Cosa è diventato Che Guevara, 50 anni dopo
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Cosa è diventato Che Guevara, 50 anni dopo

Dieci anni fa era sulle magliette di tutti i nostri amici. E adesso?

Poco più di una settimana fa, il tenente dell'esercito americano Spenser Rapone è finito al centro dell'attenzione per aver pubblicato alcune foto scattate il giorno della sua cerimonia di laurea all'accademia di West Point—foto che hanno spinto i vertici militari a valutare una punizione nei suoi confronti e il senatore Marco Rubio a definirlo "una minaccia per la sicurezza nazionale." In una foto Rapone mostrava l'interno del suo cappello, dove aveva scritto "communism will win." In un'altra sfoggiava fiero una maglietta di Che Guevara sotto l'uniforme militare.

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Come prevedibile, i conservatori e le testate di destra non hanno gradito particolarmente la notizia:

Ieri è caduto il 50esimo anniversario della morte di Ernesto Che Guevara, ucciso dalle forze speciali boliviane coadiuvate dalla CIA nel villaggio di La Higuera, in Bolivia, mentre cercava di provocare lo scoppio di un'insurrezione popolare nel paese applicando le tattiche di guerriglia che aveva già usato a Cuba e in Congo. Durante la sua vita, Guevara è stato una delle tante figure carismatiche del comunismo mondiale. Dopo la sua morte è diventato molto di più, tanto che il suo volto è arrivato persino sulla maglietta sotto l'uniforme di un futuro ufficiale dell'esercito americano.

Come molti adolescenti vagamente di sinistra, anch'io ho avuto una maglietta del genere (anzi, ce l'ho ancora, anche se oggi non la indosserei). Magliette e altri capi di vestiario con l'effigie di Che Guevara—in particolare con quella basata sulla famosa foto "Guerrillero Heroico" di Alberto Korda—sono talmente diffuse da aver generato una vera e propria sottocultura, quella del "Che chic.".

E non ci sono solo le magliette. Maradona, Mike Tyson e Fabrizio Miccoli hanno tutti e tre un tatuaggio col volto di Che Guevara. Ristoranti, bar e negozi che usano il volto del Che sorgono in tutto il mondo. Il Che è stato usato a fini pubblicitari di ogni tipo, anche da parte di brand come Converse e Taco Bell. Guccini gli ha dedicato almeno cinque canzoni.

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Non è difficile capire quali siano le origini di questo fascino. L'intera parabola di vita di Che Guevara è una specie di pubblicità del romanticismo moderno: abbiamo sentito la storia del medico asmatico che parte per un viaggio on the road in America Latina in cui conosce se stesso e vede la povertà del continente; quella dell'idealista che vuole cambiare il mondo e a questo scopo mette da parte le sue origini borghesi, la sua formazione universitaria e la sua malattia cronica; e infine quella di chi dopo avercela fatta non si accontenta, rifiuta gli onori e parte per fare altre rivoluzioni e morire da martire. Non so se qualcuno abbia mai applicato alla storia di Che Guevara lo schema di Propp, ma non serve farlo per capire che la sua storia è di per sé fiabesca.

Nel 1997, 30 anni dopo la morte del Che, il New York Times ha pubblicato un pezzo in cui cercava di ricostruire le origini del suo mito. Secondo l'autore, la fascinazione per il Che non sta tanto nel fatto che fosse bello o che sia morto giovane, ma piuttosto nel desiderio di figure eroiche, idealiste, ribelli e capaci di auto-sacrificio. "Man mano che la possibilità di un vero cambiamento si allontana, la gente ha sempre più bisogno di simboli di resistenza e il Che è il simbolo di resistenza per eccellenza," ha detto Colin Robinson, direttore della casa editrice Verso Books, intervistato nell'articolo.

È significativo che quest'analisi sia del 1997, ossia pochi anni dopo il crollo dell'URSS e la crisi dell'ideologia che rappresentava. Per certi versi, è ancora vera. Qualche battuta dopo, nella stessa intervista, Robinson coglie quello che penso sia il punto fondamentale: l'immagine del Che si è evoluta con il tempo, e ha mutato significato man mano che mutava il contesto in cui veniva adorata come un'icona religiosa.

