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Sul luogo dell'incidente dell'autobus Erasmus a Tarragona

Erano le 11 di domenica mattina quando con una chiamata del tutto inattesa mi è stato chiesto di recarmi sulla scena dell'incidente di Tarragona in cui sono rimaste uccise 13 ragazze.

RTVE

Erano le 11 e dieci quando ho ricevuto la chiamata: "Alba, puoi andare a Tarragona a coprire l'incidente dell'autobus?" Ero sveglia da pochi minuti, e non sapevo ancora niente. Ho chiesto, "Quale incidente? Quale autobus?"

Due ore dopo ero al km 333 dell'austrada AP-7, dopo aver passato tutto il tragitto a prepararmi mentalmente a ciò che avrei visto. Ho scoperto il luogo esatto dell'incidente tramite la localizzazione su Whatsapp fatta da una delle unità mobili allestite per questo tipo di situazioni. Mentre guidavo ascoltavo le notizie alla radio e alle volte mi annotavo dove capitava i dettagli che pensavo mi sarebbero tornati utili. Sulla mia mano c'era scritto che le vittime erano 14 (anche se poi si sono rivelate 13), che le persone coinvolte nell'incidente erano 63, i feriti gravi 13 e quelli molto gravi tre.

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Le autorità stavano cercando di fare del loro meglio per gestire la tragedia. La stampa poteva usufruire di un hotel nelle vicinanze, mentre un team di psicologi specializzati in questo tipo di traumi era a disposizione delle persone illese. Noi giornalisti eravamo ammassati a un lato del luogo della tragedia, in un quadrato di terra leggermente elevato, come un palco improvvisato sulla disgrazia umana. Ho provato a immaginarmi quelle 13 ragazze nell'autobus che avevo di fronte, completamente distrutto. Nella mia testa non riuscivo a spiegarmi come il conducente avesse avuto la fortuna—o la sfortuna—di uscirne vivo. Dicono che abbia sterzato a sinistra dopo aver passato il guard rail ed essere finito nella carreggiata opposta, superando alberi, piante e fiori.

Non sono arrivata in tempo per la prima diretta. Accanto a me c'erano le presentatrici che approfittavano dei minuti prima del servizio per sistemarsi e memorizzare testi spesso frivoli, il tutto davanti alla scena dantesca dei corpi coperti da teli. Avremmo potuto essere tu, io, tua sorella, tua cugina.

Mentre aspettavo di ricevere delle indicazioni, mi sono limitata a contemplare i curiosi che si avvicinavano ai rottami. Tra loro c'era anche una coppia che aveva deciso di lasciare la figlia di sette anni sui sedili posteriori della macchina per andare ad assistere al momento più interessante: i vigili del fuco che strappavano i sedili dell'autobus per poter estrarre i corpi. Perché le persone sono così morbose di fronte a queste scene?

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Improvvisamente hanno annunciato una conferenza stampa in hotel. Il rappresentante degli Interni, Joan Jané, ha fatto un primo bilancio del dramma. Per assistere i feriti si erano mobilitati più di dieci ospedali nella zona. Anche Barcellona e Valencia hanno contribuito, mettendo a disposizione stanze per tutte le persone coinvolte. Il momento più scioccante è stato quando è arrivato l'annuncio che due delle 13 vittime non avevano potuto essere identificate. Dicevano che alcune delle ragazze avessero cambiato autobus all'ultimo per stare con le amiche che avevano conosciuto durante l'escursione.

Era tutto perfettamente orchestrato, come parte di un copione. Politici, rappresentanti dell'università ed esperti delle catastrofi sfilavano davanti a noi trasmettendo informazioni al contagocce perché queste fossero a loro volta comunicate al pubblico. Nel frattempo, i dettagli di cui eravamo in possesso sul campo erano gli stessi che venivano dati dalla stampa ufficiale. Quando uno degli inviati ha scoperto che a breve i primi corpi sarebbero arrivati all'obitorio ci siamo precipitati tutti lì. I sopravvissuti non li abbiamo visti nemmeno da lontano, ma non fatico a immaginare cosa sarebbe successo se una di loro fosse stata avvistata sulla scena, con tutte le belve al capezzale, pronte a mostrare il dramma e immortalare un pianto.

Al lavoro c'erano 17 specialisti forensi impegnati a identificare i 13 corpi. Ai familiari delle vittime erano stati chiesti campioni di DNA o qualsiasi cosa potesse essere utile per risalire all'identità—elastici, la descrizione di un tatuaggio, foto recenti. Due degli incaricati, dicevano le voci che circolavano sulla scena della tragedia, erano specializzati in odontoiatria e avrebbero fatto dei confronti sulla base della dentatura. Mi sono chiesta che tipo di persona, con un lavoro del genere, possa avere la forza di tornare a casa e riuscire a giocare coi propri figli o guardare la TV.

La nazionalità delle vittime è stata confermata solo stamattina. Non sono dettagli che cambiano le cose (se non per le persone coinvolte, chiaramente), ma la cronaca si basa anche su questo: sette italiane, due tedesche, una rumena, una francese, un'uzbeka e un'austriaca. Alcune famiglie sono già arrivate in Spagna, anche se nessuno dei parenti sa cosa troverà di preciso.

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