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Musica

JJ Whitefield, il poeta del ritmo

Il chitarrista tedesco appassionato di digging e funk africano ci racconta come ricercare il nuovo da una combinazione di presente e passato.

Lo scorso agosto a Bologna si è tenuto Garden Beat, festival di musica black alla seconda edizione, che ha chiamato a raccolta – alle Serre dei Giardini Margherita—artisti del calibro di The Mixtapers, Débruit, Mop Mop e Karl Hector and The Malcouns.

Come oramai d'abitudine nel capoluogo emiliano, lo svolgimento della due-giorni è stato turbato dalle lamentele del vicinato, allarmatosi ancor prima dell'inizio del festival, per l'eventuale disturbo che l'evento avrebbe creato. L'associazione Kilowatt (che cura la rassegna estiva dei Giardini) e la direzione del festival, per non incorrere in eventuali denunce, sono state costrette a spostare alla Velostazione Dynamo i DJ set previsti oltre la mezzanotte: del clima anti-degrado che tiene sotto scacco le realtà culturali (più e meno militanti) bolognesi si era parlato qui e qui.

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Nonostante tutto, Garden Beat è riuscito a portare un po' di sano groove nel tedioso caldo agostano e, seduti su una confortevole panchina del parco, siamo riusciti a scambiare qualche parola con Jan Weissenfeldt, aka Karl Hector, aka JJ Whitefield, cervello e chitarra dietro una miriade di progetti. Tra le ultime fatiche del musicista bavarese, JOHNNY!, band che vede nel suo organico Henry Taylor, figlio del leggendario Ebo Taylor, ed Eric Owusu, percussionista e cantante già visto al lavoro con Pat Thomas e Orlando Julius: i tre 45 giri pubblicati lo scorso ottobre da Now-Again Records mescolano le ritmiche dell' afro-beat dell'Africa occidentale con le psichedeliche fuzz guitars, tipiche dello zamrock originatosi nello Zambia. Inoltre, il nuovo album di Karl Hector and The Malcouns sembra che possa uscire nel corso del 2017!

Le parole di JJ qui sotto passano in rassegna le tappe del suo percorso musicale, consacrato alla costante ricerca della contaminazione e alla diffusione del groove nel globo terracqueo.

Noisey: Innanzitutto, mi piacerebbe sapere quando è cominciato il tuo viaggio consacrato al funk-ed-oltre. Quando eravate adolescenti, avevate una qualche sorta di background musicale? I vostri genitori erano musicisti?
JJ: Ho frequentato una scuola steineriana a Monaco che era focalizzata sull'educazione musicale: avevo circa 11 anni quando ho iniziato a suonare il violino, poi a 14 anni ho cambiato e ho scelto la chitarra. I miei genitori non sono musicisti, ma avevano a che fare con il teatro e la performance art: nonostante non fossero direttamente coinvolti, la musica intorno a me c'è sempre stata e l'ho sempre ascoltata.

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…tuo fratello Max ha frequentato la tua stessa scuola?
Sì, ma è più giovane di me, quindi si è iscritto in un periodo successivo! Comunque, sono stato esposto ed ho cominciato ad interessarmi alla musica molto presto. Quando ero all'ottavo anno (corrispondente alla terza media italiana, ndr), Bo Baral, il ragazzo con cui ho fondato la band (chiamata Hotpie & Candy all'epoca, ndr), tornò in Germania dal Sudafrica – lui è tedesco, ma si trasferì in Sudafrica coi genitori quando era bambino – e divenne mio compagno di classe. Anche lui era molto interessato alla musica, quindi tra di noi scattò subito l'intesa e cominciammo ad ascoltare musica assieme. Eravamo molto affascinati dagli strumenti, perciò a 15-16 anni, creammo la band ed iniziammo a suonare con diverse persone – se possibile, con i migliori musicisti che potevamo trovare. Nella band c'erano molti compagni di scuola che lasciarono una volta che la scuola terminò. Visto che volevamo tenere in vita il gruppo, cercammo altri musicisti: ad ogni modo, iniziammo seriamente a provare e a scrivere i nostri pezzi intorno ai 18-19 anni, quando ancora eravamo a scuola.