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Aveva un valore negli anni Settanta, subito dopo la sua morte e in un periodo in cui il mondo era attraversato da grossi sommovimenti sociali. È diventata veramente un simbolo di ribellione durante le proteste del 1968 in Francia, quando la storia del Che—la storia di un borghese diventato campione della classe lavoratrice—rappresentava alla perfezione le aspirazioni e l'ideale di vita della generazione delle proteste contro la guerra del Vietnam, e quando la sua apparente indifferenza nei confronti della gloria e degli onori faceva presa sulla generazione di Woodstock. All'epoca la sua estetica, dalla barba al basco, era diventata uno stile preciso imitato in tutto il mondo, una specie di canone estetico dell'opposizione alla politica estera americana. Non per niente, secondo la BBC, "[Guevara] ha praticamente inventato l'immagine del radicale di sinistra barbuto adottata da migliaia di persone durante gli anni Sessanta e Settanta."

Nei decenni seguenti—gli anni Ottanta e Novanta, un periodo di reazione globale culminato nel crollo del blocco sovietico—la sua figura ha pian piano assunto un altro valore. Tramite l'immagine, le complessità della vita e del pensiero del Che sono state riprocessate in un'astrazione capace di servire ogni causa: il suo volto è stato dipinto su graffiti a Betlemme, portato in manifestazione dalla Palestina al Messico, usato da artisti per rappresentare temi molto diversi tra loro—dall'anti-americanismo, alla ribellione giovanile, all'identità latinoamericana. Nei primi anni Duemila, quando la maglietta del Che la indossavo anche io, aveva un altro valore ancora.

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E un altro ancora ne ha oggi, 25 anni dopo la fine del socialismo reale, e dieci dopo una delle peggiori crisi economiche della storia. O almeno, è questo quello che vedo io nello sforzo di Silvana e Luigi, i due tizi che ieri hanno comprato uno spazio sul Corriere della Sera per far pubblicare un breve necrologio in onore del Che con la scritta "Hasta la victoria siempre comandante."

Con la crisi della sua ideologia, l'immagine del Che si è progressivamente trasformata. Al rivoluzionario devoto alla causa—al guerrigliero eroico, appunto—ha finito per accostarsi un'immagine più umana fatta di foto di lui con un cagnolino e scene dai Diari della motocicletta. Nel 1995 Verso Books è stata tra le prime case editrici a pubblicare quest'ultimo libro—il racconto del viaggio in moto per il Sudamerica di Guevara e Alberto Granado, pubblicizzato con lo slogan " Il Capitale incontra Easy Rider"—e le 50mila copie vendute hanno superato ogni aspettativa per la piccola casa editrice abituata a stampare tirature da 5mila.

Nel 2004 quest'immagine del Che ha conosciuto un successo globale grazie al film omonimo, realizzato con la collaborazione di Alberto Granado stesso. Anche in quel caso i paragoni sono stati fatti più con Jack Kerouac che con Lenin. Dopo l'uscita del film, i tour operator della regione hanno iniziato a organizzare viaggi "sulle orme dell'icona rivoluzionaria" e nel 2010 i ministeri del turismo di Argentina, Bolivia e Cuba si sono messi al lavoro per realizzare i "Caminos de Che"—una specie di versione guevarista del cammino di Santiago.

Posso capire bene questo slittamento di prospettiva—visto che, crescendo nel pieno del revival guevarista, ho visto diverse volte I diari della motocicletta e ho guardato anche Che - l'argentino con Benicio del Toro ma ho completamente ignorato il seguito, Che - Guerriglia, che parla appunto della guerriglia in Bolivia e della morte. Questo per dire come già all'epoca, senza che me ne accorgessi, l'immagine romantica del Che Guevara "buonista" aveva preso il sopravvento su quella del guerrigliero disposto a tutto per un fine superiore, che operava in un certo contesto e con una certa strategia.

David Kunzle, autore di Che Guevara: Icon, Myth and Message, scrive che nonostante i media e molti biografi del Che abbiano lamentato—i primi con ironia e i secondi con un certo rimpianto—"la trasformazione della sua figura in un fenomeno kitsch," quella del Che sarebbe una "ritirata strategica."

Si tratta di uno slittamento comprensibile, che fa parte di un più ampio movimento storico di arretramento della sinistra dal terreno sociale verso istanze che potremmo definire "morali" e che fa sì che un personaggio come Che Guevara venga santificato come idealista romantico che voleva cambiare il mondo guardando forte l'orizzonte, eliminandone tutti gli elementi necessariamente problematici e contraddittori del Che Guevara reale—che poi è anche il modo migliore di vendere un prodotto.

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