massimo, la prima stagione considera tutto il declino di un ex star, la seconda il tentativo di tornare in auge e realizzare il lavoro dei propri sogni, la terza—ovvero quella resa disponibile su Netflix lo scorso 22 luglio—la corsa agli Oscar. Al momento è stata confermata anche una quarta stagione.

A far da legame tra tutti e 36 gli episodi per ora disponibili c'è un macro argomento dalle mille sfaccettature: l'incapacità di stare al mondo. Quest'incapacità porta alla perenne insoddisfazione, all'autodistruzione, all'incomunicabilità—in poche parole, a ciò che in apertura definivo "essere una merda." Con il tempo ho provato più volte a convincere chi mi stava intorno a guardare Bojack, che sì è un cartone, sì è una comedy, sì fa ridere, ma è anche uno dei prodotti più profondi che ricordi di aver visto negli ultimi anni. Uno dei pochi, inoltre, la cui struttura mi ha impedito di divorarlo tramite binge watching. Ho comunque visto (e rivisto) gli episodi in un arco di tempo breve per non perdere quell'ironia orizzontale che si protrae per più puntate, certo. Eppure, spararsi in rapida successione questi episodi da circa 25 minuti rischia di essere una corsa al traguardo finale senza senso, con il rischio di perdersi tutto il lato profondo della serie.

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In queste sessioni di visione, in particolare nella terza stagione, mi sono imbattuto in un episodio che—meglio di ogni altro—potrebbe benissimo essere una presentazione in Power Point, ma con molto più stile, di ogni tema di

Bojack Horseman

. Un episodio che anche chi non ha intenzione di seguire tutte le tre stagioni dovrebbe e potrebbe vedere. Una scena di Bojack Horseman.

L'episodio è il quarto della terza stagione, che in inglese si intitola "Fish Out of Water" e che in italiano è stato reso come "Un pesce fuor d'acqua". L'ambientazione è un'ambientazione fino a quel momento inedita, con location nuove, personaggi nuovi e pochi dei punti di riferimento tra quelli delle puntate precedenti.

Questa, invece, è la trama: nella campagna di promozione della sua persona in vista degli Oscar, Bojack si ritrova a dover presenziare a un festival cinematografico sottomarino. Allo stesso festival è presente la prima regista di Secreteriat, il bio-pic che potrebbe portare all'Oscar Horseman, la stessa regista che Bojack ha fatto licenziare. Quando inizia la puntata, Bojack è in un periodo in cui decide di voler mettere in sesto—per l'ennesima volta—la sua vita, di voler essere finalmente maturo. Tra i gesti di maturità c'è anche il chiarire tutti i torti del passato.

Da qui nasce il titolo dell'episodio, ed è singolare come un episodio realizzato sott'acqua parli di un pesce fuor d'acqua; Bojack è così: nelle migliori situazioni riesce, sempre, a mandare a puttane tutto. E mentre sullo sfondo le cose sembrano andare normalmente, ogni problema di Bojack si accentua.

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Sott'acqua Bojack non può parlare, non può fumare e non può bere, o almeno crede di non poterlo fare. L'unico modo in cui Bojack comunica con lo spettatore, dunque, è attraverso la mimica facciale, grazie all'animazione che, con la colonna sonora, ci permette di empatizzare con il personaggio. La trama resta molto lineare, e per quanto l'intero episodio sia una grossa metafora, per l'appunto, non perde tutta l'ironia che rappresenta da sempre il primo strato di lettura: c'è il classico umorismo sullo sfondo sulle usanze degli animali, come tutte le gag con le sardine, o il grottesco confronto tra il cavallo Bojack e il suo corrispettivo marino, che sottolinea la diversità tra due specie apparentemente simili (Bojack, per esempio, non sa che a partorire è il maschio del cavalluccio marino).

La scelta di un episodio non parlato fa sì che Bojack Horseman possa prendere le distanze da tutti i riferimenti facili: la comedy Netflix non fa parte dell'emisfero dei Simpson o dei Griffin, non è da punchline. Bojack Horseman qui si rivela per il drama che aspira a essere, toccando temi come la paternità, l'incomunicabilità e la depressione. E lo fa con una classe e una bellezza uniche, citando un caposaldo dell'animazione come Fantasia, ma anche un classico contemporaneo come Adventure Time, fino ad arrivare a piccoli capolavori di nicchia del mondo dei videogiochi come Hohokum.

Come l'animazione, infatti—per quanto possa sembrare assurdo—accresce l'umanizzazione dei personaggi facilitando l'immedesimazione in essi, così l'assenza di dialoghi amplifica la comunicazione. Con i dialoghi non potremmo godere, per esempio, del gioco di suoni e colori dell'inseguimento sui coralli, non potremmo cogliere appieno quanto sia disadattato Bojack, quanto sia sempre pronto all'errore, come capita nel finale di puntata.

Ed è proprio nell'equivoco finale che sta la bellezza dell'episodio. Capita spesso che, in alcuni drama, venga usata una puntata fuori da un normale contesto e che si crei una sorta di parallelo tra ciò che accade effettivamente ai personaggi e la loro evoluzione. Il primo esempio che mi viene in mente è "Fly" di Breaking Bad, in cui la caccia alla mosca è un'enorme metafora del cedimento emotivo di Walter White e del suo rapporto con Jesse.

In "Fish Out of Water" tutto ciò che accade a Bojack è un enorme recap di ciò a cui abbiamo assistito fino a quel momento e una piccolo assaggio di quello a cui assisteremo: il prendersi cura di un cucciolo, come non è riuscito a fare con Penny, la figlia dell'amica cerva, o come non riuscirà a fare con Sarah Lynn, la bambina co-protagonista di Horsin' Around, o la totale disattenzione per ogni raccomandazione esterna, che lo porta a un attrito con la stampa e a non poter parlare per un intero episodio, il fallire in ogni tentativo di aggiustare le cose con Kelsey, la regista, che evidenzia come, lentamente, intorno a Bojack si crei il nulla, che ogni azione del passato ha un preciso riscontro nel presente. Così, mentre le imprecazioni di Bojack vengono interrotte dai titoli di coda, ripensi a tutte le storie con delle Princess Carolyn che hai mandato a puttane per il tuo essere disadattato, a tutte le scuse che nessuna Kelsey ha mai ricevuto, e ti senti come un cavallo di 50 anni fallito.

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