…questo accadde agli inizi degli anni Novanta? 
Alla fine degli anni Ottanta in realtà, tipo 1989. Finimmo la scuola nel 1990 e quello fu veramente l'inizio delle nostre esplorazioni musicali. A partire dai 15-16 anni, avevo iniziato a collezionare dischi e a fare il DJ durante le feste scolastiche. Compravo le tipiche cose anni Ottanta, come Jocelyn Brown e Chaka Khan: questi dischi furono la mia introduzione alla musica dance nera. In seguito, partii in viaggio per Parigi con un amico di scuola, che era un anno più grande di me: durante l'intero viaggio mi fece ascoltare George Clinton (cose tipo "Atomic Dog"). In confronto alla musica a cui ero abituato, era davvero qualcosa di psichedelico e assurdo. Iniziai a collezionare tutto il "p-funk", perché volevo avere l'intera discografia dei Parliament-Funkadelic, compresi i side-projects e le collaborazioni. Nell'era pre-internet, era durissima trovare quei dischi! La fine degli anni 80, in Inghilterra, diede inizio alla scena "rare groove": durante quel periodo, c'erano molte compilation bootleg che contenevano una o due tracce funk assieme ad altri cose più simili a Roy Ayers, ad esempio. Mi ricordo chiaramente che all'interno di una di queste compilation, c'era "Hot Pants Breakdown" dei Soul Tornadoes.

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Quando sentii quelle tracce per la prima volta, fui totalmente catturato dallo stile garage ruvido e semplice. Così cominciai a collezionare tutta questa roba! Andai spesso negli Stati Uniti ed in Inghilterra a scovare questi 45 giri che furono l'ispirazione per il sound dei Poets of Rhythm. Anche i Meters furono un'importante fonte di ispirazione all'inizio: avevo letto un'intervista dove George Clinton diceva che l'unica band più "funk" dei Funkadelic erano i Meters, perciò tornai al negozio di dischi e comprai ogni cosa dei Meters che riuscivo a trovare. Bo Baral ed io eravamo fanatici del "New Orleans sound": abbiamo trascorso letteralmente pomeriggi e sere dopo scuola a cercare e ad ascoltare dischi nei seminterrati dei negozi. Come ti ho detto, quello è stato il periodo durante il quale abbiamo iniziato a scrivere i nostri pezzi perché desideravamo registrare il nostro 45 giri, dopo averne collezionati così tanti. Nel 1992, andammo in studio a registrare un paio di pezzi, trovammo uno stabilimento di produzione, stampammo il nostro 45 giri e lo regalammo ai nostri amici. Uno di loro lo portò ad Amburgo dove c'era una nuova etichetta che si chiamava Soulciety Records. Una settimana più tardi, il capo della label ci chiamò, chiedendoci se volessimo fare un album. Ovviamente rispondemmo di sì! Eravamo appena usciti da scuola! Non avevamo minimamente pensato ad un contratto discografico, successe in modo naturale, un passo alla volta. Incidemmo il disco e diventò abbastanza popolare all'epoca: la scena "acid jazz" imperava con il suo sound digitale soulful e caramelloso e il pubblico fu sorpreso dal nostro sound rozzo à la James Brown. Nessuno credeva che dei tipi tedeschi e bianchi potessero suonare così!

