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ON-THE-GO

Dal muretto di Milano al resto del mondo: Alberto Leoni di Iuter

Il fondatore di Iuter, brand di streetstyle italiano, ci racconta il suo inizio di giornata e di carriera in un viaggio tra showroom e produzione.
Tutte le foto di Guido Borso.

Questo post è stato creato in collaborazione con Lavazza. VICE e Prontissimo presentano "On-the-go", un viaggio alla scoperta di realtà lavorative italiane fuori dal comune. Seguendo tre giovani racconteremo le loro giornate tipo, ognuno con propri orari, ritmi e priorità. Oggi è il turno di Alberto Leoni, fondatore di IUTER, una delle realtà streetwear italiane più importanti. 

A cavallo tra ginnasio e liceo decisi, sprezzante del pericolo, di provare lo snowboard. La giustificazione ufficiale era che nella vita bisogna mettersi in gioco, ma in fondo era tutta una scusa—perché se finii per passare cinque giorni di lividi, freddo e faccia nella neve, fu esclusivamente per i vestiti.

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All'epoca IUTER vestiva principalmente skater e snowboarder, e lo snowboard mi sembrò il modo più veloce e sicuro per avvicinarmi a quella nicchia dello streetwear (cadere nella neve, del resto, era pur sempre meglio che finire lungo disteso sull'asfalto). Tutto ciò accadeva poco meno di dieci anni fa. Oggi, nel 2017, IUTER sta per compiere 15 anni e "nicchia" è probabilmente il termine più lontano che potrebbe rappresentare chi lo indossa.

Ma facciamo un passo indietro: IUTER nasce dalla mente di Alberto Leoni che, poco più che ventenne decise con un gruppo di amici—tra cui Andrea Torella, oggi responsabile commerciale e parte indispensabile del marchio—che "voleva fare le magliette". Per farmi raccontare come funziona il suo lavoro, come è cambiato e come si svolge una sua giornata tipo, sono stato con Alberto nella sede di produzione a Cairate e nel quartier generale di IUTER a Milano.

"Sono partito che ero un ragazzino, non avevo precisamente idea di che mondo fosse quello intorno a me, mi ci sono davvero buttato," mi racconta Alberto nel suo ufficio mentre da una piccola finestra osserviamo i macchinari in azione sui capi della nuova collezione. "Tutte le piccolezze, i dettagli, li scopri o se è un lavoro di famiglia (ma non è il mio caso) oppure facendolo tu stesso. Io ho imparato così."

Poi, con tono a metà tra il divertito e la sfida, aggiunge: "Io sono a cavallo tra due epoche: per esempio Enzo, che lavora con me, l'ho trovato sulle Pagine Gialle, tu—o qualcuno della tua età—probabilmente manco sa cosa siano le Pagine Gialle. Al di fuori del mio gruppo era difficile trovare gente con il mio stesso background: IUTER mi ha consentito di girare per il mondo e trovare persone, che so, a New York, che in qualche modo avevano fatto le stesse cose che avevo fatto io, ma in un'altra città."

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Insieme ad Alberto, in questi anni anche IUTER ha girato per il mondo, arrivando a distribuire in vari paesi dagli USA al Giappone, passando per il Regno Unito e con un secondo store a Ibiza.

Tutto parte però ancora oggi da Cairate, la zona industriale in provincia di Varese dove sono presenti o sono stati presenti tutti i grandi marchi dell'alta moda italiana. Ma prima di Cairate nella storia di Alberto c'è un altro luogo importante, un luogo storico per la cultura street milanese: il Muretto.

Il periodo in cui Alberto frequentava il muretto è anche il periodo in cui quella zona di Milano ha vissuto il maggior fermento. Era la fine degli anni Novanta e l'inizio del 2000, e al famoso "muretto" si riunivano tutte le figure oggi di spicco della scena street milanese, a ballare, fare freestyle, per poi diventare Marracash, Jake La Furia, Gué Pequeno o, appunto, Alberto.

"La cosa che più mi è rimasta del Muretto è che alla fine, è stato un clima stimolante. Chi di noi è finito bene, è finito davvero molto bene. Pensa a Fabio o Cosimo," spiega riferendosi a Marracash e Gué Pequeno, e mentre lo dice mi mostra dei foulard di seta realizzati appositamente per i due artisti. "Sono amici da sempre e sono dove sono, ma non solo: in generale nella grafica, nella musica, in tutto l'immaginario creativo milanese, molti hanno il mio stesso background."

E sono altri due protagonisti della scena rap italiana, stavolta della nuova generazione, che incontriamo quando ci spostiamo nella sede di IUTER, a Milano: sono Rkomi e Sfera, in procinto di scattare qualche foto per l'ultima collezione del brand.

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È innegabile dunque, che parte dei clienti di IUTER—che più volte alla fine definiamo pubblico con Alberto—arrivino da lì, e siano un pubblico di giovanissimi: "In Italia è principalmente così, mentre non lo è per esempio in Giappone dove abbiamo un pubblico quasi 'alto'. Ma in Italia è così per tutto ciò che viene catalogato streetwear. Però è anche vero che non è solo questo, sta cambiando e si sta in qualche modo imponendo."

Ma come si fa a gestire un qualcosa che sta crescendo senza cadere sotto la pressione? Come mi spiega Alberto, la pressione c'è sempre, ma non c'è più lo stress degli inizi. "Con il tempo cominci a distaccarti, a capire che nessun problema è davvero così gigante. Per dirla con una banalità: impari a capire che esistono soluzioni, non problemi."

Questa è solo una delle regole di chi le giornate le crea, non le segue: "Ho imparato a scandire i miei orari. Come hai visto la mattina iniziamo molto presto, per cui come credo il 98 percento dei miei conterranei bevo il caffè e alla fine le pause caffè scandiscono la mia giornata, mi danno un ritmo."

In quindici anni sono iniziate così un sacco di giornate ed in qualche modo potrebbe sembrare opportuno e non così strano adagiarsi e accontentarsi del successo. Come racconta Alberto, però, "ho la fortuna di lavorare con gente molto esperta in quello che fa e quindi molto stimolata."

"Nel senso: non mi sento un capo padrone, anzi non lo sono affatto. So benissimo che in IUTER c'è gente molto più sveglia di me in quello che fa, io ho il mio compito dove do il massimo e l'insieme dà il risultato finale. Una tendenza italiana è quella del capo che deve decidere su tutto, secondo me la nostra impostazione fa sì che per nessuno il lavoro sia quel concetto palloso di timbrare il cartellino e aspettare che arrivi la fine della giornata, per cui ha senso per noi porsi in continuazione nuovi obiettivi. E ti dirò: quando stai per raggiungere un obiettivo, per noi è importante avere già quello successivo, in pratica."