Oltre le mura dell'inferno

FYI.

This story is over 5 years old.

reportage

Oltre le mura dell'inferno

In questo reportage fotografico, Thomas Martin documenta gli orrori delle prigioni africane.

Sono entrato per la prima volta in contatto con gli orrori delle prigioni africane nel 2006, all'epoca del mio viaggio in Ruanda. Ero lì per documentare i luoghi del genocidio, e ho trascorso il mio tempo fotografando stanze piene di ossa e vestiti insanguinati che puzzavano di morte, con i pochi averi ancora accatastati contro pareti che erano state testimoni di orrori inimmaginabili. Dato che in quello stesso periodo si sarebbero svolte le elezioni nella vicina Repubblica Democratica del Congo, ho deciso di passare un po' di tempo lì per fare reportage dal campo.

Pubblicità

Trovati un giornalista e un'interprete del luogo, ho noleggiato una Toyota Corolla e mi sono diretto in Congo. Non eravamo nemmeno al confine quando abbiamo cominciato a vedere pickup pieni di bambini soldato. Il conflitto è ovunque e permea ogni istante della storia del Paese. Anni e anni di guerra si sono evoluti in continue lotte intestine, e una delle armi più usate è l’HIV, diffuso da squadre di soldati infetti la cui unica missione è lo stupro di massa di interi villaggi—le vittime non sono solo donne, ma anche bambine. Una volta in Congo, avevo fatto solo un paio di ore di foto quando un poliziotto ha cominciato a urlarci contro. Il suo caschetto rosso e verde lo rendeva una figura comica, difficile da prendere sul serio; epppure, in breve tempo ci siamo ritrovati con delle mitragliatrici puntate addosso. Ci hanno spinto nel retro di un pickup e condotti in caserma. L'edificio, in accordo con l'ambiente circostante, era circondato da alte mura di lamiera con torri di vedetta agli angoli. Per lasciarci andare volevano 20.000 dollari . Era una cifra che non potevamo permetterci, così siamo stati separati e spinti nelle rispettive celle. Poi è cominciata la lunga attesa. Solo, nella mia cella, ho provato una paura indescrivibile. Non c'erano missioni diplomatiche in quella parte del Congo. Nessuno sapeva che eravamo lì, e a nessuno interessava.

 Diverse ore dopo ho sentito un clacson e, mentre guardavo fuori, una bianchissima Range Rover è entrata nel complesso. Eravamo stati incredibilmente fortunati: la nostra interprete, scelta a caso tra altri, aveva una storia con un ministro del governo congolese e si era attivata per aiutarci. Dopo qualche ulteriore alterco, siamo stati rilasciati. Il nostro lasciapassare era stato annotato su un post-it, firmato dal ministro e dal capo della polizia. Ci eravamo salvati per un capriccio del destino, ma la nostra liberazione casuale ci ha reso molto chiara una lezione scioccante: molto spesso, le persone incarcerate in quei luoghi dimenticati da dio sono innocenti quanto lo ero io.

Pubblicità

Alcune guardie fuori dall'ingresso principale della prigione di Ruyigi, in Burundi.

Il Burundi è una delle nazioni più povere al mondo, reduce da una guerra tra etnie durata 12 anni. Questa situazione devastante ha creato una generazione di ribelli e soldati di professione il cui unico scopo è combattere.

Nel mezzo del caos della città di Ruyigi c'è la prigione, un edificio spoglio e fatiscente con i cancelli arrugginiti. Dopo qualche futile tentativo dopo il mio arrivo nel Paese, sono infine riuscito ad avervi accesso, e sono stato invitato nell'ufficio del direttore—una stanza squallida pien di scartoffie sino al soffitto. Dietro la sua rozza scrivania, intagliata nel mogano scuro locale, campeggiava il più grande poster di Barack Obama che avessi mai visto. Immediatamente mi sono chiesto se il primo presidente afroamericano degli Stati Uniti d'America avesse una vaga idea dell'esistenza di posti simili. Il direttore mi ha accolto con un sorriso largo ma nervoso. Era ansioso di condividere con il mondo esterno i problemi che la prigione doveva affrontare. Sapeva che era la sola via per cambiare qualcosa. Una settimana più tardi sono stato informato che aveva subito delle ritorsioni per il solo motivo di avermi fatto entrare.