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Dopodichè, andammo in giro a suonare per due anni, diventando una band ancora più unita. Non avevamo un piano vero e proprio: ad un certo punto, registrammo il secondo album per la Desco Records, ma lo scartarono perché troppo sperimentale [Discern/Define, uscito definitivamente nel 2001, NdR]. In quel periodo, stavo facendo uno stage per un'etichetta di Monaco che aveva distribuito Entroducing di DJ Shadow. Un giorno, il mio capo mi chiese se conoscevo i Poets of Rhythm perché questo tipo americano [DJ Shadow, NdR] voleva lavorare con loro. Risposi che era il mio gruppo! Questo fu il principio della "connection" con DJ Shadow. Ritoccammo l'album che originariamente doveva essere un LP singolo, incidendo 2-3 nuovi brani: in quel periodo le etichette hip-hop pubblicavano quasi esclusivamente LP doppi, quindi la Quannum [l'etichetta di DJ Shadow, NdR] ci chiese di registrare altro materiale per poter poterlo pubblicare.

Fu la svolta per noi negli Stati Uniti, grazie soprattutto alla spinta ricevuta da DJ Shadow: il primo disco, infatti, ebbe risonanza principalmente in Europa. Già a quel punto, tra di noi c'erano divergenze creative – chiamiamole così – soprattutto a causa della mancanza di un chiaro disegno… nessuno di noi sapeva cosa fare. Dopo la pubblicazione del disco, facemmo due tour e la band si sciolse. Traslocai a San Francisco perché lì conoscevo molte persone della Quannum. Cominciai ad espandere i miei gusti musicali, producendo beats ed interessandomi profondamente alla musica africana. Il primo album dei Whitefield Brothers [il progetto di JJ e suo fratello Max, NdR] era in corso d'opera e doveva uscire per la Desco, con la quale avevamo deciso di incidere un disco più adatto al loro catalogo. Come forse saprai, l'etichetta si divise in Daptone Records e Soul Fire Records. Philip Lehman a capo di Soul Fire acquistò i diritti da Gabriel Roth della Daptone e pubblicò il disco. Egon lo ripubblicò più tardi per la Now-Again nel 2009.

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È abbastanza complicato capire come le cose siano andate alla fine, ma questa è più o meno la storia completa, almeno quella accaduta prima di internet! Sono ancora sbalordito dalla quantità di concerti che facemmo negli anni Novanta, dato che la nostra musica era totalmente leftfield, per niente "pop," in confronto allo spirito di quegli anni. Per qualche strana ragione al pubblico piacque il nostro approccio funky-garage e da lì seguì tutto il resto.

…puoi raccontare un po' dell'etichetta per la quale lavoravi durante il tuo stage?
Si chiamava Marlboro Music. Veramente un pessimo ambiente dal momento che la label era parte della sezione promozionale di Philip Morris. Studiavo economia all'università come piano B nel caso in cui la mia carriera musicale non fosse destinata a realizzarsi: pensavo che almeno avrei potuto lavorare nell'industria musicale. Feci quello stage per 6 mesi e fu una cosa positiva per la mia carriera, ma, in generale, quell'esperienza mi fece capire che il music business è un ambiente di merda! Non finii neanche l'università!

Sia Karl Hector and The Malcouns e The Whitefield Brothers sono profondamente influenzati dalla musica africana (dal Mali all'Etiopia). Quando hai iniziato ad interessarti a questi elementi sonori? Esplorare questa parte dello spettro sonoro è stato un processo naturale?
In verità, i Whitefield Brothers erano più influenzati dalla musica afro-caraibica. In quel periodo, ero completamente immerso nell'island funk, ad esempio The Invaders , un genere che ha sonorità soleggianti e percussioni toste allo stesso tempo.

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Ho cominciato a collezionare queste cose a metà degli anni Novanta, dopo aver scoperto ed esplorato la gran parte del "funk" disponibile in quel periodo… Ora è più semplice perché puoi andare su internet e comprare un 45 giri funk a 200 dollari e via così! Nessuno all'epoca ci insegnava, ero l'unico a Monaco a cercare quella roba. C'era pure Florian Keller [DJ e percussionista di Monaco, NdR], che è stato il mio "dj-buddy" per un sacco di tempo. Siamo andati spesso negli Stati Uniti per fare dei "diggin' trips". A metà degli anni Novanta, compravo già diverse cose: nonostante Fela Kuti fosse l'unica cosa [africana, NdR] che si trovasse nei negozi di dischi, mi sembrava una musica oscura e affascinante! Se analizzi profondamente la storia del funk, ti conduce all'Africa: il contenuto ritmico viene da lì.

