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arte

I vecchi Nokia vanno in paradiso? “Small Data” e l'aldilà della tecnologia in disuso

Daniel Canogar ci ha parlato della sua ultima mostra e delle discariche che l'hanno ispirata.

Sherlock Holmes riuscirebbe a farsi un'idea molto accurata del sottoscritto anche solo guardando il mio smartphone. Non dovrebbe nemmeno sapere la password per vedere le icone sullo schermo; le ammaccature sui bordi, lo schermo integro e l'ingresso per le cuffie consumato gli rivelerebbero che sono una persona sbadata ma non negligente, compulsiva nella pulizia e avida ascoltatrice di musica (forse ossessiva). In altre parole, gli oggetti tecnologici dicono molto sul nostro conto. Per la sua mostra Small Data, che è stata esposta alla bitforms gallery fino al 26 aprile, l'artista Daniel Canogar si è concentrato su questa idea.

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La mostra è composta da nove installazioni formate da pezzi di tecnologia obsoleta—vecchi cellulari, telecomandi, calcolatrici—illuminati dall'alto con proiezioni che danno loro un aspetto celestiale, ma anche un'aura spettrale. L'artista ha raccolto gli oggetti rovistando tra i rifiuti. La visita casuale in una discarica dove ha scovato una bambola in buone condizioni lo ha spinto a tuffarsi tra i cassonetti. I quell'occasione si chiese perché la bambola fosse stata buttata—La bambina era cresciuta? Ne era uscita una più bella?— e la cosa lo ha fatto pensare alla vita passata degli oggetti, a quando venivano usati e amati. Ha poi trasposto quel pensiero alla vecchia tecnologia.

Small Data fa pensare a quello che succede alla tecnologia una volta che diventa inutile, o che è sorpassata da qualcosa di più nuovo: Com'erano le “vite” di quegli oggetti ormai finiti, quando venivano usati quotidianamente? Com'erano le vite dei proprietari di quegli oggetti? La storia personale racchiusa in questi oggetti muore quando vengono buttati via?

L'opera di Canogar è una riflessione sull'idea dell'umanità inserita negli oggetti, specialmente quella cultura legata alla tecnologia (in questo caso il punto è il mezzo, non il messaggio). “Quello che gettiamo via ci definisce,” mi fa saggiamente notare. Canogar ci ha parlato di come la tecnologia sia in equilibrio tra l'essere animata e inanimata, e di come le discariche possano dirci di più sulla nostra cultura di qualsiasi altro posto. Mi sono messo a pensare a che fine aveva fatto il mio primo iPod—avrà ancora quell'unica crepa nell'angolo in alto, o sarà diventato un rottame?

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The Creators Project: Small Data mi ha fatto pensare a Poltergeist e ai prodotti tecnologici come creature animate—cosa succede a un oggetto obsoleto quando muore? Esiste un aldilà tecnologico? Quindi, possiamo “uccidere” la tecnologia, sia in senso astratto che letterale? La tua opera sembra accennare a un aldilà tecnologico.

Non credo stia a me dare un'interpretazione finale del mio lavoro, ma sicuramente capisco perché guardando Small Data si possa pensare ad un “paradiso tecnologico”. Personalmente io ho pensato molto ai ricordi impliciti contenuti in questi oggetti, ricordando un periodo in cui quelle erano cose funzionanti e che ci servivano.

Abbiamo un rapporto molto intimo con le tecnologie che usiamo, in esse proiettiamo molte delle nostre idee, i nostri sogni e pensieri. E spesso gli oggetti si comportano in modi che li fanno sembrare vivi. Mi interessa indagare sull'attaccamento emotivo che sviluppiamo per i dispositivi, e come svaniscono i limiti tra l'essere animato o inanimato.

Quando i dispositivi delle tue installazioni vengono illuminati dalle proiezioni acquisiscono un'aura quasi celestiale; era una cosa voluta quella di dare all'opera un'atmosfera ultraterrena?

Penso che gli oggetti che ci portiamo appresso accumulino molta della nostra energia. Lasciamo letteralmente dei segni su di essi: ditate, graffi sul display, adesivi o altri segni di riconoscimento. Li usiamo per mandare messaggi alle persone amate, per scattare le foto delle vacanze, per condividere momenti significativi della nostra vita. Diventano contenitori di ricordi e delle vite personali.

