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Música

Il problema di Bowie è il giorno dopo ancora

C'era davvero bisogno di tutta l'indignazione dei favorevoli e contrari al video di Bowie?

Non ne ho mai saputo molto di come realizzare musica né video, ma ho sempre pensato che per realizzare un videoclip-scandalo chiunque si attenesse a un insieme di regole che qualche anno fa avevo persino enunciato da qualche parte. La prima è che ci dev’essere una gran patina, la seconda è che il messaggio non deve arrivare e la terza è che per stare sul sicuro il messaggio conviene toglierlo proprio. La quarta è che, dato che siamo qua a non mandare messaggi, tanto vale che non ne mandiamo due contrapposti così che la gente possa fraintenderci… E via andare: roba noiosa, vi basti sapere che dal punto otto in poi rimangono a scandalizzarsi soltanto i fondamentalisti religiosi, e tra le varie confessioni conviene scandalizzare i cattolici: sono in molti, tenuti al perdono, vestono peggio degli altri, producono musica orribile e non sono disposti a uccidersi per essere ascoltati. E comunque troverebbero presto qualcosa di più innocente e stupido di cui lamentarsi. Non riesco a risalire con la memoria fino al primo videoclip-scandalo che ho visto, ma credo di poter retrodatare tranquillamente fino al momento in cui ho visto il primo videoclip in generale: forse qualcosa di Madonna ai bei tempi, o magari un brutto artista italiano. Per quanto ne so io, il video-scandalo potrebbe essere nato prima ancora del videoclip.

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È una specie di precotto musical/cinematografico che ti viene venduto pronto al consumo, con l’indignazione e il campanilismo e le posate dentro la confezione: schiacci il bottone rosso e il piatto si scalda. Se hai culo parte il nuovo video di David Bowie, a patto che non sia già stato rimosso. C'è Gary Oldman vestito da prete che pesta un tizio ed entra in un bar. Dentro al bar, Marion Cotillard molto truccata stroieggia e beve assieme a preti e vescovi; a un certo punto succede qualche casino e a Marion Cotillard vengono le stigmate. David Bowie canta sul palco vestito come Willem Dafoe nel film di Scorsese (in cui, tra l'altro, lui faceva Pilato). Gary Oldman urla, c’è qualche rissa, Il pezzo potrebbe essere anche più brutto, ma dubito che finirà tra i dieci brani preferiti di un qualsiasi fan di Bowie. Il video rispetta il punto uno (gran patina) a viva forza, anche se paga un’ambientazione e una messinscena un po’ troppo simili a una versione blasfema del video di "We Are Young"; i punti successivi vanno da sé. Sta su YouTube, non credo di essere obbligato a descriverlo. Fa schifo.

La cosa triste del nuovo video di Bowie è il pattern. Esce il video, non racconta, non si schiera, non ammette di non schierarsi, è pronto per affrontare il cammino naturale di queste cose. Per cammino naturale si intende (al momento) un bizzarro rincorrersi in tempo reale di conferme e smentite: nel giornalismo di internet funziona come per i coccodrilli, sembra tutto già scritto e immagazzinato dentro un hard drive delle opinioni casuali, rispolverate a caldo con l’intento di sostenere una tesi o l’altra. E oggi come oggi, anche a stare assiduamente sui network è perfettamente normale leggere una dichiarazione dopo aver letto la smentita. A me è successo col video di "Die Young": ho letto Ke$ha scusarsi con l’opinione pubblica (e raccontare di essere stata costretta a cantare il suo singolo) PRIMA di sapere che qualche radio aveva boicottato la canzone dopo la strage di Newtown, rovinandomi per sempre la possibilità di formarmi un’opinione complessa sulla faccenda. Questa cosa, in linea di principio, basta e avanza a dar conto di Ke$ha come di una non-artista senza manco la spina dorsale necessaria a scegliersi che testi cantare o meno: registri la cosa, la soppesi, dividi per il vestito fatto coi sacchi dell’immondizia e la tua opinione su tutta la faccenda è bell’e pronta. La stessa cosa, più o meno, è successa con l’ultimo brano di Bowie. Postato su YouTube, rimosso da YouTube, riaccolto su YouTube a furor di popolo (dichiarazioni scandalizzate, attestati di stima assoluta, gente che dichiara il suo amore per il video), il tutto nel giro di mezza giornata circa. Ancora adesso nella mia timeline di Twitter (in linea di principio composta da gente di cui rispetto le opinioni) qualcuno grida al miracolo per il pezzo e allo scandalo per il fatto che sia stato rimosso da YouTube per violazione dei termini.

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È comunque un buon momento per la censura: pensavamo che fosse morta e sepolta e invece siamo qua a fare gli stessi discorsi di quando avevamo 17 anni. Fabri Fibra è stato cacciato dal concerto del Primo Maggio; nel Paese Reale stanno reagendo violentemente all’idea che Game of Thrones venga trasmesso in chiaro su Rai4 (qui la replica di Freccero), l’arcivescovo di Ferrara sta cercando di togliere Le streghe di Salem dalle sale cinematografiche (immagino che a quest’ora il film di Rob Zombie uscirà dai cinema per sopraggiunti limiti d’età, ma non so dirvi se merita o meno la scomunica perché ho giurato di non vedere mai più un film di Rob Zombie). Probabilmente entro fine mese qualcuno metterà su Tumblr la foto del Cristo di Cecilia Gimenez che lacrima sangue. Molto meno fiacco di una messa riparatrice dopo il concerto di Marilyn Manson, per dire.