Leggi: Infinite Jazz — la nascita del jazz contemporaneo e tutte le sue contaminazioni.

Potresti spiegare quali sono le differenze—dal punto di vista tecnico—tra suonare un groove funk piuttosto "dritto" e i poliritmi africani?
Non abbiamo mai studiato questa o quella musica in modo formale: ascoltavamo uno specifico stile, tentando di emularlo senza suonare uguali. L'influenza era totalmente aurale: anche quando ci piaceva un pezzo funk, eravamo stimolati a scrivere il nostro senza copiare il riff o il break di batteria. Le mie fonti di studio sono stati i dischi! Naturalmente, ho ricevuto un'istruzione formale dello strumento musicale quando ero ragazzo.

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…quindi non avete pensato "muoviamo l'accento ritmico da qui a qui", da una pulsazione di tipo occidentale ad una africana?
No assolutamente! Non c'è stato niente di premeditato!

…può darsi che abbiate studiato queste cose successivamente?
Sì, quello avvenne più tardi, tipo sei anni fa, quando provai a capire perché i ritmi africani suonano così e quelli occidentali suonano diversamente… Comunque, è difficile dire quali siano le differenze perché di stili africani ce ne sono un casino, mentre il funk è tutto basato su James Brown… Ok, i Meters sono diversi, ma c'è sempre il violento backbeat (un forte accento sul tempo debole). La musica africana è più ricca e complessa dal punto di vista ritmico, succedono un sacco di cose! Non ci sono molti pezzi funk in 6/8, mentre, quando analizzi più approfonditamente la musica africana, il metro 6/8 è dominante quanto il 4/4. Se non capisci come funzionano tutti gli "strati", diventa complicato suonare in una situazione del genere! Ad ogni modo, in Africa, ogni Stato ha sviluppato la propria musica: inoltre, c'è musica africana influenzata dal funk americano, quindi c'è una sorta di circolarità. Dal momento che l'uno prende dall'altro, ci sono anche similitudini—tranne per la musica tradizionale che è un mondo completamente diverso: ad esempio la desert music del Mali e dei popoli Tuareg, la musica del Marocco o la musica palm-wine [l'antenato dell'highlife ghanese e nigeriano, NdR]. Quando ho scoperto la musica africana, ovviamente ho iniziato dalla Nigeria grazie a Fela, poi ho dato un'occhiata alla regione costiera [Occidentale, NdR]: il Benin, ad esempio, è totalmente diverso e in altri Stati trovi un sacco di influenze geniali… Nel corso degli anni ho tratto elementi da ogni cosa che ho ascoltato e ho provato ad incorporarli nella mia musica. Non voglio suonare precisamente musica del Mali o del Benin, o nigeriana, prendo pezzettini di suono e di ritmo da quello che mi piace e cerco di combinarli, facendo qualcosa di nuovo. Questo è il motivo per il quale provo ad esplorare nei limiti del possibile tutta la musica del mondo! Il funk e la musica africana sono perlopiù in 4/4 o 6/8, ma la musica araba ha metri che vanno dal 7/8, al 10/8 o 10/4. Quando scopri queste cose e cominci a scrivere in metri come 15/16 o chissà cos'altro, hai veramente un casino di combinazioni possibili! Per di più, se riesci a prendere qualcosa da ovunque e fare la tua musica, be', è una figata!