Un prigioniero guarda fuori dai cancelli principali della prigione di Ruyigi, in Burundi.

Mi ha detto che di recente c’erano state delle rivolte, e che per qualche giorno alla prigione non era arrivato cibo (di solito, nelle prigioni africane, sono le famiglie dei prigionieri a fornire vettovaglie ai loro cari). I prigionieri erano affamati, e fame significa aggressività—rabbia e frustrazione li portavano a scontri, e a volte anche a omicidi.

Pubblicità

Dalle mie ricerche ho scoperto che la prigione era sovraffollata, a più del 270 percento rispetto alla sua capacità. Sulla carta le statistiche non avevano molto significato per me, erano solo cifre. Ma quando mi si sono aperte le porte delle prigione, ho compreso cosa significasse davvero in termini di condizioni umane. Il cortile, scoperto, pullulava di corpi—uomini, donne e bambini. I prigionieri erano così pigiati che non sarebbero stati in grado di sdraiarsi tutti contemporaneamente. Sgangherati rifugi lungo il perimetro offrivano una protezione risibile dalle intemperie. E in Burundi piove davvero tanto.

La puzza era molto intensa—le rivolte significavano il blocco totale, così che nessuno poteva entrare o uscire e le fosse adibite a bagno stavano per esplodere. È calato il silenzio, mentre occhi affamati si rivolgevano a noi. Non ci sono mai molti visitatori, in questi luoghi. Su consiglio dei miei compagni di viaggio avevo tolto ogni cosa dalle tasche e avevo lasciato tutto in macchina, ma mentre attraversavamo la folla sentivo le loro fredde mani ruvide che mi tastavano furtivamente gli abiti.

Il direttore e due guardie armate di AK47 ci hanno guidato attraverso la calca fino a una piccola stanza nel retro della prigione, dove stavano i bambini.

Le detenute non sono separate dagli uomini, e, conseguentemente, subiscono regolari stupri, a cui seguono numerose nascite non desiderate e un'impennata dei tassi dell'HIV.

Pubblicità

I bambini vengono messi in prigione per un sacco di motivi, anche se, per legge, nessun bambino con meno di 15 anni potrebbe essere incarcerato. Alcuni sono nati lì—la sfortunata progenie di detenute violentate. Altri invece sono accusati di crimini pretestuosi, come vendette nelle faide tra vicini o litigi in famiglia.

L’assenza di un sistema giudiziario minorile fa sì che che i ragazzini con più di 15 anni siano processati come gli adulti. Il Burundi ha solo 106 avvocati a cui la popolazione di più di 8 milioni di persone possa rivolgersi. Nel 2010, è stato dichiarato il Paese più corrotto dell’Africa orientale. È la norma che i prigionieri aspettino più di quattro anni per ottenere un processo. Bisogna pagare i giudici per avere un'udienza, e più paghi più favorevole sarà la sentenza. Ovviamente, le famiglie contadine non possono quasi mai permettersi di pagare le mazzette, quindi raramente sono in grado di liberare i proprio cari detenuti.

La sezione femminile della prigione era separata dal resto della struttura da una porta aperta. Ci hanno raccontato come le donne siano regolarmente violentate dai carcerati uomini, contraendo così l’HIV.

Chiunque venga da un Paese sviluppato troverebbe arduo vivere nel migliore albergo del Burundi, quindi non credo che riuscirò a dare un'idea di quanto sia merdosa la vita per questi prigionieri. Quando fuori ci sono banditi che lanciano bombe a mano nel primo bar che gli capita, non c’è cibo e i tuoi bambini stanno morendo di AIDS o sono destinati a imbracciare un fucile, allora dietro le sbarre è, letteralmente, un inferno.

Pubblicità

Visitate il sito di Thomas Martin: MartinAndMartin.eu.

Il cortile della prigione pullulava di corpi.

Prigionieri bambini, Ruyigi.

Un prigioniero e una guardia all'entrata della prigione di Ruyigi.