A proposito: se il video di "The Next Day" fosse stato realizzato da Marilyn Manson (intendo identico, fotogramma per fotogramma e con Manson vestito uguale a Bowie), l’opinione popolare l’avrebbe giustamente tacciato di sensazionalismo, situazionismo, qualunquismo, scarsa complessità, insincerità globale e magari pure di portare sfiga. Giusto qualche cinefilo avrebbe fatto sì con la testa per via di Gary Oldman, ma gli altri l’avrebbero letteralmente sepolto di risate. Così, la stessa canzone potrebbe essere cantata da Marilyn Manson con lo stesso testo e la stessa musica (del resto la regista Floria Sigismondi è una collaboratrice abituale di entrambi), e suscitare reazioni di orrore da parte di molti fan dell’ultimo disco di Bowie. L’indignazione per il video di Bowie e l’indignazione per chi s’indigna a vedere il video di Bowie non sono esternazioni di pareri in senso stretto, né esercizi della libertà di opinione. O meglio, lo sono, ma nell’accezione sportiva della parola esercizio: fornisco un mio parere per essere in forma quando sentirò necessario fornire un parere.

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Marilyn Manson nel video di "Tourniquet", diretto da Floria Sigismondi.

Per certi versi, l’indignazione cattolica ha una sua rispettabilità di base. Primo, è costantemente fuori moda, poi segue un codice binario piuttosto figo e si basa su un codice di comportamento che è stato scritto diverse migliaia d’anni fa (anche se la fase di edit è durata secoli e ha messo un po’ di zizzania in merito al final cut). Ed è abbastanza incompromissoria nel proprio gestirsi lungo il tempo, e impermeabile al cambiamento della morale. Tette no, omicidi anche sì, croci rovesciate no, eccetera. Abbiamo sfottuto i bigotti, cristiani e non, per così tanto tempo che ci è toccato farci carico di battaglie non nostre e sostenere artisti mediocri che fanno uscire video controversi, il tutto per puro principio o proprio sulla base del fatto che il loro operato fa discutere. Il campione assoluto in questa categoria, parlando dell’ultimo decennio, è Romain Gavras; il trionfo della sua visione sta su "No Church in the Wild", non disprezzabile (non quanto il resto del disco) collaborazione tra Jay-Z e Kanye West con aggiunta di Frank Ocean. Il pezzo parla di cose a caso tra cui sniffare cocaina sul dorso nudo di una ragazza nera, il video mostra scene di guerriglia urbana infarcite di violenza che un canone di giudizio sballato può senz’altro definire “realistica”: poliziotti incazzati, rivoltosi incazzati, scudi antisommossa, frustate, manganelli, pastori tedeschi, bombolette di Mace, e riproduzioni di statue dell’antica Grecia che osservano impotenti. Il senso ultimo del video è che il realismo è la forma più pura di segno, questo a patto di togliere i riferimenti concreti. L’altro senso ultimo è che io so' io e voi non siete un cazzo. La stessa cosa, per dire, succede nei video di "Born Free" di M.I.A. e "Stress" dei Justice, ma non quanto "No Church in the Wild" (negli altri due video il realismo e la messinscena sono usati per creare un senso di impotenza nello spettatore, ma in qualche modo sono asserviti a una storia che ha un progresso sullo schermo).

Una volta queste cose erano appannaggio del metal estremo: pezzo truce, immagini violente a caso, poche seghe mentali, la legna del pezzo a fare da specchio. Oggigiorno è più facile trovare roba visivamente estrema nel pop da classifica: la quasi-totalità della produzione video di Lady Gaga sembra messa insieme per dare modo a qualcuno di travisare. E se la produzione media di Gaga è quantomeno intrigante, fa un po’ tenerezza trovarsi di fronte esempi di revisionismo cheap tipo appunto "Die Young" di Kesha o certe cose di Britney Spears o i possibili riferimenti agli Illuminati in "S&M" di Rihanna. Per certi versi è semplicemente la concezione alla base dell’idea di videoclip (completare il senso del pezzo) dopata all’infinito e infarcita di concetti a caso per dare un’idea di complessità, e in questo probabilmente è più onesta una Gaga che usa croci rovesciate senza motivo piuttosto che un Romain Gavras che fonda la sua visione sull’assenza di motivi. Floria Sigismondi cerca di conciliare i due approcci: c’è il realismo senza contesto e senza messaggio di Gavras, c’è il simbolismo d’accatto di un video pop, ci sono sbocchi di sangue, madonne moderne e preti puttanieri. Non c’è nient’altro, ma finché non chiudono la pagina Vevo nessuno ha niente da ridire.

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