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L'ultima cosa pubblicata con il nome Karl Hector and the Malcouns è il box Can't Stand the Pressure che contiene i vostri quattro EP pubblicati tra il 2011 e il 2015, mentre il vostro ultimo album è del 2014. State lavorando a qualcosa di nuovo?
Sì, siamo pronti a tornare in studio adesso. Ti meraviglierai più tardi [durante il concerto, NdR], perché negli ultimi due-tre anni la mia principale influenza è stato il krautrock degli anni Settanta. Qualche anno fa ho lavorato con un paio di musicisti dello Zambia [Rikki Ililonga ed Emmanuel Chanda, NdR], i padrini del cosiddetto zam-rock. Questo è successo grazie ad Egon della Now-Again che mi chiamò perché voleva che suonassimo come "backing band", dato che avevano avuto diverse richieste dai festival musicali dopo la ripubblicazione dei loro dischi. Nella musica funk, gli assoli di fuzz guitar non sono molto comuni, ma questi tipi hanno distorsioni fuzz dappertutto. Ho cominciato ad interessarmi a questo tipo di suono, perché la loro musica era una figata pazzesca. Avevo già nella mia collezione del kraut-rock, soprattutto i Can e altra roba "funky"… poi ho scoperto per la prima volta il kraut più "rock-oriented"—che io chiamo "space-rock"—e pure quello ha  un sacco di chitarre fuzz. I nuovi pezzi si ispirano molto a questo: c'è ancora molta Africa, ma è più "rock" di quanto non lo fosse precedentemente. Abbiamo suonato questi nuovi brani in un paio di concerti. Dovevamo andare in studio due mesi fa, ma non eravamo pronti, data la complessità degli arrangiamenti. Abbiamo fatto molte modifiche e avevamo bisogno di sincronizzarci un po', ma credo che per settembre saremo in studio [ci sono andati in dicembre , alla fine, NdR].

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Com'è essere un musicista bianco che suona musica ispirata al continente nero? Il tuo amore per la musica africana è evidente ed onesto, ma ti è mai passata per la mente l'idea di appropriazione culturale?
Per me la musica non ha colori. Non ho mai avuto a che fare con l'idea di appropriazione culturale: il sistema armonico che la musica africana popolare moderna usa è quello occidentale, a dire il vero. Se vai in un piccolo villaggio africano ed ascolti la musica tradizionale, sentirai armonie modali poiché i musicisti usano degli strumenti molto semplici e limitati, ma, dal momento in cui suoni una chitarra, un pianoforte o dei fiati, devi usare il sistema occidentale: non hai scale naturali o roba del genere. Ognuno prende da un altro e così via, non c'è separazione per me. La musica del Giappone che mi piace ha diverse influenze… La musica del Mali è molto vicina alla musica orientale in un certo qual modo, ogni cosa è connessa. La parte difficile è trovare il proprio percorso tra queste diverse musiche, ma ognuno può fare quello che vuole.

Devi solo conoscere le radici e rispettarle…
Certo. L'unico modo per creare qualcosa di nuovo è combinare quello che c'è già.

Ho letto in alcune interviste che non sei molto interessato alla "sequenced music"—in altre parole musica composta con macchine e computer—perché manca di libertà ed emozione: hai cambiato idea? O, quantomeno, c'è qualche artista che ti fa venire la pelle d'oca anche se fanno musica sequenziata? Credo che Madlib o Edan (con il quale hai collaborato) trasmettano una sensazione dinamica e vivida anche se lavorano con dei campionatori.
Io stesso facevo beat hip-hop, quindi la "sequenced music" mi piace. Ero profondamente dentro al mondo hip-hop dalla fine degli anni Novanta a metà dei 2000. È il modo in cui usi il sequencer. Ad esempio, Madlib sa qual è il miglior modo per non farlo suonare computerizzato. Puoi sentire libertà nella sua musica, è molto organica. Allo stesso tempo, mi piace la roba boom-bap come DJ Premier, anche i beats secchi e duri sono fighi! In definitiva, però, fare beats non mi dà la stessa emozione che suonare live: l'interazione tra musicisti non può essere replicata da una macchina.

