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Tecnologia

Il Partito Pirata ha spaccato alle elezioni islandesi

Il partito hacktivista non avrà vinto le elezioni, ma di certo ha raggiunto un risultato storico.
Immagine: Birgir Þór Harðarson

Dopo aver assistito per mesi quella discarica infuocata e nauseante che è la campagna presidenziale americana del 2016, è difficile credere che un movimento anti-sistema di pirati della rete sia diventato uno dei partiti forti di una piccola nazione insulare.

Eppure è proprio quello che sta succedendo ora in Islanda, dove il Pirate Party d'ispirazione hacktivista ha segnato alcune vittorie importanti nelle elezioni parlamentari del paese, tenutesi lo scorso fine settimana. Hanno vinto il 14.5 percento del voto popolare, guadagnando così il terzo posto, subito dopo il partito indipendentista di centro-destra e il movimento dei verdi di sinistra, che hanno vinto rispettivamente il 29 percento e il 15.9 percento del voto. (Una prima stima dei risultati li aveva visti superare il partito dei verdi e toccare il secondo posto, ma le proporzioni sono cambiate una volta scrutinati tutti i voti.)

Il risultato non è stato sufficiente per prendere possesso della maggioranza, come alcuni sondaggi avevano suggerito, ma è bastato a ottenere 10 seggi parlamentari su 63 totali, un discreto avanzamento rispetto ai 3 che il partito deteneva dopo le elezioni del 2013. Il partito progressista di centro destra, ormai non più al potere, nel frattempo, ha visto il numero dei propri seggi dimezzato, da 19 a otto in totale, e il proprio potere stroncato platealmente dai Pirates e dal resto dei piccoli partiti di sinistra del paese: Left-Green, Bright Future e Social Democrats. All'indomani della notizia, il primo ministro islandese e membro del partito progressista, Sigurður Ingi Jóhannsson, ha dato le dimissioni domenica.

Fondato per la prima volta in Svezia e guidato in Islanda dalla ex volontaria di Wikileaks Birgitta Jónsdóttir, il Pirate Party è salito alla ribalta nella piccola nazione da 330.000 abitanti ai tempi del collasso economico che è seguito alla crisi finanziaria del 2008. Il partito ha guadagnato parecchio terreno all'inizio di quest'anno, durante le proteste scatenate dagli scandali dei Panama Papers e dei paradisi fiscali, che hanno costretto il primo ministro di allora Sigmundur Gunnlaugsson a dimettersi, portando così a queste elezioni.

Meglio noto probabilmente per l'attivismo anti-copyright scatenato in conseguenza al giro di vite del governo contro il filesharing online, il filo-anarchico Pirate Party ha poi aperto la propria piattaforma per discutere questioni popolari di hacktivismo, come diritti e privacy digitali, net neutrality e decentralizzazione. Tra le altre cose, i pirati islandesi hanno promesso di porre fine alla cosiddetta war on drugs, stabilire un sistema di democrazia diretta e garantire asilo politico al whistleblower dell'NSA, Edward Snowden.

"Non definiamo il nostro partito di destra o di sinistra; piuttosto, come un partito che si concentra sui sistemi," ha detto Jónsdóttir al Guardian, nei giorni prima delle elezioni. "In altre parole, ci consideriamo hacker, per così dire, dei sistemi di governo ormai obsoleti."