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Quindi credo in un animismo tecnologico che in qualche modo trasmette un'aura. Ma invece di collegarlo a interpretazioni celestiali, preferisco legarlo alla nostra psiche. Per me Small Data è un ritratto psichico del nostro rapporto con l'elettronica di consumo, un rapporto complicato e a volte contraddittorio. In realtà l'opera parla più di noi che di tecnologia.

Cosa ha ispirato il progetto? Hai avuto un'esperienza particolare con la tecnologia che ti ha fatto venire l'idea per Small Data?

Qualche anno fa ero in giro per discariche. Volevo capire perché mi attirassero tanto posti del genere. Mi sono buttato in un cassonetto pieno di plastica, e ho notato che molti degli oggetti buttati erano giochi per bambini. Mi sono chiesto perché quei giocattoli, di cui molti sembravano ancora in buone condizioni, erano stati buttati: i bambini erano cresciuti? Avevano troppi giochi?

Inavvertitamente ho azionato una bambola cantante che stava sepolta sotto il mio piede. Ho sentito una ninna nanna risalire il mucchio di rifiuti e ho immediatamente pensato alla mia infanzia. Sembrava che la bambola chiedesse di essere salvata. Allora ho scavato fino in fondo, l'ho trovata e raccolta, e l'ho portata nel mio studio.

Il giorno dopo sono tornato con un camioncino pieno di giochi buttati, il materiale che poi è diventato la mia prima opera fatta di rifiuti. Quell'evento ha segnato l'inizio della mia relazione con i rifiuti tecnologici. Mi ci identifico e li voglio salvare.

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In quali discariche hai trovato i rifiuti migliori? Hai trovato altre cose strane durante le tue ricerche?

Visitare le discariche è un'esperienza estremamente educativa. Le scuole dovrebbero organizzare gite nelle discariche, perché cambiano il modo in cui si guardano le città; città che ora io considero dei mostri produttori di quantità inimmaginabili di rifiuti. Se vuoi davvero conoscere la tua città, vai in una discarica. Quello che gettiamo via ci identifica.

Di recente ho trovato un globo terrestre, di quelli usati nelle classi, circondato da una montagna di spazzatura. Era la metafora visiva che descrive perfettamente come i rifiuti ci stiano seppellendo. Scopro sempre cose incredibili nelle discariche.

Conosci l'artista ceco Krištof Kintera? Una volta ha creato elettrodomestici e dispositivi raffinati, che sembravano fatti da Cuisinart, ma che in realtà non servivano a niente. Ha anche messo questi oggetti non funzionanti nei negozi senza dire niente a nessuno.

Non lo conosco, ma l'idea sembra geniale. I suoi gadget inutili riescono a catturare il nostro desiderio di comprare nuovi dispositivi, non per le loro funzioni specifiche, ma perché ci fanno sentire nuovi. L'effetto ovviamente è transitorio, tutti gli oggetti prima o poi diventano vecchi e si rompono. Ed è allora che vogliamo liberarcene e sostituirli con altri nuovi. Credo che la tecnologia ci tenga in pugno perché ci dà un senso di immortalità. È un'illusione ovviamente, e lì sta l'ironian(e la tragedia) del sistema economico di obsolescenza precalcolata che abbiamo creato.

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Se un alieno arrivasse sulla Terra e vedesse gli oggetti tecnologici buttati che hai raccolto per la tua mostra, come pensi che li interpreterebbe?

Credo che li interpreterebbe come le rovine di una civiltà perduta. Mi piace l'idea dell'alieno, perché è un modo interessante di guardare a quegli oggetti da una certa distanza, e quindi in un modo nuovo. Mentre preparavo la mostra mi sono sentito un po' un archeologo che setacciava montagne di rifiuti per trovare tracce di un'era passata.

Esistono tecnologie o media immortali? Oppure ogni aggeggio tecnologico può diventare senza tempo?

Finora niente è stato immortale, ed è questo che rende gli oggetti così umani. Il fatto che la tecnologia abbia una data di scadenza, proprio come noi, è ciò che la umanizza. È per questo che io mi identifico così tanto con gli oggetti elettronici abbandonati. Sento che hanno bisogno di essere salvati e ricordati prima di essere sepolti di nuovo sotto altri strati di tecnologie morte.

Qui sotto potete guardare il documentario di bitforms sulla mostra: 

"Small Data" di Daniel Canogar alla bitforms gallery (2014) di bitforms gallery su Vimeo.

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