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Ci parli di Rodinia, il tuo progetto uscito lo scorso anno: sembra qualcosa a metà strada tra musica live e "sequenced". 
È nato perché mi piace molto la musica ambient. Forse è la parte complementare di tutta la musica più incentrata sul ritmo che ho suonato in tutti questi anni. Se sei interessato alla musica kraut, ascolti necessariamente i Tangerine Dream, Klaus Schulze e altri artisti che producono suono dove il "beat" è completamente assente. Mi piace molto esplorare questo genere. Colleziono synth da quando ho iniziato a suonare, quindi ora ho una serie di strumenti abbastanza notevole: ogni volta che trovo un synth che costa poco, lo compro e durante i primi tempi usavamo sempre il Moog durante i concerti. Johannes [Schleiermacher, sassofonista della band ethio-jazz Woima Collective, NdR], l'altra persona in questo progetto, ha suonato varie volte con i Malcouns ed io ho suonato con la sua band. Abbiamo già lavorato insieme e anche lui è molto appassionato di sintetizzatori. Una volta era bloccato a Monaco dopo un concerto, allora abbiamo passato due giorni nel mio studio a suonare: abbiamo preso un tavolo gigante e l'abbiamo riempito di tutti i synth che potevamo. Poi abbiamo aggiunto una drum-machine di fine anni Settanta, che non si poteva neanche programmare ed aveva solo dei ritmi pre-settati, che non abbiamo neanche usato: tuttavia, la macchina è stata essenziale perché mandava l'impulso principale a tutti gli altri synth perché fossero sincronizzati. Abbiamo registrato delle lunghissime sessioni dove non facevamo altro che sovrapporre suoni su suoni. Questo materiale è rimasto poi fermo per un anno nel mio hard disk: ogni tanto mi capitava di ascoltarlo e mi dicevo che avrei potuto farne qualcosa! Allora siamo andati 5-6 giorni a Berlino dove abbiamo registrato degli overdub di batteria, chitarra, sassofono e flauto e mixato il tutto. È stato tutto molto veloce rispetto al lavoro che si fa con una band al completo e, oltretutto, mi piace molto ciò che ne è uscito. Abbiamo appena mixato il secondo disco la scorsa settimana e probabilmente verrà pubblicato durante l'inverno. È più sperimentale, ma sempre nella stessa vena. Io ed i Malcouns l'abbiamo ascoltato oggi nel furgone ed è piaciuto a tutti! Non abbiamo neanche lavorato assieme  nella stessa stanza per questo secondo disco: ho registrato le mie tracce di synth individualmente, mentre lui ha lavorato sulle sue a Berlino. Poi ci siamo scambiati il materiale, abbiamo registrato un po' di overdubs e aggiunto qualche batteria prima di mixarlo. È divertente, perché è un processo totalmente differente, non devi sistemare la band e microfonare ogni strumento, puoi lavorare passo dopo passo e lasciarti andare.

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Ci sono molte etichette che ristampano vecchi dischi sconosciuti dall'Africa, dal Medio ed Estremo Oriente e dall'America Latina: pensi che questo fenomeno sia completamente positivo o che possa avere delle conseguenze negative?
Se l'etichetta lo fa nel modo giusto e paga i musicisti, per me è ok, perché mi dà l'opportunità di ascoltare musica che non avrei la possibilità di scoprire altrimenti. Internet e le etichette che fanno reissue sono positive anche per i musicisti, perché hai l'intera discoteca del mondo alla portata di un click. Vent'anni fa avevi bisogno di andare in un negozio, ascoltare un mucchio di dischi per trovare qualcosa di figo; ora è tutto lì ed è meraviglioso perché puoi farti influenzare da un sacco di roba, puoi provare a studiarla e incorporarla in quello che fai.

Non hai mai la sensazione che ci sia troppa musica disponibile e che la gente non riesca ad ascoltarla in una maniera sufficientemente profonda? 
Non saprei, per me non ci può essere "troppa musica" là fuori. Più ce n'è, meglio è. Non mi interessa troppo la parte del business: una parte di queste ristampe hanno numeri enormi e hanno successo, vedi Soundway con la compilation sul Ghana, o anche Analog Africa e Strut, che sono molto popolari. Ora come ora, come tu dici, il mercato mi sembra un po' saturato, quindi esce molta roba e probabilmente sarà difficile per alcune etichette avere dei ricavi reali. Ad ogni modo, queste persone sono per la maggior parte totalmente fanatiche per la musica: vanno nel posto, trovano i musicisti, trovano i nastri d'incisione. Molta gente fa questo tipo di lavoro oggigiorno.

…più per l'amore della musica e non per costruirci un business?
Se lo fanno per l'amore della musica, sono totalmente a favore. So che c'è gente che va in Africa e frega gli artisti, pubblicando bootleg e questo fa schifo. Neanche a me piace essere "bootleggato"; mi è già successo diverse volte ed è orribile. Dall'altro lato, essendo un ascoltatore, è sempre bello poter ascoltare roba fresca.

Sapendo che sei un "record lover", dicci quale pepita ha catturato il tuo interesse ultimamente.
Ehhh! Non saprei, compro veramente un sacco di roba. Ho acquistato un 45 giri dal Burkina Faso recentemente ed è geniale! Non mi ricordo neanche il nome della canzone o dell'artista… Poi, con tutte queste nuove compilation, cerco di trovare qualcosa che nessuno abbia già scoperto, qualcosa di dimenticato. Quando trovo qualcosa che non ho mai sentito prima…

…non riveli a nessuno cosa hai scoperto!
E passo tre giorni ad ascoltarlo, diventando matto.

Ho visto che hai selezionato cinque dischi per egotripland e uno di questi era Hailu Mergia, che è stato ristampato da Awesome Tapes From Africa nel 2014, quindi pensavo che conoscessi qualche reissue o compilation.
Non seguo molto la roba ristampata onestamente… Ne ricevo un po' da etichette o amici ogni tanto. Comunque, Hailu Mergia lo conosco da un sacco di tempo. Quel brano per me è il pezzo funk etiope per eccellenza, ecco perché l'ho scelto. Stilisticamente, mi rappresenta! È magnifico, perché il basso suona seguendo un metro ternario mentre la chitarra e la batteria rispettano una struttura ritmica a quattro tempi, quindi si incontrano ogni 12 pulsazioni.

Eravate soddisfatti del secondo album dei Whitefield Brothers?
Era molto figo, ma era composto da materiale vecchio… Abbiamo registrato solo 2 o 3 pezzi nuovi all'epoca, tutto il resto era stato registrato prima. Ognuno di noi ha finito le proprie tracce individualmente e abbiamo messo tutto assieme prima di aggiungere le parti vocali. Egon, poi, trovò la gente che rappasse sui nostri pezzi. Il primo disco era molto più rigoroso in termini di stile, mentre per il secondo volevamo allargare il campo. Dovevamo metterci tutto dentro. Avevamo un sacco di brani incompleti, prendemmo i migliori, aggiungemmo qualche elemento e quel lavoro diventò il secondo disco!

Sto ancora aspettando il ritorno dei Whitefield Brothers! C'è una qualche possibilità di vedere un nuovo album prima o poi? 
Non penso succederà. Ho prodotto musica con mio fratello per molto tempo e ora… Come posso dire… Ci sono divergenze personali e creative. È sempre difficile lavorare con un membro della tua famiglia, perché tutto diventa più intenso ed emotivo. Quando si è in disaccordo, finisce sempre in un litigio, ed era diventato tutto troppo negativo per me. A metà degli anni 2000 quando stavamo finendo il secondo disco, c'erano già molte tensioni. Ad un certo punto ho detto che non ne potevo più. È finita così, ognuno di noi suona la propria musica !

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